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Interrogazione su ciclismo e doping

L’ammissione del ciclista Ivan Basso, coinvolto nell’operacion Puerto, che ha visto protagonista il medico spagnolo Fuentes, sull’uso di sostanze vietate per alterare le sue prestazioni agonistiche, getta un’ulteriore onda di sgomento e di perplessità sul mondo del ciclismo. Da appassionato e conoscitore di questo affascinante sport che continua a catalizzare l’attenzione e la passione di milioni di sportivi, mi chiedo se sia possibile continuare a organizzare manifestazioni ciclistiche professionistiche come se nulla fosse accaduto. L’anno scorso lo stesso Basso, dopo aver trionfato al Giro, è stato escluso dal Tour, dal quale è stato escluso per la stessa ragione l’altro favorito, il tedesco Jan Ulrich, Tour vinto poi da un corridore americano, Landis, trovato a sua volta positivo dopo essere stato premiato a Parigi. Da anni la lotta al doping e il divieto di correre superando il livello massimo di 50 di ematocrito, che dimostrerebbe l’uso di epo, non ha prodotto risultati. Dopo il caso Pantani, che poi è sfociato in un’immensa tragedia personale, altri corridori sono stati fermati e altri, forse i più, sono riusciti a farla franca. Qualche addetto ai lavori sostiene che il ciclismo contemporaneo non lo si può fare senza l’uso di tali sostanze per alterare i valori del sangue e un noto ciclista in passato ha affermato che tra chi fa uso di epo (o di sostanze analoghe e con le stesse funzioni) e chi non ne fa, c’è la stessa differenza di chi viaggia con motore e chi senza. In nessun altro sport la differenza delle prestazioni è così evidentemente variata dall’uso di sostanze vietate. Non è giunto il momento di fare una generale confessione da parte dei ciclisti, che non possono accettare che la ruota giri una volta colpendo l’uno e una volta l’altro? Non è venuto il momento di parlare e di dire la verità? Sappiamo che esistono modi per mascherare l’uso di dette sostanze, sappiamo che i controlli sono stati in passato spesso aggirati. Un tempo il grande Coppi, parlando della “bomba”, cioè dell’intruglio di sostanze artigianali del suo tempo, disse: “Nessuno può dire di non averla mai usata”. C’è oggi un corridore professionista che possa dire senza tema di smentita, di non avere mai fatto ricorso a tali moderne sostanze, senza le quali le sue prestazioni diventano assai meno competitive? Ci sono un po’ troppi ciclisti che negli ultimi vent’anni, più o meno da quando è stato introdotto l’uso di queste sostanze che cambiano valori del sangue, hanno fatto il loro anno da leoni e poi sono svaniti nel nulla, diventando pecore. Potrei citare nomi e cognomi. Si tratta solo di coincidenze? Sono per natura garantista e non sopporto i processi sommari. Però non sopporto che i processi vengano fatti a senso unico, che ogni tanto si trovi un colpevole e che questi venga fermato e tutto prosegua come prima. Che l’industria del ciclismo con i suoi sponsor e le sue macchine pubblicitarie protesti la sua innocenza, condanni “il reprobo” e continui esattamente come prima. Mi auguro che Ivan Basso voglia davvero contribuire a fare chiarezza attraverso l’annunciata sua confessione, tardiva perché in aperto contrasto con le sue dichiarazioni di estraneità precedenti e resa solo a seguito di nuove esplicite prove contro di lui, e che il suo proposito non sia solo quello di ottenere uno sconto di pena, ma anche di svelare ciò che è a sua conoscenza nel rapporto tra ciclismo e doping.

Alla luce di tutto questo

Chiedo al governo

quali iniziative intenda prendere al riguardo, se intenda assumere una chiara posizione al fine di tutelare non solo i comprensibili interessi economici, ma anche quelli della massa di sportivi che non possono più appassionarsi a questo magnifico sport per mancanza di certezze e neppure possono ormai applaudire un vincitore senza avere la sicurezza che poi non venga detronizzato poco dopo attraverso controlli e inchieste giudiziarie. Che cosa intenda fare per tutelare la salute dei ciclisti, e non solo di quelli professionisti, visto che l’uso di dette sostanze pare ormai interessare purtroppo anche la massa dei ciclisti dilettanti e amatori, quali rapporti intenda stabilire, pur nel massimo rispetto delle rispettive autonomie con la Federazione ciclismo e con l’Uci, per fare in modo che la confessione di Basso non resti l’ennesima occasione persa per fare pulizia e per debellare questo fenomeno diffuso, senza ricorrere all’ennesima difesa a riccio, corporativa e dannosa per un mondo che, come è stato ricordato dalla stampa sportiva, è stato ispirato alla pratica dell’omertà, se non intenda assumere una decisa posizione riguardo all’attuale stagione ciclistica che non deve trasformarsi in un’ennesima occasione persa e in un’evidente ennesima truffa di tutti i sinceri appassionati.