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Orgoglio e autonomia (il testo del mio intervento al Consiglio nazionale del 16 ottobre)

20 Ottobre 2022 279 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Condivido la decisione del segretario di aderire al sit in davanti all’ambasciata russa e di dir no alla partecipazione all’elezione del segretario del Pd, che non è il nostro partito.
Avevo scritto una mail a Enzo invitandolo a presentarsi dimissionario a questo Consiglio nazionale, come fece Nencini nel 2018 per il deludente risultato della lista Insieme e come fece Boselli nel 2008 dopo quella scelta esaltante e disperata che ci portò come oggi fuori dal Parlamento.
Pensavo fosse anche nel suo interesse poter contare sulla fiducia che il Cn avrebbe potuto confermargli visto che un segretario si può eleggere solo a congresso. Sarebbe stato un atto di consapevolezza dell’amaro risultato elettorale.
Quel che avvenne nel 2008 ha poco in comune con quel che è avvenuto il 25 settembre. Nel 2008 fummo azzerati per un eccesso di orgoglio, il 25 settembre per una mancanza di orgoglio.
Vorrei che fossimo tutti coscienti del disastro a cui siamo andati incontro mettendo il nostro destino nelle fauci di un leone ferito. Non voglio qui soffermarmi troppo sui diversi orizzonti che mi ero premurato di indicare al partito a partire dal voto di sfiducia, reclamato anche tra gli altri da Ugo Intini, al momento della costituzione, nel settembre del 2019, del governo giallorosso che ci avrebbe portato a far da apripista di un percorso sfociato in una lista dove la maggioranza dei socialisti ha poi finito per votare.
Si é detto che un polo liberal democratico, che con noi sarebbe divenuto liberalsocialista, non si poteva fare per via dell’Alde. E noi in Europa, alle elezioni del 2018, abbiamo esattamente fatto quel che ci siamo vietati in Italia, cioè un’alleanza con Più Europa, che all’Alde appartiene.
Abbiamo costituto un gruppo al Senato con Italia viva e poi lo abbiamo subito derubricato a scelta tecnica come se un gruppo parlamentare fosse il progetto di un condominio e l’abbiamo spezzato al momento del voto di fiducia al governo del dicembre 2020.
Abbiamo rivendicato il Conte ter quando stava per nascere il governo Draghi, che mi ero permesso di indicare come soluzione già nel contestato, come spesso accade, editoriale del 31 dicembre 2020.
Abbiamo alzato le nostre insegne e ci siamo vantati del nostro simbolo e poi abbiamo accettato che né simbolo né nome fossero presenti nella lista concordata. Non é una cosa da poco. Nella cancellazione della parola socialista c’é la cancellazione di noi stessi. Che senso ha parlare di Democratici e progressisti (esistono gli antidemocratici e i regressivi?)
La vertenza su questa parola dal 1989 a oggi è l’essenza della nostra esistenza. Non si vuole assumere il nome di socialisti.perché socialisti siamo stati noi. D’Alema disse dopo Tangentopoli che la parola “socialista” in Italia era diventata impronunciabile. Adesso D’Alema é diventato impronunciabile lui.
Pensate se per responsabilità del Pd diventasse in Italia impronunciabile l’aggettivo “democratico”. Che disastro sarebbe…
Il mandato del congresso, con i distinguo introdotti da me e da Carlo Ubertini, candidato sindaco del Terzo polo a Rieti, cosi com’erano candidati di terzi poli Iacovissi a Frosinone e Zubbani a Carrara, dove abbiamo conquistato le percentuali migliori, il mandato del congresso era quello della costruzione di una lista del Partito socialista europeo. Abbiamo invece accettato la lista del Pd più Articolo 1 cioè dei democratici e dei progressisti. Accettando la nostra impronunciabilità. La negazione di noi stessi. Oltre al percorso che avevo indicato a partire dal 2019, se n’era intanto aperto un altro che avremmo potuto intraprendere visto che il Pd non intendeva riconoscere nel simbolo la nostra esistenza: un’immediata deviazione su Più Europa che con noi, lo dico col senno del poi, avrebbe superato il 3%.
Ci ritroviamo con una piccola comunità socialista allo sbando, sfinita, delusa e arrugginita. E se il segretario chiede: “Volete continuare?”. Noi rispondiamo si.
Ma con orgoglio e autonomia.
Occorre oggi mettere in soffitta la politica di subalternità nei confronti del Pd (in preda a una preoccupante involuzione verso i Cinque stelle).
Le mie proposte
Convocare senza eleggere direzioni e segreterie pletoriche un Congresso nelle forme di una Costituente che associ tutti i socialisti e i riformisti i circoli, i movimenti, le associazioni, preceduto da un Manifesto sottoscritto da quanti ritengono essenziale che in Italia esista un partito socialista, autonomo e nelle condizioni di sviluppare alleanze dal centro alla sinistra riformista, senza vincoli e confini come penso avverrà nelle elezioni regionali del Lazio e della Lombardia. Un manifesto firmato anche da chi non è socialista ma ritiene la nostra esistenza fondamentale.
Ma dobbiamo dotarci di un programma di azioni provocatorie fatte anche da referendum sullo stile radicale per una difficilissima battaglia extraparlamentare. Lo facemmo con qualche successo dopo il 2008. Ad esempio un nuovo comitato per la democrazia.
Queste le percentuali di votanti in Europa: il 62 in Italia, il 78 in Germania, il 72 in Francia, il 67 regno Unito e il 66 in Spagna. Da paese che votava di più siamo divenuti paese che vota di meno. Per di più con una legge elettorale che non permette all’elettore di scegliere gli eletti.
Abbiamo appena celebrato un congresso, si dice. I tempi della politica non sono quelli dell’orologio. Il Psi svolse un congresso nel gennaio del 1948 e uno nel giugno del 1948. In mezzo la batosta del Fronte popolare. Che peraltro raggiunse il 31% mentre oggi la sinistra é ferma al 25. E noi azzerati. Dire che non é opportuno fare un congresso per le conseguenze di una divisione, che non mi auguro, non é meno sbagliato di pensare a cosa sarà di noi senza un congresso di rilancio e di rifondazione. Saremmo più uniti ma sfiniti, uniti e solidali, ma votati alla fine.
Viene in mente l’aria dei due amanti condannati a morte nell’Andrea Chienier di Umberto Giordano che cantano “Viva la morte insiem”. Ma non é questo che desideriamo. Dobbiamo vivere perché la nostra storia lo pretende ancora.
Abbiamo tre patrimoni originali e insopprimibili: una storia, una organizzazione territoriale e un folto gruppo di bravi amministratori. Abbiamo un’identità non l’ha assunta nessuno. Ma sappiamo che se non ci diamo una brusca svolta. Un cambio di marcia. Un brusco risveglio dopo l’incubo che abbiamo vissuto non ci sarà scampo.
I giovani. Enrico Pedrelli e la Fgsi hanno approvato un documento coraggioso e duro. Se pensiamo di avere un futuro ripartiamo da loro, dalle loro idee, dalle loro suggestioni. Anche dalle loro esagerazioni. Io sono pronto a dare una mano, senza incarichi, e ad esprimere le mie idee per il futuro del socialismo riformista e liberale, in libertà e solidale con quella che è stata e sarà la mia sola e unica casa.

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