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Il fuoco sacro

4 Febbraio 2015 1.386 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Il pilota giordano catturato, messo in gabbia e poi bruciato vivo il 3 gennaio dopo un sondaggio sul web, ripropone i vecchi metodi della Santa Inquisizione cattolica, sostituendo l’uso del computer all’autodafè. Gli altri, compresi i prigionieri giapponesi decapitati, i due russi massacrati a colpi di pistola sferrati da un bambino accompagnato da una sorta di sadico sacerdote di morte, sono la premessa al fuoco purificatore, in un progressivo, lugubre, terribile crescendo di orrori. Dove siamo arrivati? Altro che accordi di Ginevra sui prigionieri politici. Altro che rispetto per le persone che perfino in regime di Saddam Hussein si era mostrato anche nei confronti di alcuni nostri connazionali durante la guerra del 1991. Così non si ammazzano neppure gli animali. Che cosa pensare di questo esercito di fanatici che sgozzano e bruciano in nome di una religione che non ha mai proclamato di uccidere chi ha religioni diverse e men che meno chi professa, come il pilota giordano o il poliziotto di Parigi, la stessa fede? Da cosa nasce questo terrore che nel 2015 si affaccia nel mondo come raramente lo avevamo visto prima?

La novità è questa crudeltà, questa inusitata ferocia utilizzata come messaggio informatico. Non che prima la guerra civile in Algeria non avesse mostrato un volto terribile e seminato il selciato di sangue copioso. Non che in Nigeria i massacri siano meno devastanti. Non che il terrorismo in tutto il mondo sia meno sanguinario. Ma questo infamante, quasi compiacente, rito tribale forse proprio di qualche etnia primitiva, questo fuoco in cui si bruciano gli infedeli, come il rogo della zingara del Trovatore, Azucena, che per vendetta pensò di bruciare il figlio del conte di Luna che aveva ammazzato la madre e invece per errore bruciò il figlio suo, ci riporta anche ai tempi degli orrori delle tribù, alle terribili ira funeste di qualche magica credenza in un supplizio che sembra motivo di vanto. Siamo improvvisamente retrocessi dunque non solo al Seicento, ma anche a migliaia di anni orsono. Il mondo primitivo collocato dentro la società dell’informazione. Come se Dracula il vampiro esistesse ai nostri giorni.

Non ho altre parole che quelle che mi sprigiona il senso dell’orrore di fronte a simile follia, di fronte a questo gesto che è un devastante messaggio di crudeltà, diffuso come segnale di potenza. Non capisco cosa si aspetti a sferrare il colpo decisivo a questo presunto stato islamico. Certo l’Occidente continua a sbagliare colpi. Ha invaso e demolito il regime iracheno inventandosi armi di distruzione di massa che anziché l’Iraq stava preparando l’Iran. Ha bombardato la Libia senza preoccuparsi del rischio del fondamentalismo islamico, ha tentennato sulla rivoluzione siriana, lasciando l’opposizione ad Assad in mano ai fanatici dell’Isis che abbinavano il loro odio verso il tiranno a quello verso l’Occidente che non li appoggiava. Poi quando gli Usa e compagnia hanno inviato armi e aiuti non si sono accorti che l’opposizione era ormai caduta in mano ai terroristi.

E adesso bombarda l’Isis seminando non poche vittime civili, arma e appoggia i peshemerga curdi, ma non si decide a una invasione di terra per arrivare al dunque del conflitto. Così abbiamo per la prima volta uno stato terrorista che proclama la sua etica di morte e la pratica. I progressi ci sono stati con i bombardamenti e con le battaglie dei peshmerga. Kobane è stata liberata. Finalmente, dopo una lotta furibonda, mentre il popolo yazida è stato sterminato e le donne cadute schiave dei terroristi. La guerra al terrorismo di matrice islamica sarà lunga. Credo che la si debba combattere in tre modi. Con le armi, certo, innanzitutto per abbattere quel che prima non c’era mai stato e cioè uno stato terrorista. Con la vigilanza, sugli extracomunitari che vengono da noi, certo, ma anche su tutti coloro che da noi sono da tempo o sono nati qui, con l’indispensabile ausilio delle comunità mussulmane che devono vedere, segnalare, collaborare. Con la politica dell’inclusione e della solidarietà, perché non si creino fratture, barriere, espulsioni dal nostro tessuto sociale che possano favorire l’adesione di giovani occidentali al fondamentalismo. Tre strade da percorrere con convinzione, con decisione, con rapidità. Sapendo che questa non è una guerra di religione, ma di civiltà. Della civiltà cristiana, ebrea, mussulmana, non credente, contro il fanatismo e la violenza più odiosa di chi ci vuole riportare ai primitivi istinti di morte.

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