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Epicuro e il tetrafarmaco

7 Febbraio 2011 7.109 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Noi pensiamo spesso all’epicureismo e al suo fondatore, il filosofo di Samo Epicuro, che nacque nel 341 avanti Cristo e morì in Atene nel 271, come se egli avesse teorizzato il piacere del corpo da soddisfare, e siccome Epicuro paragonava la vita a un banchetto magari ci vengono pure in mente le cene di Arcore. E belle e giovani donne da scopizzare (il mairè Vittorio Emanuele IV aveva coniato al telefono, registrato, il verbo regale “scopicchiare”). E vino e alcool in quantità ed orge di massa. Niente di più falso. E’ vero che l’epicureismo, che trovò molti adepti anche in Roma, e durò fino all’affermarsi del cristianesimo, sarà poi bandito dai padri della Chiesa come immorale, ma non perchè abbia mai tessuto le lodi del piacere erotico, quanto perchè basava parte della sua impostazione sulla materialità. D’altronde Epicuro era convinto di due cose. Innanzitutto che tutto fosse materia (seguiva le impostazioni atomistiche di Democrito e pensava che anche l’anima fosse composta da atomi, non si sa perchè più piccoli e rotondi) e poi che gli Dei non si occupassero dell’uomo. Anche Aristotele, d’altronde, la pensava così quando affermava che, essendo Dio perfetto, egli pensava solo alle cose perfette. Cioè quel Dio pensava solo a se stesso nell’autocontemplazione più assoluta. Si specchiava continuamente, altro che, neanche fosse Belen Rodriguez. Ed Epicuro diceva che: se esiste il male allora Dio non potrebbe evitarlo (in questo caso Dio sarebbe buono, ma impotente), oppure Dio non vorrebbe evitarlo (in quest’altro caso Dio sarebbe addirittura cattivo), oppure non potrebbe e non vorrebbe evitarlo (allora sarebbe sia cattivo che impotente, più o meno come D’Alema). Ma che razza di Dio sarebbe mai costui? No, Dio non si occupa del male perchè non si occupa di noi. Chiaro? E’ lassù a farsi i cavoli suoi. D’altronde quante volte abbiamo sentito dire anche oggi: “Ma che Dio è quello che rende possibili le guerre, i terremoti, le tragedie più allucinanti?”. Secondo Epicuro, che è l’unico che dia una risposta a queste domande, Dio non si occupa di questo mondo. Se ne strafotte. E quaggiù di noi dobbiamo occuparcene noi, coi nostri pregi e difetti, con le nostre ansie e paure. E allora Epi, chiamato così dalle sue donne che frequentavano il suo giardino al pari degli schiavi (in questo Epi era davvero rivoluzionario), mette in commercio il suo tetrafarmaco. La cosa è veramente strabiliante perchè il filosofo di Samo sostiene di volere curare l’uomo. E lo vuole curare non con erbe mediche e neppure con sostanze ipnotiche, ma con la filosofia. La filosofia diventa così strumento per raggiungere la felicità. Meraviglioso. Il tetrafarmaco consiste in questi quattro rimedi (o pastiglie filosofiche): 1) Pastiglia per curare la paura degli dei (la consapevolezza che gli dei non si interessano di noi e non daranno premi o castighi dopo la morte, altro che inferno e paradiso…) 2) Pastiglia per curare la paura della morte (la consapevolezza che “quando noi ci siamo ella non c’è e quando lei c’è noi non ci siamo più”) 3) Pastiglia per curare la mancanza di piacere (su questo Epi elabora due distinzioni di piacere, quello statico e quello dinamico; quello statico, cioè durevole, va soddisfatto, quello dinamico, e cioè fuggente e che passa in fretta, invece no perchè procura poi dispiacere). 4) La pastiglia contro il dolore fisico (se il male è lieve è sopportabile, se è acuto passa presto e se è acutissimo allora arriva presto la morte). Forse Epi aveva in animo anche di fondare una casa farmaceutica, la prima della Grecia antica. E una casa di cura filosofica. Coniò anche un termine pubblicitario: “Con Epicuro rimedio sicuro”. E sul piacere approfondì la sua ricerca. Anche perchè “non si è mai troppo vecchi o troppo giovani per essere felici. Uomo o donna, ricco o povero, ognuno può essere felice”. Sol che dia ascolto a lui, santone greco (magari oggi orientaleggiante) che la sapeva lunga. E che sosteneva che i bisogni andavano suddivisi in naturali e necessari, naturali e non necessari, nè naturali nè necessari. Bere acqua è un bisogno naturale e necessario, bere vino è bisogno naturale e non necessario, cercare gloria e ricchezza è bisogno nè naturale nè necessario. E allora lui, Epi che la sa lunga, sosteneva che tutti i bisogni naturali e necessari andavano soddisfatti, quegli altri solo ogni tanto (qualche bicchiere di vino sì, prima e durante i pasti, ma una sbornia no) e che gli altri andavano evitati. Dunque al bando la vita pubblica, ad esempio, perchè provoca la soddisfazione dei bisogni insani. Essere eletti e chiedere il voto, mamma mia che tensione. Qui il nostro capovolge le idee di Platone e di Aristotele per i quali la vita politica era un dovere. Ma bisogna anche ricordare che Epicuro vive la crisi della democrazia ateniese e che ogni crisi democratica porta al riflusso (vedasi l’affermarsi del dipietrismo e del grillismo in Italia). Occorreva l’atarassia (Di Pietro ha sostenuto in tivù d’essere molto più tarassico e talassista del Pd), E l’atarassia è la mancanza di tensioni per raggiungere la felicità. L’imperturbabilità di fronte alle passioni. Elevarsi “au dessu de la melèe”. Con lo stesso stato d’anino del poeta quando declamava: “Non ti curar di loro ma guarda e passa”. Epi paragonava la vita a un banchetto, mica di quelli di oggi però. Un banchetto dove ognuno poteva essere anche cacciato. E allora che cosa c’è di meglio che alzarsi ogni tanto e andare via. “Via, vieni via con me”, per parafrasare Conte e Fazio. Ti portano acqua e bevila, no? Ti portano vino e chiedi ad Epicuro quanto ne puoi bere. Ti portano duemila euro e rifiutali. Tanto si può essere felici anche da poveri. Forse è per questo che i padri della Chiesa lo hanno messo al bando.

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