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La legge di Renzi

22 Marzo 2015 1.046 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Ha ragione Antonio Polito nel suo editoriale di oggi sul Corrierone. Lupi si è dimesso senza essere indagato, De Luca è candidato dopo essere stato condannato in prima istanza, la Barraciu, dimessasi per un indagine da assessora in Sardegna, poi è stata ugualmente promossa sottosegretario, la Di Girolamo si è dimessa da ministro senza essere indagata. E Polito ha anche ragione nell’individuare un presupposto che sta alla base della pretesa di dimissioni da parte del premier. E cioè il suo livello di consenso che sale o che scende. La scelta non è più, come avveniva durante Tangentopoli, determinata dall’avviso di garanzia, ma effettuata sulla base dell’orientamento della piazza.

È il livello di gradimento quello che determina le sue mosse. Chiese le dimissioni della Cancellieri dopo la vicenda Ligresti, senza che il ministro fosse stato raggiunto da alcun procedimento giudiziario, perché il caso era esploso mediaticamente. Non sono più i provvedimenti giudiziari dunque quelli che producono l’effetto della richiesta di dimissioni, ma sono i sondaggi. Le teste vengono tagliate in base alla valutazione del danno collaterale che possono recare al presidente del Consiglio. Bisogna prenderne atto e farsene una ragione. Perché non candidare De Luca, nonostante sia ineleggibile e, qualora la Severino non venisse cambiata, impossibilitato a governare anche se vincente? Ha il consenso e allora affari suoi e dei democratici campani che lo hanno scelto. La cosa non lo scalfisce.

Lupi ha commesso errori. Non si accetta che il figlio lavori con un imprenditore che lavora col suo ministero. Ma le dimissioni erano proprio necessarie? E chi lo ha stabilito? E perché Lupi ha improvvisamente cambiato idea dopo avere negato la sua volontà di dimettersi? Non faccia il Pinocchio. E non si rifugi nel sentimentalismo e nel sacrifico di un papà che ha a cuore il proprio figliolo. Dica apertamente che Renzi gli aveva confidato che sulla mozione di sfiducia il PD rischiava di non tenere. E dunque o la scelta delle dimissioni o quella, ben peggiore per gli effetti che avrebbe determinato, della sfiducia in Aula. Dura lex sed lex. Quella di Renzi è questa.

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