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Hegel e la mania del tre

20 Gennaio 2012 9.210 views 2 CommentsStampa questo articolo Stampa questo articolo

Il più grande dei filosofi moderni? O il più ambiguo, incomprensibile e astratto? Diciamo che, se Kant è un selezionatore, Hegel è un unificatore. Il primo è una sorta di neurochirurgo, il secondo un sarto di grande qualità. Se è però complicato spiegare bene Kant è ancora più improbo il compito di divulgare Hegel. Che partì da Kant e arrivò fino a legittimare, da un lato, Marx e dall’altro l’assolutismo dispotico borghese. Se quasi tutto può riferirsi a lui vuol dire due cose: o che non aveva detto nulla o che aveva detto tutto. Propendiamo per questa seconda tesi. E in linea con le sue idee di stato etico lo chiameremo sua Maestà Hegel. Schopenhauer, più prosaicamente, lo definì “un ciarlatano di mente ottusa, insipido, nauseabondo, illetterato, che raggiunse il colmo dell’audacia scarabocchiando e scodellando i più pazzi e mistificati non sensi”, mentre De Sanctis afferma che per istupidire un giovane non bisogna far altro che dargli in mano un libro di Hegel, e quando quello leggerà che “l’essere è il nulla”, “l’infinito è il finito”, “il generale è il particolare”, “la storia è un sillogismo”, finirà con l’andare all’ospedale dei pazzi. Bertrand Russel non è da meno e sostiene che tutte le verità di Hegel non son’altro che banali errori. Per la verità quando il giovane Wilhelm Friedrich concluse gli studi il suo giudizio non fu lusinghiero. Risultava che non si fosse impegnato granché proprio in filosofia. Può essere che abbia deciso di reagire. E di diventare Hegel, che non solo fu docente proprio di filosofia a Jena e a Berlino, ma anche rettore delle due università e divenne appunto sua Maestà. Quando si dice che la scuola non ha mai indovinato il futuro dei suoi allievi… Anche Enstein era stato bocciato in matematica, no? Partiamo dal presupposto che, avendo detto di tutto, il suo punto di riferimento non poteva che essere il “tutto”, magari riferito a se stesso. Che poi è l’assoluto. Non esiste una realtà parziale, secondo la sua Logica, ma solo la realtà totale. Hegel paragonava la conoscenza a un rapporto tra una parte del corpo e il corpo stesso. E’ possibile conoscere gli occhi separandoli dal resto? E’ dunque è possibile conoscere una verità parziale e chiamarla conoscenza? Se conosco Ibrahimovic devo conoscere anche il resto del Milan, ma anche dell’Inter e della Juve, poi Mourinho e poi Allegri e prima di loro Lippi e poi il Barcellona e chiedermi come mai uno che finisce per Ic giochi nella nazionale svedese e poi sapere tutto della moglie, degli amici, degli antenati e via via fino all’origine del mondo e all’intero universo. Quindi, secondo Hegel, non posso dire di conoscere Ibrahimovic se non conosco l’universo tutto. L’assoluto e il relativo sono antitesi e dunque la sintesi non può che essere il relativo nell’assoluto, cioè un relativo per conoscere il quale io sono obbligato a conoscere anche l’assoluto. E’ un senso di frustrazione ci prende quando siamo costretti a riconoscerlo. Che io non conosca una persona se non so tutto di lui, è anche vero. “Se tu conosci il mondo tu conosci me”, cantava Peppino Di Capri, filosofo canoro di chiara impronta hegeliana. Ma come posso pensare al tutto? E cos’è il tutto? Non ci si ferma mai. E dunque io non posso conoscere niente. Possibile non porre mai un limite, una conoscenza sufficiente, una verità accettabile? Hegel non era uomo di mezze misure. Non conosceva l’abbastanza. Solo l’assoluto. Che abbia condizionato il modo di ragionare successivo è fuori di dubbio. Prendiamo gli architetti di oggi che, prima di elaborare un progetto di un nuovo quartiere, vogliono studiare il territorio circostante, le altre abitazioni, la natura della città, il suo assetto viario, la sua vocazione, il rapporto con le città vicine. Fosse per Hegel non dovrebbero fermarsi mai e arrivare a studiare tutto il mondo e magari anche l’universo. L’assoluto, che solo è conoscenza. Perché il resto non esiste se non in rapporto al tutto. E il progetto così non dovrebbe nascere mai. E tanti saluti al nuovo quartiere. Perché la coscienza del tutto porta sempre ad alzare bandiera bianca. Il tutto e il nulla sono in fondo la stessa cosa. Sono due antitesi che diventano sintesi nella simbiosi. Però l’idea che la parzialità sia insufficiente e che una parte debba essere collocata e riconosciuta solo in rapporto col resto è fondamentale per arrivare al suo concetto di dialettica e di filosofia della storia. Che non è scoperta di poco conto. Nessuno dopo di lui potrà più raccontare la storia come se Hegel non fosse esistito. Quando parla di realtà e di dialettica Hegel parla di dimensioni ideali dello spirito, perché per lui spirito e materia sono la stessa cosa. C’è voluto il cristianesimo e prima anche l’ebraismo a separarli e a pensare a un Dio che ci sta sopra e non dentro di noi. Dunque a un spirito separato dalla materia e a una materia separabile dallo spirito. Hegel era un protestante luterano ed era nato a Stoccarda nel 1770, visse le vicende della rivoluzione francese il conflitto franco-prussiano e quando Napoleone arrivò a Jena, Hegel era proprio lì e aveva appena finito di scrivere la sua Fenomenologia dello spirito, proprio il giorno prima. Guardò da lontano Napoleone a cavallo e gli piacque tantissimo. Si dovette porre subito il problema se per conoscere Napoleone doveva conoscere anche gli antenati del suo cavallo, ma intanto ne trasse una fallace e parziale idea a priori. Patriota, lo era a modo suo. Pensava che i tedeschi avessero una marcia in più degli altri, ma non fino al punto di diventare padroni del mondo. Ed  era quasi soggiogato, lui che poi avrà anche tre figli, di cui uno illegittimo con la sua affittacamere, dal culto del tre. La dialettica si compone sempre di tre elementi: la tesi, l’antitesi e la sintesi. E sul tre costruisce il suo grande sistema unificatorio. Qui c’è da farsi venire il mal di testa. Ad ogni movimento dell’essere corrispondono tre fasi (l’essere in sé, l’essere fuori di sé e l’essere in sé e per sé), la prima corrisponde all’idea, la seconda alla natura, la terza allo spirito. L’idea è divisa a sua volta in tre perché studiata con la dottrina dell’essere, con quella dell’essenza e con quella del concetto, la natura con la meccanica, la fisica e l’organica, e la Filosofia dello spirito con la guida del soggettivo., dell’oggettivo e dell’assoluto). Ancora: secondo lui la storia si divide in tre fasi: quella orientale, quella greco-romana e quella tedesca. Solo in quest’ultima (ovvio no?), gli uomini sono tutti uguali, nella prima l’uguale era uno solo e nella seconda erano solo alcuni. Anche la storia tedesca la divide in tre: fino a Carlo Magno, da Carlo Magno alla Riforma, dalla riforma in poi. Un maniaco. Di figli ne ebbe tre e di mogli una sola (ma probabilmente anche due amanti). Un triadico che sapeva di essere lo spirito santo, cioè la sintesi del padre e del figlio, magari lo spirito assoluto. Forse anche Bossi sarà stato ispirato da Hegel quando vaticinò d’un Italia divisa in tre (Nord, Centro e Sud). E così Alexandre Dumas padre, che scrisse dei moschettieri e fu convinto da Hegel (nonostante fossero quattro) a contarne solo tre. Hegel visse il tempo della grande Prussia, ma non ancora della Germania unita, appuntamento rinviato al 1871, quando Bismark verrà eletto primo cancelliere della Confederazione tedesca. La cultura tedesca, che a partire da Kant e da Fichte poi con Hegel e i suoi successori, sarà trainante in Europa, non era allora incorporata in un solo stato. Era naturale per Hegel che si formasse uno Stato tedesco. Allora la Germania è l’idea assoluta? No, per Hegel l’America è la terra del futuro. E nessuno lo avrebbe dedotto delle sue affermazioni precedenti. Capirlo, Hegel. Per lui le nazioni acquisiscono il significato che in Marx hanno le classi. Lo stato deve difendere la sua individualità e dunque la guerra non è poi un male. La guerra ci fa pensare alla caducità delle cose temporali, ha un positivo valore morale, si può anche diventare eroi in guerra. Avete mai visto glorificare un eroe in pace? Lo stato etico, che deve avere un chiaro messaggio e che deve soggiogare i suoi cittadini, garantendone l’unità, non aveva nessun obbligo, caro Kant, di evitare la guerra. Al bando dunque la tua pace perpetua e le tue leghe per la pace universale. Lasciamole alle donne in nero del futuro. E poi avere un nemico aiuta i popoli a stare più uniti e lo stato a dominarli meglio. La sua idea di stato sarà utilizzata più avanti per legittimare quelli autoritari del novecento. Ma già allora la sua Prussia era retta da una monarchia assoluta. Come facesse ad affermare che solo i tedeschi avevano capito che tutti gli uomini erano liberi resta un altro mistero. Com’è noto la frase più conosciuta di Hegel è: “Quel che è razionale è reale, quel che è reale è razionale”. Anche Dio, dunque, visto che esiste. In completo disaccordo con Pascal su questo punto era sostanzialmente d’accordo con Kant e anche con Aristotele, che sosteneva che l’idea di perfetto implicava l’esistenza del perfetto, cioè Dio. L’obiezione che non tutto quel che si pensa esiste, è messa fuorigioco da Hegel che da idealista non crede affatto che esistano realtà se non quelle delle idee. E poi il suo pensiero non aveva nulla a che fare con l’immaginazione. Ma non è misticismo questo? E difatti non è un caso che sua Maestà Hegel derivi la sua concezione idealista proprio dal misticismo al quale era stato allevato da giovane il grande unificatore, il Bismarck della filosofia. Il suo sistema invase il pensiero umano, compreso il mio che ho ricavato dalla sua dialettica un nuovo modo di concepire l’amore che più oltre racconterò, e che mi sembra in perfetta linea con la sua triadicità… Omne trinum est perfectum, che non significa, come tradusse quel tale, che in ogni treno c’è un prefetto….

 

2 Comments »

  • Tom said:

    Salve, due obiezioni veloci veloci.
    Nella fenomenologia dello spirito grande spazio è dedicato proprio alla critica dell’inazione, rappresentata dall’anima bella, incapace di agire per il terrore di sbagliare e corrompere la propria assolutezza.
    Agire per Hegel non richiede conoscenza, tutt’altro. Sono anzi frequenti nella Fenomenologia i giudizi benevoli riguardo la scelta di agire prescindendo dalla valutazione posteriore che qualcun altro darà a quell’azione.
    La filosofia di Hegel è una filosofia dei conti a fine giornata, di un uomo che arrivato sul cucuzzolo della montagna si guarda indietro per valutare il tragitto percorso, sapendo che solo ed esclusivamente da lassù, dal quel culmine che rappresenta la fine di qualcosa e l’inizio di qualcos’altro, è possibile interpretare e giudicare quel qualcosa che sta finendo. Perché i conti, la visuale d’insieme, si possono fare solo a fine giornata.
    Per Hegel l’azione che si autocomprende durante il suo stesso agire (utopia del giovane Marx) è una pretesa impossibile, per questo è importante intanto agire, prendere il sentiero di destra o quello di sinistra, perché sapere in anticipo quale dei due sarà il sentiero giusto non è possibile, ed è proprio questo l’atteggiamento coscienziale sbagliato che porterebbe all’inazione tipica dell’anima bella.
    Quindi l’idea che nella prospettiva Hegeliana il nuovo quartiere non possa mai venir costruito poiché preceduto da un’infinita e impossibile ricerca di conoscenza del “tutto” è, a mio parere, sbagliata.
    Nonché antitetica al pensiero stesso di Hegel (che, a mio parere, va ricercato principalmente in quella giovanile intuizione che è la Fenomenologia dello Spirito, piuttosto che non nelle opere successive, le quali, a grandi linee, altro non sono che tentativi più o meno felici di dare struttura e forma di sistema a quella felicissima intuizione dei giorni di Jena).

    Un altro appunto, ma di poco conto, se effettivamente nella religione ebraica la distanza tra l’uomo e il Dio è incolmabile, nel cristianesimo non lo è. Anzi, per Hegel il contenuto migliore e “utile” del cristianesimo è proprio quell’idea in nuce di identità tra Uomo e Dio.
    L’idea stessa che Dio si incarni in un uomo e un uomo sia Dio contiene, seppur nella forma fanciullesca della rappresentazione, lo stesso approdo speculativo a cui arriverà, più di mille anni dopo, il pensiero post rivoluzionario e in ultima istanza Hegeliano. Solo che qui è ancora nella forma della coscienza di un qualcosa di esteriore e non nella forma dell’auto-coscienza.
    L’ultima tappa della Fenomenologia, il sapere assoluto, è proprio quel sapere l’identità tra particolare e universale, o se vogliamo tra uomo e dio. L’ateismo Hegeliano, o ancor meglio l’antropoteologia Hegeliana, non dice altro che questo: che tutto ciò che il credente cristiano diceva del suo Dio, adesso l’uomo può dire di se stesso.
    Dio non è dentro l’uomo né fuori di esso. Dio è lo spirito. Quindi è l’azione storica e auto-compresa (a posteriori) dell’uomo post rivoluzionario che vive nello stato perfetto e omogeneo che avrebbe dovuto essere l’impero napoleonico.
    In ultima istanza Dio è Hegel. E con lui tutti gli uomini che giungeranno (come cittadini dello stato omogeneo e definitivo) a quel sapere che Hegel intuì prematuramente nella sua stanzetta di Jena.

    L’uomo è libero, creatore ed interprete della sua propria realtà. Che è l’unica realtà esistente.
    Questo è l’arrivo di quel tour de france compiuto dallo spirito che Hegel descrive nella Fenomenologia.

    Complimenti per il Blog, di ottima fattura.

  • Hegel e la mania del tre | Fabio Cruciani said:

    […] Tratto dal blog “L’Occhio Del Bue” (LINK) […]

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