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Se non ora, quando?

18 Febbraio 2016 1.002 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Riccardo Nencini, nella sua dichiarazione odierna, conferma che i socialisti sono uniti nel voto alla Cirinnà “così com’è”. Dunque se ci saranno stravolgimenti, come la firmataria delle legge oggi paventa nell’intervista al Corriere, i socialisti non la voteranno. Speriamo per il bene del Paese, per la sua modernità e la sua collocazione nell’Europa dei diritti, che la Cirinnà, nonostante le assurde divisioni del Pd e il voltafaccia dei grillini, possa andare in porto proprio “così com’è”. Sappiamo bene che la legge ricalca quella tedesca, adottata dalla democristiana Germania, ed è la più moderata tra tutte le normative che interessano le coppie gay, la sola che non equipara le loro unioni ai matrimoni e che non le affida il diritto di adozione (solo un ignorante, nel senso che non conosce la legge, può equiparare la stepchild adoption al diritto di adottare).

Eppure questa legge, la più innocua di tutte, ha fatto imbufalire la Cei di Bagnasco e monsignor Ruini, ha destato improvvise e immotivate reazioni nei partiti del centro-destra e anche nel partito di Alfano. Ha perfino diviso il Pd e ha finito per disarcionare il movimento Cinque stelle dalle posizioni di partenza. Sappiamo bene che quel che in tutti gli altri paesi del mondo si può fare senza divisioni e crucifige, in Italia non si può fare. E che solo l’Italia degli anni settanta e ottanta, con una politica autorevole e con partiti identitari, poteva respingere tutti gli ostacoli e i condizionamenti senza per questo mettere in discussone gli equilibri governativi, anche per merito di un partito, la Dc, che sapeva anche rifiutare gli ordini d’Oltre Tevere, distinguendo tra accordi di programma e divisioni sui princìpi.

Oggi la politica si è indebolita, la sua funzione è in larga parte assorbita da poteri esterni, di carattere finanziario, economico, editoriale, religioso. E i partiti sono diventati non più il comune denominatore di valori di vita e di progetti di società, ma semplici strumenti per vincere prove elettorali. La stessa legge del cosiddetto Italicum è ritagliata sul concetto della sfida per la vittoria. Come se le elezioni fossero il Giro d’Italia e lo stesso Renzi a questo linguaggio, a questa retorica, spesso si affida. La crisi della Cirinnà è la crisi di questa politica e di questi partiti. Il principale partito della sinistra o del centro sinistra o dell’area riformista, chiamatelo come volete, pare oggi meno laico della Cdu tedesca. E si conferma come un semplice strumento per vincere, non come un luogo di valori comuni. Anzi come un luogo di valori opposti. E qui non c’entra, come ho più volte chiarito, il presunto conflitto tra laici e cattolici. Ma semmai quello, questo sì inestricabile, tra laici, credenti e non credenti, e integralisti, cattolici o non cattolici.

Quello che penso è che noi dovremmo rilanciare un progetto che subito dopo le ultime elezioni politiche avevamo solo ipotizzato: quello della nuova casa dei liberalsocialisti. L’idea è quella di una nuova forza politica che associ riformisti anche cattolici, ma che rispettano l’autonomia dello stato, radicali, verdi riformisti, quanti accolgano la suggestiva lotta per i diritti non come un un segno accidentale, ma anzi fondamentale, della loro identità. Dobbiamo elaborare un progetto che non sia la semplice riedizione della Rosa nel pugno, lasciata troppo presto cadere in funzione di una Costituente solo socialista e senza respiro. Una prospettiva, questa, da costruire subito per rendere l’Italia più giusta e libera, e che affondi le sue radici non solo sulle grandi battaglie di laicità che pure dovrebbero cementarne i contraenti  affidando loro una coscienza. Un soggetto, dunque, con la coscienza comune e non una forza che lascia ognuno libero di agire con la sua, perché collocato in un partito senza coscienza.

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