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Dodici indiani. E non ne rimase più uno

21 Aprile 2021 512 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Così la Superlega è improvvisamente svanita sotto la pressione e le minacce dei governi nazionali e di quelli del calcio. E i 3,5 miliardi della J.P Morgan si sono volatilizzati. Dodici presidenti, delle più importanti società calcistiche d’Europa, finiscono alla berlina, come dodici illusi della peggior specie. Hanno tentato di farla franca fuggendo dalle regolari istituzioni calcistiche e non ci sono riusciti. La pagheranno cara, in termini di credibilità. I primi a cedere sono stati gli inglesi. Primo in assoluto il Manchester City e poi subito a ruota il Chelsea. In Inghilterra il calcio è una cosa seria e i tifosi non sopportano che vi possano essere regole nuove e divisioni tra ricchi e poveri. Tanto che la loro Coppa principale viene disputata da tutti, professionisti e dilettanti, che si scontrano tra loro. Come a sancire il principio di uguaglianza dei diritti nel mondo dello sport. I tifosi inglesi, e non solo il premier Johnson, hanno preso posizione e hanno manifestato il loro netto dissenso. I tifosi in Inghilterra sono ascoltati. Senza i tifosi non può esistere il calcio inglese che più d’ogni altro deve soffrire per la chiusura degli stadi, e forse prima di tutti gli altri li riaprirà. In Spagna il Barcellona ha subito tentennato e in Italia l’Inter è stata la prima a sbattere la porta. Poi l’Atletico Madrid. E insomma la grande fuga si sta completando. Così da far ammettere al presidente della Juventus Agnelli che la Superlega non si farà. Che figura. Dodici presidenti, dodici dilettanti. Non avevano capito che i loro governi, le loro istituzioni calcistiche, i loro appassionati erano tutti decisamente, visceralmente contrari? E che avrebbero usato tutti i mezzi per impedire questa perniciosa divisione del mondo del calcio? Ma cosa avevano in testa? Che fosse una passeggiata questa loro decisione e che sarebbe stata sopportata come una delle tante regole internazionali, vedasi il Fair play finanziario, troppe volte sbandierato e quasi sempre non rispettato da loro stessi? Ma non lo sapevano che la ricaduta economica sulle altre società sarebbe stata disastrosa? Pensiamo solo all’Italia. A cosa sarebbe stato un campionato o senza Juventus, Inter e Milan (che dividono il 50% del tetto dei diritti televisivi in parti uguali con tutte le altre società di serie A) o con le tre squadre tutte proiettate a disputare un campionato europeo miliardario senza preoccuparsi troppo di quello nazionale. E pensiamo a cosa sarebbe diventata la Champions senza le dodici squadre (escluse Bayern e Psg) più forti e popolari d’Europa. Possibile che i dodici dilettanti non l’abbiano previsto? E che non abbiano previsto la reazione compatta, dura, decisa, minacciosa dei governi nazionali, delle istituzioni del calcio, delle altre società e anche dei loro tifosi? Resta un mistero. Evidentemente oberati dai debiti hanno avuto menti chiuse al ragionamento. Perché se il problema è solo quello economico a nessuna di queste società è impedito di allestire squadre meno onerose. Ci sono due modi per sanare o almeno ridurre i debiti. O aumentare le risorse, come avevano immaginato i dodici, oppure ridurre le spese. A cominciare dagli ingaggi super milionari dei calciatori. Chi ci rimetterebbe in quest’ultimo caso? Non certamente il calcio, visto che i casi dell’Atalanta, e più modesto, quello dell’Udinese, portano a ritenere che si può fare buon calcio anche senza debiti e con le risorse per costruirsi anche i loro stadi. Meditate indiani, meditate…

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