I terroristi sono tra noi
Quello che è successo in Canada ci costringe ad alzare il tiro. L’attacco al Parlamento con un comando che spara e uccide un soldato, mentre un attentatore di origine algerina trova anch’esso la morte dopo aver seminato il panico e anche il terrore fin nei corridoi del palazzo, non ha nulla a che vedere con la farsesca scena di Tejero, l’ufficiale spagnolo che nel 1981 si inserì nel Parlamento intimando ai deputati di curvarsi sotto i tavolini. Non c’è proprio nulla di improvvisato e di carnevalesco in questo nuovo attacco del terrorismo islamico mentre a Gerusalemme si ipotizza di matrice terroristica anche l’investimento e la morte di una neonata israeliana.
Certamente il Canada è un paese piuttosto esposto. Sarebbero ben 130 i canadesi partiti per la guerra santa e la nazione confinante con gli Usa fa parte del contingente che sta combattendo contro i tagliatori di teste. Restano tre questioni ineludibili. La prima riguarda la pericolosità e la difficile prevenzione di un fenomeno terroristico così frammentato e perfino praticato da un singolo individuo. Bisognerebbe conoscere tutti gli islamici a rischio, pedinarli dalla mattina alla sera, spesso impedendo a persone assolutamente pacifiche di vivere una vita normale. Occorre una prevenzione con l’aiuto degli islamici occidentali, moderati e non violenti. Quelli che meglio di qualsiasi altro possono prevenire anche questi attentati individuali. Un atteggiamento di disponibilità e di dialogo convincenti sono richiesti anche alle nostre autorità.
La seconda questione è puramente militare. Non so fino a che punto solo con azioni dall’aria si possono sconfiggere gli accesi criminali dell’Isis. La Turchia ha capito che non può rimanere indifferente e osservare dall’alto dei suoi monti il macello dei curdi. Ha aperto le frontiere, ma dovrebbe comprendere che mettersi il califfato ai suoi confini non porta certo garanzie di sicurezza e di tranquillità. Penso anche che in azioni di terra debbano essere pienamente coinvolte l’Iran, visto che il massacro riguarda anche la popolazione sciita, e la Siria, con tutte le possibili cautele per non favorire la permanenza di Assad e il soffocamento delle correnti laiche della sua opposizione.
La terza questione è puramente politica. Solo con l’azione militare non si sconfiggerà il terrorismo islamico. Occorre che l’Occidente e i paesi arabi moderati assumano l’impegno di porre a soluzione una volta per tutte la questione palestinese e quella curda, che vengano migliorati i rapporti con l’Iran fino a poco tempo fa giudicato il primo nemico dell’Occidente, promuovendo nel contempo la fuoriuscita dal caos della Libia. Devono essere uniti tutti coloro che nel mondo arabo vedono come pericolo il Califfato e l’Occidente, gli Stati uniti, l’Onu devono diventare coordinatori e orchestratori di questa vasta alleanza propositiva. Anche la Russia, alle prese con la questione ucraina, va coinvolta. L’Ucraina può essere un problema di facile soluzione e il recente vertice di Milano tra Putin e Poroshenko pare che abbia fatto registrare più di un passo avanti. Dev’essere chiaro che oggi l’Isis è il più grande problema del mondo. E che il mondo deve lavorare unito per risolverlo.
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