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La nuova strada del socialismo liberale

29 Ottobre 2014 1.172 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

È ora di alzare il tiro. Si sprecano le osservazioni e le proposte per far uscire l’Italia dal tunnel della crisi e i socialisti, al di là delle loro attuali collocazioni, devono avere alcune idee guida molto chiare. Vorrei contribuire con questo lungo editoriale ad aprire un confronto tra di noi. Verificare se su queste idee ci possiamo trovare in sintonia. Innanzitutto occorre preventivamente conoscere la realtà in cui stiamo vivendo. Che è profondamente, diversa, direi drasticamente diversa, da quella nella quale abbiamo vissuto solo dieci anni fa. Viviamo in un mondo globale, in un’economia globale, in un’Europa governata da patti economici e priva dell’unità politica, che ha complessivamente perso punti sugli altri continenti, soprattutto Asia e America. Viviamo in un mondo di oltre sette miliardi di persone, con oltre sette miliardi di connessioni internet, in un’economia che è sovrastata dalla finanza, che sviluppa derivati che assommano a dieci volte il Pil dell’intero pianeta.
Negli anni è diminuito leggermente il numero di coloro che vivono con poco piu di un dollaro al giorno, che resta tuttavia spropositato: 1,8 miliardi nel 1990 contro 1,4 miliardi degli anni duemila. E’ scesa anche la proporzione di coloro che non hanno abbastanza cibo, che pero’ resta in aumento in termini assoluti: erano 815 milioni nel 1990 e sono oggi 925 milioni. Crescono anche le disparita’ sociali: nel 1960 il 20% della popolazione mondiale possedeva il 70% delle ricchezze, oggi ne possiede il 77%. Ma la sfida maggiore resta ancora la barbarie della morte per fame: secondo alcuni dati si tratta di 720 bambini ogni ora.
Non possiamo pensare a noi senza pensare al mondo. Una parte del tutto non la si può conoscere senza conoscere il tutto. Per Hegel era un principio idealistico. Mi fermerei al mondo. Traduciamolo così. Un’idea di socialismo oggi dovrebbe essere fondata sulla solidarietà con chi sta peggio, innanzitutto nel mondo, poi anche in Europa e in Italia. Si tratta di un sentimento di umanitarismo a sfondo cristiano che ci distingue radicalmente da tesi e pregiudizi leghisti e nazionalisti e da coloro che intendono blindare un territorio con un muro che non ci permetta di vedere al di là. Rilanciare dunque la politica per il mondo più povero, con le percentuali che i paesi occidentali troppo stesso hanno solo promesso, e questo riguarda anche la tutela dell’ambiente dalla conferenza di Rio in avanti. E con un senso di solidarietà che da sola non basta. Occorre lo sviluppo nei paesi poveri, spesso ancora alle prese con la guerra e la dittatura. Sono sempre stato contro il pacifismo sposato con l’indifferenza. Ciò che avviene nel mondo interessa sempre anche noi. Adesso i riflessi nelle altre nazioni sono anche immediati. E dobbiamo occuparcene e intervenire se necessario. La guerra all’Isis é giusta per difendere noi, i paesi arabi, la loro e la nostra pace e libertà. Perché, é vero, l’Europa ha radici cristiane, ma anche liberali, non dimentichiamolo.
Certo l’idea di fondo di Dante Alighieri nel De Monarchia, cioè quella del governo unitario del mondo diventerà prima o poi realtà. Non il monarca illuminato, ma un governo democratico e fondato sui principi di equità e di libertà. Eppure ci siamo lontani. Esiste un governo del mondo con leggi sbagliate, prepotenti e assolute ed è affidato alle banche, alle finanza, non certo alla politica. E la stessa cosa, almeno in parte, avviene per l’Europa. Noi dovremo batterci per il ritorno e il rilancio della politica. Non può esistere democrazia senza politica. Non può esistere l’Europa monetaria senza l’Europa politica. Ma non basterebbe. Prendiamo l’economia. Bisognerebbe, per creare le condizioni di un mercato corretto, avere le stesse condizioni di partenza, sul costo del prodotto e del lavoro. Non è evidentemente così. Possiamo allora abbassare i costi fino a raggiungere quelli cinesi? No di certo. Possiamo imporre ai cinesi di alzare i loro? Credo che questo sarà possibile col tempo.
Certo col mercato globale non possiamo disinteressarci di quel che avviene nell’intero globo. L’Italia su cosa può concorrere e in che modo? In cosa e in che modo il nostro Paese pensa di investire, per assorbire la spirale della disoccupazione, per tentare di lenire il fenomeno dell’immigrazione, sempre più dovuto alla fuga dalla guerra e dalla morte? Occorre soprattutto puntare sulle cosiddette eccellenze. Esistono almeno quattro settori in cui l’Italia può ragionare in grande e far crescita, e sono la cultura, il turismo, l’agroalimentare, e la moda e il design. Siamo i primi nel mondo, perché non dovremmo esserlo anche economicamente? L’Italia ha bisogno di una strategia che tuttora manca. Lo Stato deve intervenire per aiutare, incentivare, incrementare alcuni settori fondamentali, che possono creare sviluppo e occupazione. Altro che liberismo o neo liberismo, dunque.
Con il duemila sono entrate in crisi due ricette storiche, dopo l’ottantanove del novecento che aveva segnato il tracollo definitivo dell’esperienza comunista: quella socialdemocratica classica perché il welfare del passato non lo si può più mantenere, e quella liberista, perché senza lo Stato oggi l’economia non può esistere e svilupparsi e la finanza essere controllata e governata da leggi accettabili. Questo porta però alla necessaria selezione degli interventi. I comparti non sono tutti uguali, c’è bisogno di priorità, non si può intervenire solo quando un’azienda è in crisi. Si deve intervenire quando è in piena evoluzione, perché può creare ulteriore sviluppo. Questo tuttavia non risolverà il problema del lavoro. Michel Rocard intuì già negli anni ottanta che la tecnologia avrebbe ferito l’occupazione. Parlò del lavoro che sfugge. Non solo non ci sarà nei paesi progrediti più l’unico lavoro per la vita, ma non ci sarà più il lavoro per tutti. La socialdemocrazia è figlia dell’industrialismo e del fordismo. quel che dobbiamo mettere sul tavolo è una nuova idea di socialismo liberale. Uso un termine che mi pare il più appropriato, perché all’intervento dello Stato per l’equità sociale occorre abbinare e incentivare lo sforzo creativo del singolo individuo, la sua intelligenza, il suo coraggio.
Dunque giustizia sociale e libertà (annullando la storica contrapposizione tra destra e sinistra che Bobbio reclama nel suo famoso libro), ma anche la scoperta e la incentivazione di un individualismo creativo, dovrebbero essere le nuove vie maestre del socialismo. Nelle proposte di Ichino, ma prima di lui anche di Marco Biagi, trovo un’idea di solidarietà e di protezione di chi sta peggio molto piu incisive di chi difende i dogmatismi del passato. La tutela del lavoratore anche senza lavoro, non del posto di lavoro, dunque. Quest’ultimo infatti può creare conflitto anche con chi intende investire, a suo rischio, dunque con chi ha creatività e coraggio. Non siamo per nulla distanti dal discorso di Martelli sui meriti e sui bisogni. Anzi siamo vicini alle esortazioni rispetto all’alleanza tra merito e bisogno. Chi crea ricchezza deve anche contribuire a dividerla con chi sta peggio. Lo Stato deve garantire e operare in questa direzione. Non solo come erogatore, ma come orchestratore dell’operazione riequilibratrice. Anche perché con le sue leggi e le sue azioni ha contribuito a sviluppare, sommandola alla creatività di chi ha investito, tale ricchezza, ed è dunque nella condizioni di operare perché parte di questa ricchezza venga suddivisa con coloro che stanno peggio, magari assicurando un reddito minimo garantito per tutti. Questo per me è il nuovo socialismo, il nostro socialismo. Il socialismo umanitario e liberale.
Per stare ai giorni nostri io penso che l’errore della Cgil e della Fiom sia quello di vedere il dito e non il cielo. Di guardare all’articolo 18 nella sola versione dei nuovi occupati, leggermente modificato nella parte economica, mentre la maggioranza degli occupati oggi non ha alcun diritto. E mentre la metà dei giovani non ha neppure quello al lavoro sancito dall’articolo uno della Costituzione, e a un reddito minimo, come avviene in altri Paesi, e mentre in intere zone e in alcuni comparti c’è chi lavora senza alcun contratto, in forme spesso poco dignitose e per quel che riguarda gli extra comunitari addirittura in stato di evidente neo schiavismo, senza che nessuno intervenga, nemmeno il sindacato. Questo è l’orientamento di fondo di un nuovo socialismo. Che mai come oggi deve rimanere internazionale (non uso gli ismi perché sono estremizzazioni ideologiche e non mi piacciono), che non può fare a meno del rilancio della politica democratica nel mondo, in Europa e in Italia. Che deve concepire lo Stato come uno strumento permanente di azione per interventi sugli scompensi della finanza, sugli incentivi industriali in settori strategici, sulla redistribuzione del reddito. Che deve sviluppare ad un tempo l’idea della equità e della libertà, ma anche l’etica dell’individuo disuguale, purché si parta tutti dalle stesse opportunità. Che deve operare per favorire la crescita e l’occupazione, ma anche la protezione di chi non ne può usufruire. Che deve promuovere senza timori reverenziali anche un riequilibrio dei poteri, ad esempio tra l’ordine giudiziario e il potere legislativo, troppo spesso, almeno in Italia, succube di quell’altro. Che deve rendere il continente europeo omogeneo non solo sul piano del diritto del lavoro, ma anche su quello dei diritti civili e della laicità. Su questo terreno le nostre idee sarebbero le più attuali, le più moderne, e noi potremmo diventare una comunità politica e culturale fondamentale, anche se, almeno in questa situazione, non autonoma elettoralmente, che non si allinea sempre alle posizioni altrui, magari del governo, ma neanche a quelle di un’opposizione vetero sindacale, che qualcuno vede come una alternativa al cedimento al Pd. Per questo secondo me varrebbe ancora la pena essere socialisti.

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