Cosa spinse re Vittorio Emanuele III a non firmare il decreto sullo stato d’assedio a fronte della marcia eversiva fascista che stava calando su Roma? Renzo De Felice cita quattro ipotesi: il giudizio negativo del monarca sul governo Facta, troppo debole per affrontare tale contingenza, l’orientamento filo fascista del duca d’Aosta e il timore di essere dai fascisti addirittura detronizzato se non formalmente nella sostanza, il terrore di una guerra civile che si sarebbe verificata a fronte di un dispiegamento dell’esercito contro le migliaia di fascisti in marcia, le divisione nei vertici militari alcuni dei quali simpatizzavano apertamente per il nuovo movimento nazionalista che nella vittoria della guerra e nell”argine al bolscevismo affondava le sue ragioni. Fatto sta che quella marcia colpi nel segno e si rivelò decisiva  non tanto per portare i fascisti al potere, visto che nel congresso di Napoli di pochissimi giorni prima si erano limitati a rivendicare cinque ministeri probabilmente in un governo presieduto da Salandra che era orientato a concedere loro, ma per l’ascesa di Mussolini alla presidenza del Consiglio. Il re gli diede l’incarico di formare un governo e Mussolini compose il suo primo ministero con un partito in esigua minoranza (alle elezioni del 1921 i fascisti eletti nel Blocco non superavano il 10% del totale dei deputati mentre il Senato era di nomina regia e non votava la fiducia ai governi). Mussolini si affidò dunque a una maggioranza composta da una coalizione della quale facevano parte  oltre ai fascisti, i vari gruppi iberali, i nazionalisti e anche i popolari (Mussolini voleva anche i socialisti riformisti e  aveva loro proposto il ministero del Lavoro che rifiutarono). Il primo governo Mussolini fu frutto di una mobilitazione eversiva (durante la marcia, soprattutto in taluni quartieri di Roma vennero anche sparati dei colpi d’arma da fuoco e si segnalarono 7 morti) ma venne formato nel rispetto della logica, almeno numerica, del gioco parlamentare. La violenza, l’oppressione, il giro di vite si verificarono piu avanti. L’inquadramento della milizia fascista nell’ordinamento dei stato, la sua trasformazione in milizia volontaria alle dirette dipendenze della presidenza del Consiglio stridevano apertamente con le norme dello Statuto Albertino e fu uno dei primi provvedimenti adottati. Il colpo di stato e l’inizio vero e proprio della dittatura si verificarono a seguito dell’ennesimo attentato alla vita del.duce, quello di Anteo Zamboni, il sedicenne bolognese poi vilmente e barbaramente trucidato sul posto dalla folla inferocita il ottobre del 1926. Vennero emanati i provvedimenti fascististissimi che privavano l’Italia della libertà di stampa, chiudevano titti i partiti di opposizione, perseguitavano e incarceravano mandandoli anche al confino i loro dirigenti. Dunque è da lì che si deve parlare di inizio di una vera e propria dittatura anche se il potere di Mussolini non fu mai assoluto e dovette convivere sempre con quello della monarchia che alla fine lo spodestò. Paradosso di un assolutismo diviso in due. Oggi si può dire che i post fascisti sono andati al potere in Italia? Non è più sbagliato di sostenere che i post comunisti ci sono già stati. I sistemi democratici occidentali nell’epoca dell’informatica e della telematica sono assai più robusti delle possibili attrazioni storiche di qualche esponente. Si misuri allora tutto dai fatti e non dai pre giudizi. Anche perché l’Italia ha conosciuto altre forme di arroganza e di violenza. Il terrorismo rosso e nero degli anni settanta aveva inaugurato anche nelle forme i riti delle squadre fasciste. Penso alle foto con la testa rasata e i cartelli al collo. Ma non solo il terrorismo è stata una forma di devianza pericolosa dalla vita democratica. Penso alle logge segrete e ai misteri di tante vicende italiane ancora parzialmente sconosciute e fatte di stragi, di bombe e di troppo sangue. Nelle Università ieri, come purtroppo oggi, si vuol decidere chi ha diritto di parola. Anche questa è una forma di fascismo. Il fascismo degli antifascisti. Quello di quei giovani che scandivano in coro nel sessantotto che “uccidere un fascista non è reato” e poi tacciavano di fascismo tutti quelli che non la pensavano come loro. Quello degli studenti universitari di Roma che intendevano impedire un incontro degli studenti di destra col nemico Capezzone. Il.fascismo lo si combatte con la cultura della libertà e della tolleranza, non assorbendone i comportamenti.