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Massimo tra Virgilia e Sulmona

5 Maggio 2024 94 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Massimo ama Virgilia. Massimo ama Sulmona. Massimo ama Virgilia perché di Sulmona? Non solo. Massimo ama Virgilia perché Virgilia ama la libertà e combatte per l’uguaglianza, organizzando assieme e pochi carbonari una rivoluzione libertaria impossibile. Già era molto arduo fare come in Russia, dopo l’ottobre del 1917, e quelli che ci hanno provato sono finiti male. Vedi l’Ungheria e la Baviera. Per non parlare dell’Italia che voleva una rivoluzione rossa e invece l’ha avuta nera. Ma che poi, entro quel clima, si ritagliasse una rivoluzione che puntava all’abolizione dello stato, proprio il contrario del comunismo che statalizzava tutto, era davvero irrealistico. Da sognatori. Forse questa aureola di utopismo, che non sconfinava mai nel fanatismo ma in una genuina passione del cuore incuriosiva Massimo, che scrive il suo romanzo tra realtà e fantasia, ben intrecciate insieme. E in un misterioso svolgersi che si chiarirà sollo alla fine. Massimo ama Sulmona e ne descrive vie, e piazze, monumenti e angoli, curve e rettilinei, chiama per nome bar e ristoranti dove alla fine si incontrano l’ex infermiera di Virgilia, quella che sarà testimone del suo racconto di vita accompagnandola all’ultimo respiro in un ospedale americano ma ancora di incerta identità, e il paziente Pierfilippo che poi è Massimo stesso. Nel prologo una donna sbarca, proveninet dagli Stati uniti a Roma, ma no si capisce quando e lei chi sia, nel capto primo si celebra un prcesso, ma nn si chiarisce contro chi e quando. Nel secondo si festeggia una domenica di pasqua, quando, dove? Si capirà solo leggendo. Come in un giallo si procede per progressive intuizioni e scoperte. Virgilia D’Andrea è la bambina a cui hanno ucciso il padre (la madre era già morta). La malapasqua, dichiarerà Santuzza e Turiddu. E qui si innesta il racconto della malata Viriglia, alle prese con gli ultimi suoi giorni di vita e l’infermiera che, curiosa e paziente, l’ascolta e prende nota. La mandano in un collegio di suore. E tra preghiera del mattino, preghiera a pranzo, preghiera cena e ancor preghiera prima di dormire, intramezzate da pesanti lezioni di sorelle severissime, te lo credo che una diventa ribelle e anarchica. Colpa o merito della suore. E di quei libri di poesia di Ada Negri, che denunciavano la povertà e l’ingiustizia, che assieme alle poesie di Leopardi e Carducci Virgilia si divorava di nascosto. Poi il regicidio del 1901 quando Virgilia aveva già 13 anni. Il Re Umberto I viene ammazzato a Monza a colpi di pistola dall’anarchico Bresci, per vendicare la strage di Milano del 1898. E Virgilia scopre la questione sociale e avverte un senso forte di ribellione e di istintiva simpatia per l’attentatore. Non capisce perché si debba ancora pregare. Per un re, poi… Virgilia si diploma e diventa insegnante. Ma due nuovi fulmini esplodono nella sua mente. Il terribile terremoto di Abruzzo del 1915, trentamila morti, tutti poveri, con case che crollano come birilli in un gioco di biliardo e l’esplosione della prima guerra mondiale, dove giovani e studenti vengono mandati al macello. Frequenta la sezione socialista e si imbatte in Mario Truzzi, poi eletto deputato all’appuntamento del 1919. Il socialista, massimalista e rivoluzionario, l’accompagna all’appuntamento col suo primo impegno politico (prima le manifestazioni anti militariste poi quelle femministe) e anche con l’uomo della sua vita. “Vieni, Virgilia”, le dice, “Andiamo in treno e ti presento qualcuno”. Dinnanzi ad Armando Borghi, leader anarchico, Virgilia avverte in un sol colpo amore politico e carnale. E da qui Virgilia diviene dirigente anarchica e non solo la compagna di Armando. Inizia una vita in viaggio per l’Italia. I suoi discorsi sono molto apprezzati. Il giornale degli anarchici non può fare a meno di lei. E’ Virgilia che lo tiene e battesimo come Umanità Nova. Il giornale viene tutt’oggi pubblicato. Al termine della guerra Armando e Virgilia affrontano un giro d’Italia per propagandare il credo anarchico e nel 1920 Virgilia entra a far parte della segreteria nazionale dell’Usi e la sede é anche abitazione di lei, Armando e di Errico Malatesta. Ma gli anarchici non sono tutti uguali. Ce ne sono anche di violenti, i bombaroli. Esplode il 24 marzo del 1921 un ordigno al cinema Diana di Milano: i morti sono 21 e 80 i feriti. Per Malatesta “si tratta di un colpo al movimento anarchico”. Virgilia però non condannò quel gesto facendolo derivare dalle insofferenze, dalla malvagità, dall’ottusità della borghesia. Quell’orribile attentato che colpiva civili, anche onesti lavoratori convenuti al Diana per assistere a un’operetta di Lehar, era stato preparato da tre anarchici individualisti ed era rivolto contro l’abitazione del prefetto di Milano Gasti che abitava proprio sopra al cinema-teatro. Il fascismo era già all’attacco: il 1921 fu l’anno della sua consacrazione in una guerra civile che fece morti da una parte e dall’altra. L’attentato al Diana fu pane per i suoi denti. Motivazione solida per i saccheggi e le uccisioni che ne seguirono. Virgilia sbagliava, non solo dal punto di vista umano, ma anche politicamente, a non condannarlo. Lei coniugava il suo impegno politico con quello letterario. Nel 1920 era uscito “La presa e la resa delle fabbriche”. Entrata e uscita dal carcere nel 1920 aveva scritto Tormento, dedicato a Errico Malatesta che nella prefazione la definisce “poetessa dell’anarchia”. Continuiamo il racconto di Virgilia all’infermiera con la fase di Parigi, sua e di Armando, concomitante e successiva alla presa del potere del fascismo. E qui Virgilia é protagonista di una mobilitazione in favore di Sacco e Vanzetti che dilaga per le vie della città. E fonda “Veglia”, rivista politica e letteraia, che dirige dal 1925 al 1927. Nel 1928 Virgilia raggiunge Borghi negli Stati uniti e si lancia in una nuova tournée di conferenze e comizi in giro per l’America. Mi sono sempre posto un interrogativo. Ma chi pagava costoro nei loro viaggi, residenze, alberghi, ristoranti? Questo interrogativo non valeva solo per gli anarchici ma anche per tutto i fuoriuscitismo italiano antifascista in Francia. D’accordo, le riviste e i giornali, ma non bastavano. C’era una solidarietà internazionale vasta e cospicua, una vera sottoscrizione universale. Per i comunisti ci pensava mamma Russia, ma per gli altri? Torniamo al romanzo che non finisce con la morte di Virgilia, per cancro all’intestino in una clinica statunitense (scriverà anche, dopo L’ora di Maramaldo anche Non sono vinta) ma col capitolo delle rivelazioni. Non solo si chiarisce che l’innominata del prologo atterrata a Roma é la stessa infermiera testimone del racconto di vita di Virgilia all’ospedale, ma che lei stessa é figlia di Nicola Sacco, l’anarchico processato assieme a Ferdinando Vanzetti e condannato a morte per un delitto mai compiuto. Dunque anche i primi capitoli (il primo dedicato al processo) acquisiscono un significato. E a ben vedere anche il racconto di Virgilia esposto alla figlia di Sacco, come dire da un’anarchica alla figlia di un martire anarchico, acquistano valore. Qui ci pensa la fantasia di Massimo che come un’artigiano incolla e ripara tutte le possibili narrazioni. Unica immobile e per sempre sarà a quel punto Sulmona dove la figlia di Sacco finisce, tra vie e piazze e palazzi, e curve e rettilinei, e monumenti storici, fino alla scrivania di Massimo Carugno, avvocato per necessità e scrittore di romanzi per diletto.

 

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