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La relazione di Del Bue alla Conferenza dello sport: “Lo sport delle persone”

3 Dicembre 2010 1.761 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Cari amici sportivi,

non uso altro termine perché oggi è il mondo sportivo reggiano protagonista di questa nostra conferenza, cari amici sportivi dunque, subito dopo la mia nomina ad assessore allo sport del Comune di Reggio, che risale al luglio scorso, ho maturato l’idea di promuovere un’assemblea con tutte le società sportive reggiane. E quando mi sono messo al lavoro con i miei collaboratori che qui voglio ringraziare pubblicamente, ho fatto due scoperte che mi hanno destato un notevole interesse, ma anche un vivo stupore.

Cinquecento società sportive: lo sport aiuta a vivere

La prima attiene alla quantità di società sportive presenti sul territorio comunale. Sono ben 500 e aggregano oltre 50mila persone. Si tratta dell’aggregazione di gran lunga più consistente rispetto a tutte le altre di natura culturale, sociale, economica e oggi anche politica. Non esiste un altro campo d’azione che sia così frequentato. E parliamo dello sport associativo, che non è, non deve essere, il solo nostro punto di riferimento. Se sommiamo le persone associate alle persone non associate che praticano sport il numero è destinato a crescere ancora. E soprattutto oggi, perchè mai come oggi la pratica sportiva si è diffusa nelle persone d’ogni età, per ragioni di benessere, per motivi di salute, di prevenzione e anche di cura. E mai come ora lo sport è diventato una necessità per tutti. Mi è capitato di ascoltare recentemente il maestro Claudio Abbado chiarire in una trasmissione televisiva le ragioni per le quali non ci devono essere tagli finanziari alla cultura, e l’ultima e più significativa tra quelle ricordate dal grande direttore d’orchestra è la ragione secondo la quale “la cultura aiuta a vivere meglio”. E’ vero e vi parla una persona che nella sua vita non è certo stata insensibile alle esigenze della cultura e dei teatri. Ma se c’è oggi un’altra disciplina che aiuta a vivere meglio è proprio quella sportiva. Anzi la cultura aiuta a vivere meglio, lo sport spesso aiuta a vivere. Lo sport inteso come attività fisica volta al benessere del corpo e della mente, come ricordavano i latini, orientato spesso, come abbiamo già ricordato, anche alla cura e ancor più spesso alla prevenzione delle malattie. E allora ricordiamo innanzitutto questo assunto, che richiama la prima della mie convinzioni in proposito. E cioè che lo sport che più ci deve interessare è quello delle donne e degli uomini, che siano associati o no, che praticano o intendono praticare una disciplina sportiva. E’ lo sport dei cittadini, o come l’abbiamo denominato per parafrasare la nostra qualifica di reggiani, “lo sport delle persone”. In questa consapevolezza non c’è nulla che possa irritare l’associazionismo sportivo, (preferisco definirlo così piuttosto che “movimento” per sgravarlo di ogni implicazione politica), associazionismo che ritengo un valore fondamentale del nostro territorio, un valore distintivo dello sport reggiano. Un bene da preservare e da accrescere ancora, se possibile.     

L’ultima conferenza dello sport oltre vent’anni fa

La seconda scoperta cui è pervenuta la nostra ricerca, propedeutica alla iniziativa di quest’oggi, riguarda la data dell’ultima conferenza dello sport (non voglio chiamarla “stati generali” perchè non amo copiare gli “originali”, né penso sia utile richiamare sempre la rivoluzione francese alla quale pur mi sento personalmente legato nei principi di uguaglianza, di libertà e di fraternità). Mi è stato riferito che l’ultima conferenza dello sport cittadino risalirebbe addirittura al 1987, e la cosa mi ha da un certo punto di vista sorpreso e da un altro anche un po’ gratificato. Perché nel 1987 ero proprio io l’assessore allo sport, nonchè vice sindaco di Reggio Emilia. Ora non voglio dire che se non fossi tornato nella vecchia trincea, per merito o colpa del sindaco che ha voluto propormi la stessa delega di allora, la conferenza dello sport non si sarebbe tenuta mai più. Però il fatto che oggi siamo qui insieme almeno può testimoniare la mia volontà, che non è mai cambiata in questi oltre vent’anni, che resta quella di concepire l’attività amministrativa sulla base di un’ampia disponibilità al dialogo e al confronto. Eppure non sono mai stato un assemblearista spinto, assertore di una sorta di democrazia diretta molto in voga negli anni settanta, ma poi caduta in crisi e sostituita con l’esigenza di governare e di decidere. Si può e si deve decidere, ma senza l’arroganza di chi si nega al dialogo ed ha timore del contributo critico. Al confronto ho creduto cercando di utilizzare al meglio il direttivo della Consulta sportiva, col quale abbiamo avuto modo di stabilire un rapporto di continue sollecitazioni e di scambi di idee, e che è stato recentemente rinnovato dall’assemblea. E’ mia ferma intenzione riunirlo ancora almeno mensilmente. Contemporaneamente ho tenuto stretti contatti con il Coni, con gli enti di promozione sportiva, con il Comitato paralimpico, con tutte le società e gli enti che mi hanno voluto fornire indicazioni e stimoli in questo anno e mezzo di attività. Ne ho ricavato non solo l’impressione di un tessuto sportivo quasi unico in Italia per consistenza, ma anche di un corpo vivo e vitale, consapevole del momento di profonda crisi che sta attraversando la finanza locale e sulla quale più oltre mi diffonderò, e nel contempo disponibile a fare appieno la sua parte per la soluzione almeno di alcuni problemi, un tessuto che ha capito che per soddisfare le esigenze dei singoli si deve anche corrispondere, chiedendosi non più solo “Che cosa può fare il Comune per me”, ma soprattutto “Che cosa posso fare anch’io per me” . Un tessuto di donne e di uomini che hanno fatto del volontariato un loro credo e che costituiscono una ricchezza fondamentale per il nostro territorio, composto di società che fanno capo a enti di provenienza diversa, e che mi pare oggi vogliano fare prevalere su tutte le vecchie antinomie l’esigenza di esistere e si sviluppare appieno le loro potenzialità. Con concretezza e amore per un’attività di educazione, di aggregazione, di socializzazione.

Le tre fasi della cultura sportiva nel Novecento

Viviamo oggi una fase nuova nella politica sportiva. Se volessi fissare in cicli le diverse impostazioni del passato, direi che abbiamo attraversato nel Novecento tre momenti fondamentali di cultura  dello sport. Il primo ad inizio del secolo scorso, quando lo sport si affacciò nel nostro mondo, anche grazie alle Olimpiadi e alle prime gare podistiche e di ginnastica e poi alle prime società di football e di ciclismo. Sembrava un nuovo fenomeno fatto di competizione e di lealtà, ma riservato per molti aspetti alle classi più abbienti e chiuso al mondo contadino che di fatica ne faceva già abbastanza e non aveva certo bisogno di nuove imprese. Il nuovo fenomeno, che faceva capolino per la prima volta come fenomeno di massa e non più di ristrettissime elite nobiliari, venne contestato anche per questo dai primi partiti popolari. Si trattava pur sempre di una disciplina che interessava solo le fasce della borghesia industriale. Scrive a tal proposito un giornalista e uomo politico di sinistra su “La Giustizia” del 2 ottobre del 1910, Renato Marmiroli: “Noi non amiamo i giri d’Italia e di Francia, le maratone sia grandi che piccole (la prima a Reggio si corse nell’ottobre del 1905), dove ogni corsa è anche un trucco per fare la reclame alla casa fabbricante la macchina. Noi reagiamo e protestiamo contro quegli sport in cui l’uomo si tramuta in bestia. Questo sportismo a noi ripugna”  E si aggiunge, a proposito della negazione del cosiddetto sportismo, il grido del giornale “La lotta” che sempre nel 1910 augurava “sante legnate a tutti i corridori”. Il fenomeno sportivo si allargò e divenne più popolare e fu sfruttato, questa è la seconda fase, dal nuovo regime fascista che dello sport fece un suo cavallo di battaglia. Ma di esso volle soprattutto esaltare l’aspetto competitivo, di sfida, di battaglia e di vittoria. L’atleta era paragonato al guerriero che sapeva sconfiggere i nemici stranieri o che in patria sapeva primeggiare sui più deboli col culto dell’invincibile. Una sorta di eroe, o di supereroe che sapeva suscitare onore come nell’antica Grecia e in parte anche a Roma. Un recupero della concezione dell’eroe classico in una duplice commistione, quella tra sport e guerra e quella tra sport e politica. La prima sbeffeggiata da Jessy Owen di fronte al Furher nelle Olimpiadi di Berlino del 1936, che in qualche misura ricorda la vicenda narrata, sia pure in campo calcistico dal famoso film “Fuga dalla vittoria”, la seconda esaltata da Achille Starace e dal Coni ai tempi del duce e da quei film “Luce” che mostravano la squadra azzurra di calcio vincitrice a Parigi in maglia nera e con il braccio alzato. Lo sport ignorato dalla politica e anzi contestato come fenomeno di estraniazione dalla politica dell’inizio Novecento divenne così lo sport come disciplina fondamentale per esaltare i valori di un regime fondato sulla cultura del più forte. Dal secondo dopoguerra la politica, e in particolare i partiti di sinistra, operarono una netta distinzione favorendo però la nascita di una vera e propria contrapposizione tra sport spettacolo e sport di base. Si sancì una rottura, ma anche una continuità: la rottura era nei valori sportivi, quelli della competizione erano sostituiti da quelli della educazione e della socializzazione, ma restava la subalternità dello sport alla politica, anche se finalmente l’organizzazione sportiva poteva eleggere i suoi dirigenti e dunque inneggiare alla libertà nello sport. I partiti si dotarono di vere e proprie associazioni sportive, il Pci, il Psi e la Dc fondarono i Pionieri, l’Assi, i Falchi rossi e altro, utilissimi in quel tempo per avvicinare giovani poverissimi allo sport, ma che sostituivano solo formalmente il rapporto tra sport e politica del vecchio regime. A Reggio furono anni formidabili e per impegno e per realizzazioni di impianti e devono essere ricordati con riconoscenza anche coloro, da Giulio Bigi a Virgilio Camparada ad Angelo Burani, che in tal senso si impegnarono con passione e disinteresse. Si esaltarono i valori e i programmi dello sport popolare, definito “democratico”, anche se è difficile immaginare uno sport antidemocratico, e con l’esigenza primaria di contrapporsi alla concezione dello sport esaltata durante il fascismo. La lotta allo sport spettacolo e anche allo sport competitivo era forse un po’ troppo fondata sulla necessità di distinguersi dal passato. Si poteva anche allora, in fondo, essere sportivi praticanti e nel contempo appassionati fruitori dello sport spettacolo, che non era certo l’oppio dei popoli. Non c’è sempre bisogno di dicotomie: convincersi, come cantava Gaber nella sua bella canzone, che la mortadella è di destra per avere il salame di sinistra, non porta vantaggi, come dire che il tennis è di destra e il podismo di sinistra, o generare posizioni secondo le quali il palasport, sorto a Reggio nel 1967, poteva essere costruito solo denominandolo “impianto polifunzionale”. Era solo  una giustificazione. Cioè una reticenza alla logica dei grandi impianti, di carattere puramente ideologico, superata attraverso una diversa definizione. Solo che “nomina sunt consequentia rerum”, come dicevano i latini e un Palasport è pur sempre e solo un Palasport, cioè un luogo dove certo si possono promuovere concerti e anche manifestazioni politiche, ma soprattutto disputare eventi sportivi.

La nuova cultura sportiva delle compatibilità, delle collaborazioni, delle coesistenze

Ho ritenuto opportuno ricordare questi tre periodi della cultura sportiva del passato perché credo che oggi siano tutti e tre superati. Lo è certamente il periodo della demonizzarne dello sport inteso come alienazione delle masse e in particolare dei giovani. Lo è il periodo della sola esaltazione dello sport come pura competizione. Ma lo è anche, a mio giudizio, il periodo delle grandi contrapposizioni tra sport popolare e sport di vertice, o non saprei come altro chiamarlo. Oggi siamo, per diversi motivi (la caduta di pregiudiziali ideologiche, la particolare crisi della finanza pubblica, la diversa conformazione delle società sportive, comprese quelle professionistiche, i finanziamenti che derivano dell’entrata in campo così prepotente delle televisioni nello sport), in una situazione in cui devono prevalere idee nuove, non più legate al passato. Alla fase delle grandi contrapposizioni noi oggi dobbiamo far succedere quella delle necessarie compatibilità, delle collaborazioni, delle coesistenze. La fine delle contrapposizioni è la nuova cultura sportiva. Prendiamo quella classica tra sport di base e sport di vertice. Entrambe possono essere oggi orientate a sostenere l’attività giovanile, in una nuova dimensione di collaborazione e di valorizzazione reciproca. Prendiamo la contrapposizione tra grandi impianti e piccoli impianti o impianti per lo sport cosiddetto di base. La moderna tecnologia ci fornisce al riguardo la più completa delle compatibilità. I piccoli impianti, palestre, sale per esercizi ginnici, sale pesi, piscine, possono e anzi ormai devono essere contenute anche all’interno di quei grandi impianti che non possono essere concepiti come cattedrali nel deserto, usati solo una mezza domenica ogni quindici giorni. E che, a mio giudizio, devono essere sostenute dall’intervento privato. Io presentai al proposito una proposta di legge sugli stadi e i palazzi dello sport alla Camera e larga parte di quel testo è contenuto nella nuova legge oggi all’attenzione della Camera dopo essere stata approvata dal Senato. La filosofia è semplice. Questi impianti devono essere occasione di guadagno per le società sportive e non di perdite per i Comuni, e devono contenere sia aree per la ricreazione e il commercio sia altre strutture sportive per lo sport di base. Così i Comuni potrebbero essere sgravati non solo dal peso eccessivo di questi impianti, ma anche dalle strutture per lo sport di base in essi contenuti. E già siamo così al superamento di un’altra vecchia contrapposizione: quella tra pubblico e privato. Oggi l’intervento privato è non solo auspicabile, ma necessario, tenendo conto delle gravi difficoltà in cui versano le finanze pubbliche. Non si può peraltro pensare all’intervento privato come a quello d’un benefattore. Occorre sollecitarlo, incentivarlo, favorirlo con tutte le contropartite utili e possibili. A Reggio abbiamo palestre e piscine private, che sono oggi necessarie come quelle pubbliche, spesso convenzionate con il Comune o la Circoscrizione, per dare risposte alle esigenze delle scuole e delle società sportive. Impianti privati a uso pubblico, dunque. Esperienze a tale riguardo interessanti si stanno promuovendo recentemente anche nella disciplina del golf, tradizionalmente così aristocratica. E perché mai dovremmo evitare di considerarle parte di un sistema che si fonda sulla necessità di corrispondere ai bisogni del territorio? Semmai occorre che l’ente pubblico orienti e localizzi l’intervento privato: questo è il nostro compito oggi. Non si possono costruire piscine e palestre private in un territorio già coperto e occorre invece favorirne l’edificazione in aree che ne sono carenti. Prendiamo, infine, la contrapposizione tra gestioni pubbliche e private, sulla quale mi diffonderò più avanti a proposito del passaggio delle piscine di via Melato alla Fondazione e da questa alle società sportive. L’esperienza di Reggio è a tale proposito davvero illuminante. Noi attraverso la Fondazione per lo sport, una struttura che è stata voluta dal mio predecessore Giovanni Catellani e che si è dimostrata strumento utile ed essenziale per la gestione e la promozione dello sport reggiano, non abbiamo più, tranne appunto, e per poche settimane ancora, le piscine di via Melato, alcun impianto sportivo gestito direttamente dal Comune. E neppure la Fondazione li gestisce direttamente, ma li affida all’esercizio diretto delle società sportive. Questo ha procurato vistosi benefici economici alle casse comunali, senza diminuire, ma anzi a volte aumentando la qualità delle prestazioni e conseguentemente dei servizi. Di questo devo dare merito a tutte le società sportive interessate e in particolare a quegli esponenti di esse che hanno dimostrato notevoli capacità manageriali.

Il bilancio del primo anno di lavoro: i risultati, le intuizioni, la strategia

In poco più di un anno di lavoro desidero presentare un primo bilancio dell’attività svolta dal mio assessorato in perfetta simbiosi con la Fondazione per lo sport. Un anno di lavoro serve, deve servire, soprattutto per impostare e cominciare a risolvere i problemi. Mi sono gettato a capofitto in questa nuova esperienza con entusiasmo e passione e, credetemi, col solo proposito di rendermi utile alla mia città. Questo anno è stato caratterizzato dalla stretta finanziaria, da un assurdo patto si stabilità che il governo ci ha imposto, dalla scarsissima disponibilità di mezzi. Ho capito che il problema era quello non già di finanziare e di gestire, ma di governare. E mi sono orientato a individuare una possibile strategia. L’ho trovata così. Occorre, da un lato, incentivare l’uso di risorse private e dall’altro razionalizzare la spesa. Noi oggi trasferiamo alla Fondazione per la gestione degli impianti sportivi e per altre attività circa 1milione e mezzo di euro in quota associativa. Solo le piscine di via Melato segnalano un disavanzo così consistente da gravare sugli altri capitoli di spesa. Allora si può e si deve risparmiare lì per potere investire da altre parti. Quando non ci sono soldi i soldi vanno cercati. A parte il fatto che un’operazione di contenimento dei costi laddove c’è stato un evidente sperpero di risorse si dovrebbe fare sempre, anche in presenza di una situazione florida, a maggior ragione tale operazione si deve fare nei momenti difficili quando si rischia di penalizzare altre attività. Perché se non si fosse intervenuti è evidente che si sarebbe determinata una profonda disparità di trattamento tra discipline sportive diverse. Alcune troppo foraggiate e altre per nulla sovvenzionate. E se non avessimo individuato questo pericolo, noi ci troveremmo nel giro del prossimo anno ad avere una singolare situazione. Le piscine di via Melato avrebbero superato, per contribuzione comunale, la somma di tutti gli altri impianti reggiani. E siccome le risorse non sono previste in aumento avrebbero finito per prosciugare nel tempo anche parte di quelle stesse risorse riservate agli altri impianti comunali. Quindi abbiamo individuato il problema di fondo e abbiamo dato ad esso una risposta: il passaggio delle piscine alla Fondazione, che verrà ratificato entro la fine dell’anno, e il successivo affidamento in gestione diretta degli impianti, cosa che è ormai in via di definizione, nel pieno rispetto delle normative italiane ed europee. Pensiamo ragionevolmente di contenere la spesa e di recuperare quelle risorse che verranno poi investite per risolvere alcuni problemi di impiantistica sportiva. Oltre ad avere individuato e posto ormai a soluzione un grande problema, sono state avviate le procedure per la ristrutturazione di otto nuovi impianti per lo sport di base con un metodo nuovo e che presuppone la disponibilità ad intervenire delle stesse società sportive, nonchè il diretto coinvolgimento della Fondazione. Con la partecipazione delle società sportive e con la modifica del sistema di concessioni d’uso degli impianti, noi, tra poco tempo, inaugureremo diverse strutture, tra le quali quella della nuova sede della Cooperatori ciclisti, proprio di fianco al circuito Cimurri che meritava una adeguata manutenzione, il nuovo spogliatoio della Reggio United, il campo in sintetico della Galileo, i nuovi locali dell’U.S. San Pellegrino. Poi in primavera il campo in sintetico di Reggio calcio, gli spogliatoi dei campi di San Prospero, Roncocesi e forse anche dello stadio di baseball. Essere riusciti a investire in impianti sportivi nel momento di più acuta crisi della finanza locale lo ritengo qualcosa di miracoloso: e di questo devo ringraziare il Sindaco che ha creduto nell’operazione e il presidente della Fondazione Anzio Arati. In questo contesto va anche ricordato l’accordo produttivo tra la nostra Fondazione e la società Pallacanestro Reggiana che ha sortito la ristrutturazione della palestra di via Cassala con un intervento di riqualificazione che non solo valorizza l’immobile, ma non chiude la porta alla frequentazione delle scuole e delle altre società sportive. L’unica cosa che mi è davvero dispiaciuta è non aver potuto partecipare alla sua inaugurazione, per motivi di calcoli, non aritmetici, ma biliari. Abbiamo anche riaperto i distinti del nostro stadio, ancora purtroppo nelle mani del curatore fallimentare, ma spero per poco. Si è trattato di un intervento di messa in sicurezza secondo le normative del decreto Amato senza alcun onere per il Comune e interamente pagato dalla società proprietaria dei Petali e cioè la Development. Si sono anche poste le basi finanziarie per l’edificazione della nuova piscina coperta di Aquatico che figura nel piano triennale delle opere pubbliche del Comune e il cui cantiere prenderà forma tra pochi mesi e così a proposito di cantieri abbiamo inaugurato quello per la costruzione della palestra di Rivalta, un’opera essenziale per tutta la zona sud di Reggio. La nuova piscina coperta di Aquatico servirà da un lato per ammortizzare i costi di gestione delle piscine scoperte inaugurate anni orsono di fianco allo stadio di Reggio che mi auguro presto possa chiamarsi stadio di Reggio, città del tricolore, e dall’altro per dare risposte anche in caso di ristrutturazione degli impianti di via Melato, ai bisogni del nuoto. Abbiamo anche promosso e contribuito a sostenere diverse manifestazioni sportive che sono ormai tradizionali a Reggio. Penso alla Gran fondo di ciclismo, alla Maratona di Reggio, ma anche alla nuova esibizione dei paracadutisti venuti nella nostra città da ogni parte del mondo e che hanno voluto lanciarsi ed atterrare dinnanzi al nostro bel teatro Municipale Valli con una esibizione che devo per forza definire teatrale. Sembravano uccelli piovuti dal cielo. E penso agli sforzi che già stiamo profondendo per dare alla partenza del Giro d’Italia prevista per il 9 maggio da Reggio un particolare significato legato com’è alla paternità reggiana del tricolore in occasione del Giro che celebrerà i 150 anni dell’Unità d’Italia. Un lavoro notevole, alcuni risultati tangibili. E vengo invece al futuro.

Un assessorato leggero

Il mio assessorato è davvero leggero. Non ha personale se non nella misura di una paio di unità, non ha risorse, non ha gestioni a cui sovraintendere. Eppure ha il più grande bacino di aggregazione di qualsiasi assessorato perchè ad esso fanno riferimento oltre 50 mila sportivi associati, ma in realtà di più se consideriamo tutti coloro che fanno sport, prospettando problemi ed esigenze numerose, spesso urgenti e tutte ritenute rilevanti. Un assessorato che ha una marea di richieste, di inviti, di relazioni, di tagli di nastri e di conferenze, di incontri, di cene, di saluti, di presenze obbligatorie o quasi perchè naturalmente ogni società produce la più importante delle manifestazioni, la più esaltante, la più significativa, insomma la manifestazione a cui non si può rinunciare e alla quale è vietato mancare. Vien quasi meno il tempo per pensare, per programmare, per cercare soluzioni ai grandi problemi, assorbiti come si rischia di essere, nel quotidiano. Io ho fatto una scelta. Vado dove posso, lavoro più che posso, ma devo avere il tempo per non essere inglobato nel ritmo che mi impongono gli altri. La crisi della partecipazione alla politica ha forse generato ancora più partecipazione all’associazionismo sportivo. Non chiedo e non chiederò, per parafrasare Andrea Costa a proposito del mio assessorato, né un uomo né un soldo. Penso di poterne fare a meno. Perchè il mio compito è quello di far leva sui finanziamenti privati e sulla riconversione della spesa come ho già anticipato. Poi se verranno anche uomini e soldi tanto meglio, io certo non li rifiuterò.

I dieci punti del programma futuro

Ho presentato all’attenzione del Coni, degli enti di promozione sportiva, del comitato paralimpico reggiano che hanno costituito con me il tavolo che ha posto le premesse di questa iniziativa un piano composto di 10 punti programmatici che oggi sottopongo alla vostra attenzione. Non mi aspetto né un sì ne un no. E non voglio neppure che ognuno di voi si senta in dovere di esprimersi in via definitiva sulle proposte che poi farò e che saranno occasione di un approfondimento specifico e di settore, per poi riportare il tutto a una riunione plenaria da promuovere nei primi mesi del prossimo anno. 

Il verde, i parchi, le piste ciclabili, il museo della bicicletta

Al primo punto ho fissato una questione che si rapporta all’idea di sport che ho tracciato in premessa. Lo sport di tutti coloro che lo praticano, a prescindere dalle affiliazioni alle varie associazioni. Se noi dobbiamo farci carico della pratica sportiva allora dobbiamo pensare che i contenitori di tale pratica non sono solo le palestre, le piscine, i vari impianti sportivi, ma anche il verde, i parchi, le piste ciclabili, i sentieri della nostra campagna. Per questo ho posto come primo obiettivo del nostro programma alcune opere che riguardano l’ambiente. Innanzitutto la possibilità di procedere nel tracciato che costeggia i nostri tre torrenti, quello del Crostolo, già in larga parte definito, quello del Rodano e quello del Modolena, tracciati che sono stati lanciati e in parte contenuti nel piano triennale. Occorre unire il parco di Marte con quello più recente, oggi divisi dalla ferrovia, con un sottopasso che ci impegniamo a edificare nel 2013, anch’esso previsto nel piano triennale. Occorre, per quanto riguarda i percorsi anche ciclabili, completare quello sul Crostolo nella parte cittadina. Esiste un problema complicato che riguarda l’attraversamento a nord della città in zona annonaria a causa di un vincolo posto dal magistrato del Po per il percorso che dovrebbe entrare nell’alveo del torrente. Occorre poi, da un lato, prolungare il percorso del Crostolo fino a Canossa e dall’altro consentire, con l’apporto dei comuni interessati alla edificazione del percorso, il suo prolungamento fino a Guastalla. Da Canossa a Guastalla, dunque, “tutti in bici” per parafrasare il nome della nostra associazione ciclofila. Legato alla bici e ricordando che Reggio Emilia è la città delle bicicletta per numero di chilometri di piste ciclabili in assoluto, circa 160, (pensiamo che Milano che ne conta solo cinquanta), occorre dare una risposta alla necessità di sistemazione del museo della bicicletta, che da nove anni attende una adeguata destinazione. Le bici di Cimurri sono purtroppo ancora affastellate nel magazzino del Comune e tenute come salami ai soffitti. Sulla sua nuova ubicazione abbiamo raggiunto un accordo con le aziende che stanno recuperando il mercato coperto e pensiamo che la sua sistemazione definitiva possa essere quella della Casa dello studente, anche se dovremmo trovare nel giro dei prossimi mesi una ubicazione transitoria.

L’etica sportiva

Come secondo obiettivo ho proposto il tema dell’etica sportiva, individuando lo sport come momento di educazione, di socializzazione, di prevenzione e anche di cura. Occorre stabilire un rapporto di collaborazione fattivo e costante tra Amministrazione comunale e Ausl da un lato e tra Amministrazione comunale e Centri di prevenzione e recupero dall’altro. In particolare, attivando una cooperazione tra servizi educativi comunali e socio-sanitari con la Fondazione per lo sport, il Coni, gli Enti di promozione sportiva e le società sportive al fine di combattere l’uso delle droghe di vecchia e nuova generazione, indirizzando a ciò risorse destinate allo sviluppo di progetti e favorendo la stipula di convenzioni. Giusto qui ricordare il ruolo del Centro di medicina dello sport, che venne fondato nel 1980, due anni prima che una legge redendese obbligatoria la prevenzione  nelle attività agonistiche. Il dottor Guiducci mi ha rivelato che nel 2011 si svolgerà a Reggio il congresso nazionale della cardiologia sportiva.

Sport e scuola

Al terzo punto sta il tema del rapporto tra sport e scuola. Obiettivo primario è quello di creare sinergie con Coni, Cip, Enti di promozione sportiva e Federazioni, anche attraverso un accordo di programma con la Fondazione dello sport affinchè all’interno delle scuole si realizzino i seguenti obiettivi: avviamento alla pratica sportiva nelle scuole primarie, così come già affrontato nel progetto Giocosport giunto alla 13esima edizione, presentazione nelle scuole secondarie di tutte le discipline sportive, favorire la conoscenza da parte degli studenti di tutta l’impiantistica sportiva comunale, invitare gli studenti alle manifestazioni sportive più rilevanti, favore l’integrazione attraverso lo sport tra studenti di diverse nazioni ed etnie, mappare le palestre (comunali, provinciali, private) idonee alle attività fisiche di tutti gli studenti.

La fondazione per lo sport. Non solo gestione

Come quarto obiettivo, ma di questo parlerà più diffusamente il presidente Anzio Arati, ho posto il tema del rapporto tra assessorato e Fondazione per lo sport. Come ho già ricordato l’assessorato non ha apparato e finanziamenti  e deve assumere sempre più la funzione di ordinatore e di programmatore degli interventi, deve governare la realtà sportiva in accordo con il mondo sportivo, ma non deve e non può gestire. Questa funzione, assieme alle altre previste del suo statuto, viene attribuita alla Fondazione per lo sport. Non ne sono geloso, anzi penso che l’assessorato debba davvero sempre più divenire un luogo di raccolta, di relazione, di decisione in merito alle vicende sportive. L’assessorato leggero non è un assessorato debole, anzi è un assessorato forte, perché sgravato di altre responsabilità che non siano quelle relative alle scelte di fondo Come quarto obiettivo di lavoro abbiamo proposto il tema  della edificazione degli impianti per lo sport di base, e ho citato alcune opere già in cantiere, sulla base di un nuovo rapporto con le società sportive. operazione che – compatibilmente con nuove risorse reperite – potrà continuare anche nei prossimi anni.

Il piano piscine e il piano palestre. Decolla Aquatico

Come quinto obiettivo ho collocato il piano piscine e il piano palestre. Bisogna essere consapevoli delle esigenze che ci sono al riguardo, tenendo presente le risposte date, sia strutture pubbliche sia da quelle private. Nel piano palestre occorre tenere presente la necessità di corrispondere ai bisogni delle scuole e delle società sportive, ma anche dei cittadini con orari che permettano loro di poter usufruire di un servizio che non può essere completamente egemonizzato dalle società sportive, le quali poi devono trovare il modo di saper convivere a prescindere dalla diverse collocazioni in enti e associazioni. So che questo è un punto molto delicato, ma io sono per natura contrario a qualsiasi forma di arroganza e di privilegio e favorevole invece al pluralismo e alla apertura a nuove esigenze. Questo vale anche per le piscine, che devono trovare maggiore spazio per i cittadini senza etichetta. Nel piano piscine una funzione ancor più decisiva assume il rapporto tra pubblico e privato. Esistono a Reggio già alcune piscine private: Eden, Onde chiare e in un rapporto tra pubblico e privato anche Aquatico. La edificazione da anni prevista della piscina coperta di Aquatico, questo è il sesto obiettivo, sarà una nuova occasione per corrispondere ai bisogni del mondo sportivo e dei cittadini e potrà avere delle ricadute anche sul complesso natatorio di via Melato. Aggiungo che sia per le palestre sia per le piscine deve venir meno l’auto-attribuzione della gratuità del servizio. Sono ancora troppe le notifiche di mancato pagamento e questo non è un offesa al Comune, ma a tutte le società e i cittadini che i servizi li pagano davvero. E sempre per restare a questo tema segnalo la notevole attività che sta impegnando il Comitato paralimpico presieduto con passione e disinteresse da Vincenzo Tota, con la promozione a Reggio dei campionati italiani paralimpici e con la nostra Cecilia Camellini campionessa mondiale e olimpica a più riprese e destinata a raggiungere sempre nuovi e più ambiziosi traguardi.

Le piscine di via Melato alla Fondazione

Il settimo obiettivo, che di fatto è già raggiunto, riguarda il trasferimento delle piscine di via Melato alla Fondazione. Di questo ho già parlato, ma voglio ugualmente aggiungervi qualche considerazione. A coloro che hanno protestato, ma non credo siano cittadini informati o in buona fede, ricordo che nessuna piscina della provincia è gestita direttamente dai comuni, che nessuna piscina di Parma e di Modena è gestita direttamente dai comuni. E soprattutto ricordo che nessun comune ha un indebitamento così alto come il nostro per un complesso natatorio e per di più in un momento così delicato per le finanze locali. Solo un irresponsabile avrebbe potuto ignorare questo problema. E credo di non dover essere per questo accusato né dai fruitori del servizio né dai dipendenti dell’impianto. Questi ultimi non avranno alcun problema, quelli a tempo indeterminato potranno restare dipendenti comunali e quelli a tempo determinato avranno maggiori possibilità di utilizzazione. Il servizio non verrà privatizzato, come è stato scritto da qualcuno, a meno che non si creda che tutti gli impianti sportivi passati alla Fondazione, e gestiti dalle società sportive, siano stati privatizzati. E anzi, a fronte, e sono dati ufficiali in nostro possesso, di una continua e preoccupante diminuzione di ingressi di cittadini, dunque di incasso delle nostre vasche, l’obiettivo è proprio quello di aumentare gli spazi orari concessi al pubblico, cioè ai cittadini, fermo restando le attuali tariffe e i prezzi d’ingresso che resteranno competenza esclusiva del Comune. Il servizio non subirà alcun peggioramento di qualità, a meno che non si creda che tutte le piscine degli altri comuni, che le piscine di Parma e di Modena, che tutti gli altri impianti sportivi reggiani siano gestiti in modo da aver prodotto una scarsa qualità dei servizi. La sfida, con la nuova gestione, darà la possibilità di produrre quelle risorse che sono indispensabili, mai come ora, per nuovi investimenti per l’edificazione di nuovi impianti sportivi.

Il parco dello sport tra Mirabello e via Terrachini

L’ottavo obiettivo rappresenta  un ulteriore salto di qualità di tutta l’area che partendo dal vecchio Mirabello arriva a via Melato e da qui alla pista di atletica leggera. Nel corso della manifestazione d’interesse contemplata dal Piano urbano di riqualificazione della zona sono stati presentati diversi progetti. A prescindere da quello prescelto, e che portà materializzarsi, resta l’esigenza che abbiamo più volte sottolineato e cioè di unificare l’intero parco e di mettere dunque insieme le tre attività del nuoto, del tennis più sport collegati e dell’atletica leggera. Un parco collocato ai fianchi della città, che dovrebbe presupporre anche l’eliminazione di una strada e l’aggregazione dell’area del campo di calcio collocato sul lato nord. Un parco dello sport per i cittadini e per le società sportive, che impone l’utilizzazione diversa del campo di atletica.

Il nuovo impianto di atletica leggera e dell’indoor

E’ pertanto urgente, e questo rappresenta il nono obiettivo, pensare a un nuovo impianto di atletica leggera, capace di risolvere definitivamente anche l’irrisolto problema dell’indoor. Abbiamo collocato in cima ai nostri progetti questo obiettivo della realizzazione del nuovo impianto di atletica e ci siamo impegnati alla sua realizzazione entro la fine di questo quinquennio, pensando anche ai tanti atleti che Reggio ha partorito e che sono stati adeguatamente ricordati nel libro di Gianni Galeotti, primo tra tutti, assieme al mitico Dorando Pietri che il filo del traguardo lo superò solo con l’aiuto dei giudici e fu per questo squalificato a Londra nel 2008, ma proprio per questo entrò nella leggenda, il nostro Baldini, campione olimpico di maratona nella patria di Maratona.

La città dello sport

Il decimo obiettivo riguarda la città dello sport che è ormai sorta a Mancasale e che confina con la ferrovia Reggio-Guastalla, collegata alla stazione centrale, e che sua volta si collegherà in pochi minuti alla nuova stazione dell’alta velocità. Un’area importante e significativa per Reggio Emilia, una occasione da sfruttare appieno. Anche per questo per valorizzarla e farla divenire un territorio di eccellenza per lo sport, per il tempo libero, per lo spettacolo e la musica all’aperto e al chiuso, sono impegnato a risolvere la questione della proprietà dello stadio oggi in mano al curatore fallimentare e che non può certamente diventare proprietà del Comune, perchè, come ho già più volte ripetuto, sono nettamente contrario agli stadi di proprietà comunale e sarebbe davvero un singolare paradosso che mentre tutti sono orientati a costruire stadi privati, l’unico stadio privato d’Italia diventasse pubblico e, nel contempo, sono fermamente impegnato a realizzare il nuovo palazzo dello sport (con due palestre incorporate) che dovrebbe sorgere nell’area a sud dello stadio di Reggio. Per il nuovo Pala si sono sprecate promesse e generate illusioni che risalgono ormai al lontano 1985. Normale dunque che a fronte di un nuovo concreto impegno si nutrano riserve e perplessità. Concludo. Non vorrei aver esagerato nel proporvi obiettivi. Qualcuno potrebbe arricciare il naso e dubitare del mio realismo. Ma io credo che tutto questo si possa fare davvero. Citare il “si può fare” di qualche anno fa oggi non è più di moda.E allora la metto così. Io ce la metterò tutta e sono convinto che insieme ce la possiamo fare davvero.

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