Ricordare Dossetti ognuno con la propria storia
Nessuno può certo contestare che Giuseppe Dossetti sia stato un illustre reggiano, da ricordare in questo centesimo anniversario della sua nascita e anche da celebrare con un’importante serie di iniziative e con la prestigiosa intestazione della nostra Università. Giuseppe Dossetti, anche se nacque a Genova, è da considerare reggiano a tutti gli effetti, essendo la madre originaria di Cavriago, ove gestiva una farmacia. Si laureò a soli 21 anni e fu subito incaricato all’Universita di Modena, la stessa alla quale si propone oggi il suo nome. Di Dossetti è giusto ricordare la sua partecipazione diretta alla lotta di liberazione, in particolare attraverso la creazione delle Fiamme Verdi, la cui nascita risale all’estate del 1944, dopo dure polemiche con la componente comunista delle brigate Garibaldi sul tema delle eliminazioni mirate e del ruolo dei commissari politici nelle brigate partigiane. Ma già all’indomani del 25 aprile Dossetti fu, con Fanfani, La Pira e Lazzati, promotore della rivista Cronache sociali e della tendenza politica che alla rivista faceva riferimento all’interno della Dc. La scommessa della componente dossettiana, o dei professorini, come con un pò di volontario sarcasmo venivano definiti i suoi proseliti, era certo profetica anche se alquanto azzardata per l’epoca, tanto che a causa della sua mancata realizzazione, lo stesso Dossetti sarà indotto ad abbandonare l’attività politica. Dopo i governi ciellenisti, a partire dal maggio del 1947, anche in Italia inizierà quella rigida contrapposizione di valori e di società, che porterà a sfide titaniche tra comunismo e libertà. Una contrapposizione, però, che se da un lato negava i caratteri autoritari e financo sanguinari dello stalinismo, dall’altro difendeva ogni aspetto, anche deteriore, del capitalismo occidentale, anche nella sua versione arcaica di tipo italiano, a volte giustificando anche l’uso della forza. In un mondo che non si proponeva un confronto di programmi, e che negava di respirare a quell’afflato sociale di un moderno movimento d’ispirazione cristiana del quale Dossetti era promotore, non c’era più spazio per tendenze terzoforziste che non accogliessero nel suo seno nè il valore dell’autoritarismo del mondo comunista nè quello del capitalismo selvaggio. Ormai, e siamo agli inizi degli anni cinquanta, il contrasto di sistema era divenuto, anche a causa delle guerra di Corea, e dello stalinismo in salsa italiana combattuto attraverso lo scelbismo, un fattore inevitabile. E l’uscita di scena di Dossetti si prospettava come una logica conseguenza di una situazione internazionale e nazionale bloccata, e verrà poi improvvisamente interrotta solo nel 1956, allorquando egli stesso accettò il pressante invito del cardinal Lercaro di sfidare Giuseppe Dozza alle elezioni comunali di Bologna. A seguito di quest’ultima decisione il nostro Franco Boiardi, dossettiano della prima ora, pubblicò il suo libro “Dossetti e la crisi politica dei cattolici”. La tradizione del cattolicesimo di sinistra a sfondo sociale, che a Reggio, oltre a Boiardi, ha avuto altri ed autorevoli epigoni, a partire dal fratello di Giuseppe, Ermanno, che fu deputato della Dc dal 1963 al 1968 e poi preside del Liceo Classico Ariosto nel tumultuoso sessantotto, fino all’architetto Osvaldo Piacentini, e a Corrado Corghi, storico esponente della sinistra Dc, sia pur di tendenza più specificatamente fanfaniana, deve costituire uno dei versanti di ricerca e di valorizzazione storica. Non è un caso che le tendenze di sinistra siano state a lungo in maggioranza nella Dc reggiana e che l’influenza dossettiana sia stata dunque assai diffusa anche dopo il ritiro di Dossetti. Credo però che, nel contempo, non possano certo essere dimenticate altre tradizioni politiche e altre influenti personalità che le hanno interpretate. Che il centro sinistra reggiano finga di riconoscersi oggi solo in questa tradizione, attraverso questa così significativa intestazione, resti silenzioso e non ne aggiunga altre, mi pare sbagliato, miope, e anche autolesionistico. Non parlo solo, ed è evidente che a questa personalmente mi ricolleghi, della storia socialista e laica, che diede a Reggio i natali a grandi riformisti di portata nazionale ed internazionale, Camillo Prampolini in primis. Parlo anche della storia più recente, che ha avuto tra i suoi maggiori interpreti personaggi quali Alberto Simonini, socialdemocratico moderato, e Nilde Iotti, comunista d’impostazione riformista, per restare ai padri costituenti tra i quali va giustamente collocato anche Giuseppe Dossetti. E parlo anche di quel filone liberaldemocratico che trovò in Meuccio Ruini uno dei suoi più prestigiosi interpreti. Insomma ognuno, pur rispettando e magari anche raccogliendo il meglio del messaggio di quella altrui, in un rapporto di contaminazione che solo un approccio dogmatico può paventare, è figlio della propria storia. E le storie non sono tutte uguali. La mia si collega al socialismo riformista così fecondo nella nostra realtà locale, ma anche alla cultura laica e liberale che pure ha trovato ampio riscontro grazie ai primi impulsi economici creativi e modernizzatori di Giuseppe Menada, e sul piano politico e culturale dello stesso Meuccio Ruini. La riscoperta della cultura socialista e laica è d’altronde anche un mio personale fronte di ricerca storica. Che i cattolici di sinistra facciano altrettanto lo ritengo giusto e anche utile. Mi chiedo invece cosa pensino gli ex comunisti che pare abbiano delegato ad altri la rappresentazione del nostro comune passato e mantengano una sorta di idiosincrasia alla valutazione della storia. È vero che dal 1994 storia e politica si sono separate, io spero non definitivamente. È vero che i partiti italiani non hanno più una basa identitaria, ma io mi chiedo se questa non sia una delle cause della disaffezione alla politica, della sua così dilagante demonizzazione. C’era, ad esempio, una via maestra per la sinistra storica dopo il 1989 e la caduta del comunismo. E cioè la possibilità concreta di superare la storica separazione di Livorno e costruire un forte movimento socialista italiano. Si volle intraprendere un percorso diverso, più confuso e assai meno giustificato. Le responsabilità non sono a senso unico. Col risultato, però, che oggi la parte del Pd che proviene dal vecchio Pci è costretta a celebrare un ex democristiano, sia pur di sinistra, certo in assoluta coerenza e continuità con l’appoggio assicurato, per due legislature, a un presidente del Consiglio che proveniva dalla stessa area. È evidente che se questa importante componente poiltica non ritiene di voler recuperare la sua storia nè prendere a prestito quella dell’altro storico partito della sinistra, e peraltro si tratterebbe di una storia che è stata comune fino al 1921, finisce o per negare de facto la storia o per accettare una storia che, sia pure apprezzabile e significativa, nulla ha a che fare con quella della sinistra. E senza neppure tenere presente che la stessa storia comunista italiana e reggiana ha saputo presentare filoni innovativi, riformistici, financo eretici, ricollegandosi all’ultimo Gramsci, fino a Di Vittorio e Amendola, e a Valdo Magnani. Questo bisognerebbe dire ed è ben strano che sia io a ricordarlo. Lo faccio per amore della mia identità, che ritengo più che mai attuale, e per amore della verità. Si può ricordare e celebrarare Dossetti, riconoscergli un ruolo e una funzione rilevante nell”Italia repubblicana, che oggi si esprimono attraverso la prestigiosa intestazione dell’Università e lo si può fare anche senza mai essere stati dossettiani. Ma non si può, a mio giudizio, ricordare Dossetti pensando d’essere figli di nessuno o tutti figli suoi.
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