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Luci e ombre del Def

3 Ottobre 2016 897 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo
Restiamo al 2% nel rapporto tra deficit e Pil come sancito dall’Ue, ma puntiamo a raggiungere il 2,4 per le emergenze degli immigrati e il terremoto e relativo piano casa. Non è esattamente quel che Renzi aveva gettato sul piatto delle trattative con l’Europa e cioè raggiungere il 2,4 tenendo fuori pacco immigrati e terremoto. Ma è certo superiore sia pur di poco a quell’1,8 previsto. Anche la crescita è corretta al ribasso. Dall’1,4 scende all’1% e gli economisti la ritengono stima eccessiva. De Benedetti, nella sua recente intervista al Corriere, e la stessa opinione la esprime sul Carlino di oggi Giorgio La Malfa, parla di misure insufficienti, di un paese che non uscirà dal tunnel della deflazione e della disoccupazione se non taglierà corposamente il costo del lavoro e contemporaneamente non recupererà risorse da tassazioni sugli immobili (che è il contrario di quel che il governo ha fatto abolendo l’Imu sulla prima casa). Parlare è però assai più facile che fare. Esistono vincoli e ostacoli difficili da superare.

Qualcuno annota che mentre noi cresciamo di un nulla la Spagna cresce del 5%. Ma la Spagna, che è senza governo da un anno, ha diminuito la spesa pubblica di quattro-cinque punti, sopporta una disoccupazione che è il doppio di quella italiana e ha un debito pubblico inferiore rispettto all’Italia. Possiamo noi permetterci la stessa cura da cavallo e possiamo noi superare come ha fatto la Spagna il vincolo europeo nel rapporto deficit Pil? Come reagirebbe la finanza internazionale a questo evento? A che percentuale di rendimento dovremmo vendere i nostri titoli? Eppure la concatenazione di provvedimenti di taglio effettivo di spesa pubblica improduttiva (è certo la cosa più complicata), di una sorta di patrimoniale sugli immobili e non sui redditi, di un forte taglio del costo del lavoro che permetta alle imprese di investire e ai lavoratori di avere più soldi da spendere, di un piano di opere pubbliche che ci consenta di fuoriuscire per due anni dal vincolo europeo, permettere a Pil di attestarsi attorno al 2 % e alla disoccupazione di scivolare al 9, è obiettivamente la strategia su cui orientare le nostre scelte. Senza tentennare su investimenti utili che vengono dall’estero come le Olimpiadi ormai perse, il Ponte sullo stretto che per primi i socialisti hanno sostenuto, la Torino-Lione che pare bloccata. A volte l’Italia sembra un paese in preda all’ansia, che si chiude in se stessa, che non comprende il bisogno di sfidare la modernità.

Per adesso il governo resta su una base di maggiore prudenza. Però non si possono sottovalutare alcuni provvedimenti di forte impatto sociale. Innanzitutto l’accordo governo-sindacati sulla previdenza coi capitoli dell’anticipo volontario (chi è sotto i 1300 euro non ci perde nulla e al massimo il taglio sarà del 20 per cento) e sull’aumento delle pensioni minime (non ci sarà il raddoppio delle quattordicesime, ma un aumento tra il 25 e il 30 per cento). E questo è certo stato uno degli obiettivi lanciati dal nostro partito. Poi da richiamare il calo della pressione fiscale, che sommata agli 80 euro e alle diverse riduzioni d’imposta dovrebbe essere portata al 42,1 per cento. Per le imprese l’Ires scenderà dal 27,5 al 24 per cento. Altre importanti misure sono previste a sostegno delle fasce piu deboli mentre dopo anni vengono stanziati soldi per gli statali e dopo sei anni si provvederà al rinnovo dei contratto del pubblico impiego.

Quel che non funziona ancora è la modulazione del debito che continua a salire attestandosi al 132,8 nel 2016, mentre la disoccupazione sarà dell’11,5 nel 2016 prevedendo una discesa al 10,8 nel 2017 e al 10,3 nel 2017. Dati reali e non opinabili? Con questi numeri risulta evidente come la questione centrale della nostra economia sia la bassa crescita e il mancato taglio della spesa. Solo aumentando il Pil si riuscirà a far discendere la percentuale del debito che è sempre in suo rapporto. Ma sarebbe altresì ipocrita non considerare che il vero neo della politica economica del governo è la mancata spending review che ha già consumato troppi commissari. Prendiamo dunque atto delle luci di questo Def, e delle ombre che restano su una strategia ancora troppo debole per influire davvero nella crisi italiana.

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