Un teatro per che cosa
Si parla del nostro teatro solo per questioni finanziarie. Per tagli e ritagli, per spese e risparmi. Si potrebbe obiettare, per gli uni, quelli che rivendicano le conseguenze dei vari patti di stabilità, che il teatro non è una macchina improduttiva e priva di indotto, per gli altri, coloro che si stupiscono che anche la dimensione teatrale appartenga a questo mondo, che non sempre la cultura di qualità si produce o si consuma con tetti alti di spesa. Naturalmente dovremmo anche metterci d’accordo, o quanto meno iniziare a discutere, di che teatro parliamo. Quello di Reggio, teatro di tradizione, da non confonderlo con gli enti lirici e teatri locali, è sempre stato concepito come teatro musicale. O prevalentemente musicale. Cioè finanziato dallo Stato su progetti con la presenza di orchestra. È dotato di stagioni, che l’ex direttore artistico voleva inserire in un unicum piuttosto discutibile, articolate in lirica, concertistica, prosa, danza. Anni fa si riteneva, quando ancora l’Ater era una scommessa, che ogni teatro dovesse specializzarsi. Per Parma si pensava alla lirica, per Reggio alla danza, per Modena alla prosa. Poi l’esperienza ha insegnato che si trattava di un’iIllusione. Tutti producevano un pò di tutto e la lirica, la stagione più dispendiosa, non circuitava per nulla, tanto più da quando alla lirica si è aggiunto il festival Verdi, una sorta di doppio primato sul genere da parte del teatro di Parma. Nel frattempo l’Aterballetto è stato anch’esso attraversato da difficoltà e il Centro della danza pervaso da debiti e da insolvenze gravi. Tanto che tuttora si parla di una sua dislocazione in sede solo locale, magari all’interno del nostro teatro. Di quale teatro stiamo parlando dunque quando parliamo di teatro? Non certo di quello tradizionale, capace di investire nelle produzioni liriche come ai tempi di Pizzi, e nemmeno di quello capace di ospitare a Reggio il meglio delle produzioni degli enti lirici di Milano e di Bologna, come ai tempi miei. Non possiamo neppure parlare di un teatro di produzione della danza e di forte diffusione di questa disciplina come ai tempi dei festival danza così sontuosi, della mostra su Martha Graham e via dicendo. Il nostro teatro non può risplendere dei vecchi fasti, che erano possibili, oltre che per la creatività dei suoi dirigenti, anche per la notevole disponibilità di fondi. Dovremmo partire di qui per iniziare un confronto che vorrei aprire non da amministratore, ma da semplice appassionato. E dico la mia, la dico anche dopo la nomina del nuovo direttore artistico che sarei molto lieto esponesse pubblicamente il suo progetto. Penso che il futuro del nostro teatro stia nella valorizzazione del meglio delle scoperte del suo passato, conciliato con la forza della sperimentazione di nuovi progetti fondati sul contributo di giovani talenti. Cito due esempi concreti. Il primo è il rilancio immediato del Concorso Masini per giovanni cantanti lirici, oltre che la conferma del Premio Borciani per quartetti d’arco. Per ciò che riguarda il primo parlo di necessaria valorizzazione, non della sua semplice riedizione. Che senso ha infatti lanciare voci che poi girano il mondo intero, ma non vengono utilizzati a Reggio? È un pò come una squadra di calcio che lancia giovani che vengono poi sfruttati da altre. Una sorta di autolesionismo sportivo-teatrale. Dunque legare la scoperta di talenti alla produzione teatrale credo sia oggi, oltre tutto, una necesità in tempi di vacche magre. Il secondo esempio, visto che prosa e sinfonica non presentano soverchie spese, riguarda la danza. Perchè non riprendere una produzione reggiana da far girare negli altri teatri dell’Emilia, innanzitutto, e perchè non scambiare danza con lirica? Non sta mica scritto nella costituzione che dobbiamo scambiare opera con opera, no? E riprenderei anche la simpatica e riuscitissima esperienza dello scambio del pubblico. Bologna porta nel suo teatro i reggiani per una singola rappresentazione, Parma per un’altra, Reggio ricambia con la danza. Le idee non mancano. Manca il modo di confrontarsi e anche la curiosità necessaria. Manca un progetto del nuovo teatro di Reggio che vale molto di più di tante conferme o cambiamenti. Ma se continuiamo a parlare solo di tagli, facciamo un cattivo servizio a noi stessi. C’era un tempo in cui senza molti soldi e con zero o quasi dipendenti fuori dal palcoscenico (cito non a caso questo dato) il nostro teatro dava il meglio di sè. Il mondo è cambiato, però…
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