Pare difficile comprendere le ragioni che spingono molti, a fronte delle violenze, delle sopraffazioni e degli omicidi che in Italia sono stati commessi nelle famiglie musulmane, a una sorta di finta indignazione sfociata nell’indifferenza. Che cosa é accaduto dopo il vile assassinio di Hina Seleem, la ventenne ammazzata dai parenti a Brescia nel 2008 per punizione a causa della sua scelta di vita di stampo occidentale? Cosa si é verificato a seguito dell’orribile omicidio di Sanaa Dafani, diciottenne di origine marocchina, trucidata vicino a Pordenone nel 2009 dal padre mentre si trovava in auto col fidanzato italiano? Come abbiamo reagito quando ci ha raggiunto la tremenda notizia dello sgozzamento a Brescia nel 2016 della venticinquenne pakistana Sana Cheema ad opera del padre e dal fratello solo perché lei aveva intenzione di sposare un ragazzo italiano? Nulla. Non manifestazioni, cortei, sit in, altre forme di protesta e solidarietà. Sdegno immediato e poi il silenzio anche da parte di quei nuclei che per altri casi hanno sfoggiato un’immediata mobilitazione. Siamo così arrivati al caso di Saman Abbas, la ventennne sparita da un’abitazione nel territorio di Novellara e che si teme possa essere stata uccisa dalla sua famiglia per avere rifiutato un matrimonio combinato dal padre che, improvvisamente rifugiatosi all’estero con la famiglia, continua a negare che la figlia sia morta. Personalmente sono convinto che la nostra indifferenza dipenda da due fattori. Innanzitutto una certa insofferenza verso la nostra civiltà occidentale, che invece dovremmo difendere perché si informa della cultura più avanzata, ancorché densa di ombre e di contraddizioni in taluni perseveranti comportamenti e, secondariamente, dal fatto di sopportare queste sacche di terribile sub cultura, che si esprime nel considerare una figlia come patrimonio privato del quale decidere il futuro e se si oppone col diritto di disfarsene, come un pericolo relativo perché limitato alle quattro mura domestiche di extracomunitari che, se non ci danno fastidio, possiamo pure sopportare che facciano quel che vogliono. Tutto questo é assurdo. Chi viene in Italia non deve solo rispettare le leggi italiane ma anche i valori della realtà in cui sive, senza che noi siamo costretti ad accettare alcun compromesso. Non può esserci mediazione tra libertà e integralismo, tra parità tra uomo e donna e sopraffazione dell’uno sull’altra. Ho letto che Saman é rimasta diverse settimane in una casa di accoglienza di Bologna prima di tornare a casa. Sapevano gli operatori di quella istituzione dei rischi che la ragazza correva una volta rincasata? Sapevano i servizi sociali di Reggio Emilia, una provincia già coinvolta in procedimenti per un uso che pare a volte disinvolto degli affidamenti, dei pericoli ai quali andava incontro? Possibile che nessuno abbia vigilato, abbia dialogato, consultato, verificato? Perché?