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Fini e la fine della seconda Repubblica

8 Novembre 2010 5.950 views One CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Due parole su Fini, che rimandano a due parole su Mastella, a due parole su Bertinotti, a due parole su Bossi. A otto parole su questa dannata cosidetta seconda Repubblica del bipolarismo coatto che è ormai alla fine, a meno che non  si preferisca la sua inesorabile decomposizione a fuoco lento, con evidenti gravissimi danni per il paese. Ho citato i protagonisti di altrettante crisi di governo e parlo di governi che erano usciti dal voto degli italiani sulla base di leggi elettorali (sono state due, quella maggioritaria con correttivo proporzionale per la Camera, e quella proporzionale con sbarramento e premio di maggioranza) che si sono alternate in Italia. Dal 1994 si doveva inaugurare la Repubblica dell’alternanza di governo stabile e duratura per l’intero quinquennio. E invece si è assistito, nello stesso 1994, allo strappo di Bossi, nel 1998 a quello di Bertinotti, nel 2008 a quello di Mastella e adesso, nel 2010, a quello di Fini. Troppi essere giudicati come singoli episodi e per non parlare di crisi profonda, e penso definitiva, dell’assetto istituzionale dell’Italia del dopo Tangentopoli. Se si hanno a cuore le sorti dell’Italia da qui bisogna partire. Non sono in gioco ora le sorti del governo Berlusconi, che mi pare già alla frutta, ma le sorti del futuro istituzionale e democratico dell’Italia. Quel che occorrerebbe è una governo di larga convergenza (prima o dopo le nuove elezioni dipenderà anche dal capo dello Stato) che affronti la questione di una legge elettorale senza premio di maggioranza e dunque senza bipolarismo coatto, e che risolva finalmente un tema di fondo della nostra democrazia rinnovata in modo confuso e senza un chiaro progetto dopo le vicende del 1992-94. E cioè il rapporto tra presidenzialismo e parlamentarismo. La nostra Costituzione è basata sul parlamentarismo. Il nostro sistema attuale annuncia un presidenzialismo che non c’è “de iure”, ma che è stato costituito “de facto”. Il detttato costituzionale non è stato cambiato (per questo è perfino abusivo parlare di seconda Repubblica), ma è stato introdotto una sorta di mandato elettorale che, con il premio di maggioranza e l’indicazione del nome del futuro premier sulla scheda, rimanderebbe a un vincolo dei governi e del presidente del Consiglio sancito dell’elettorato. Un presidenzialismo senza presidenzialismo, anzi in presenza di un parlamentarismo peraltro praticato nel 1994, nel 1998, nel 2008 e anche adesso come se fossimo nei decenni precedenti. I governi sono infatti stati cambiati o sono stati costretti a dimissioni sfociate poi in elezioni anticipate, perchè la logica del mandato vincolante  si è scontrata con la norma costituzionale in base alla quale gli esecutivi si formano in Parlamento. A quando la soluzione del grande pasticcio, vero e proprio centauro, italiano?

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