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La tela di Penelope del palasport di Reggio

11 Aprile 2015 1.159 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Più si avvicina il momento di chiudere l’accordo sul Palasport e più sembra lontano. Due anni fa pareva tutto fatto. La proposta della Pallacanestro reggiana era stata accettata dal Comune. Più volte ho illustrato e ripetuto il contenuto dell’intesa. Poi, dopo un lungo silenzio sospetto, solo di quando in quando interrotto da interviste del presidente Paterlini che annunciava sempre la sua contrarietà al progetto sposato da Landi, lo stop della società. Ci avevano ripensato. Durante quest’anno sono stati annunciati due accordi. Quello di agosto, forse un po’ avventato, e quello del mese scorso. Quest’ultimo era quanto di più vantaggioso si potesse ipotizzare per la società sportiva che all’inizio si era dichiarata addirittura disponibile a uno stanziamento dei due terzi dell’investimento previsto. Una cooperativa, non la Tecton che aveva ideato il progetto, ma una nuova cooperativa si è improvvisamente dichiarata pronta a proporsi come soggetto attuatore, col Comune pronto a fare la sua parte. E fornendo due possibilità alla Pallacanestro: far parte della società di costruzione e gestione o assumere poi in affitto il tutto a cifre da coprire con la gestione e l’aumento del pubblico, nonché gli utili e i risparmi per l’utilizzo dell’ex Omni. Tutto a posto? Macché. Punto, anzi puntini di sospensione. La tela di Penelope ben si adatta anche per la presenza di numerosi proci. Architetti che dicono: meglio un palasport tutto nuovo che uno ristrutturato. Complimenti. Ci arrivavano anche i geometri. Il problemino è che non ci sono i soldi e negli ultimi vent’anni non esiste il caso di un comune che a sua spese abbia costruito uno stadio o un palasport. Poi arrivano anche le varie associazioni che ritengono la ristrutturazione un problema per l’impatto architettonico. Ma nessuno ha mai visto l’impatto architettonico attuale con scale in ferro arrugginite a mezzo metro dal retro della Ghiara di un contenitore indecente? O ancora: l’impatto veicolistico. Chissà che ansia, con il parcheggio dell’ex Zucchi a tre minuti per due ore ogni quindici giorni lungo sei mesi. Con queste premesse, corredate dall’invito roboante di Italia nostra che consiglia di andar piano (come se del pala non si parlasse da trent’anni e di questo progetto da quattro), mi chiedo se non si rischi una colossale presa in giro degli sportivi. Una volta la gente di un villaggio chiese al campanaro perché non suonava le campane. “Per dieci motivi”, rispose loro il povero campanaro. “Primo perché non ho le campane”. Gli altri nove non dovevano essere molto rilevanti. Sul Pala c’è chi non vuole più investire? E allora chiudiamola lì.

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