La seconda Repubblica finisce annegata col Trota
Ha ragione Antonio Polito sul “Corriere della sera”. E’ quasi simbolica questa gravissima nuova inchiesta giudiziaria sulla Lega. Segna una fine. Lui parla di incorruttibili corrottti. Personalmente non ho mai creduto agli incorruttibili, che presuppone anche la categoria dei corrotti predestinati. E vorrei anche ribadire che nessuno può essere giudicato colpevole prima dell’ultima sentenza di un processo. E tuttavia non si può evitare di esprimere un giudizio politico sui diversi e ricorrenti casi che stanno investendo i partiti della cosiddetta seconda repubblica, che abbiamo simbolicamente processato proprio noi del Psi nell’iniziativa del 21 di marzo a Rom a. Parto da due presupposti. Il primo: i partiti oggi vengono finanziati con ingenti risorse pubbliche sotto la casistica di rimborsi elettorali (anche quando poi vengono sciolti e si unficano tra loro, mantenendo così casse distinte). Non esistono controlli efficaci sulle loro spese e come nella vicenda, ormai acclarata per ammissione del soggetto coinvolto, e cioè quella di Lusi e della ex Margherita e oggi quella, ancora da approfondire, del leghista Belsito, che ha però già provveduto a rassegnare le dimissioni, i fondi sono amministrati a totale discrezione dei loro vertici. In un’intervista a Elio Veltri sullo stesso Corriere, quest’ultimo, ex dipietrista, sostiene che le risorse pubbliche dell’Idv vengono girate a una fondazione amministrata da Di Pietro, da sua moglie e dalla segretaria amministrativa dell’Idv, vicinissima a Di Pietro. Dovesse cambiare maggioranza il partito, le risorse resterebbero a loro tre. Rispetto alla cosiddetta prima repubblica il paragone è spietato. Allora i partiti si rivolgevano (spesso illegitimamente e irregolarmente) ai privati, oltre a usare le risorse del finanziamento pubblico, per le loro cospicue e dispendiose attività politiche, oggi alcuni partiti (quanti ancora non si sa) dispongono di segretari amministativi che anzichè cercare risorse per i loro partiti si avvalgono delle risorse dei loro partiti, attribuite dallo Stato, per fini discrezionali e a volte personali. Non è differenza da poco. Prima si cercavano risorse per fare politica, adesso si fa politica per cercare risorse personali. Il secondo: nelle indagini dei finanziamenti illeciti ai partiti della prima repubblica, per quanto riguarda solo uno di essi (il Psi) si è sostenuta la tesi che il segretario politco non poteva non sapere quello che faceva il segretario amministrativo. E oggi? Rutelli poteva non sapere quello che faceva Lusi e Bossi poteva non sapere quello che faceva Belsito? E Bersani poteva non sapere quello che faceva il suo più stetto collaboratore Penati? Probabilmente sì. Ma perchè prima no? E perchè prima no solo per uno, giacchè nel proscioglimento del procuratore di Venezia Carlo Nordio rispetto alle indagini su Occhetto e D’Alema si è invece e volutamente, e anche un po’ provocatoriamente, voluto affermare che il teorema del “non poteva non sapere” non era giuridicamente applicabile? Ma guardiamo all’oggi. Che il partito del cappio (io c’ero alla Camera quel giorno e fui tra coloro che si scagliarono contro quel gesto di Orsenigo) sia accusato di reati tanto gravi e, anche a prescindere dai reati, che abbia investito soldi in Tanzania, a Cipro e in altri stati a fiscalità privilegiata, che abbia usato e ricevuto soldi che uscivano come colombe dal cappello, con tanto di orologi e di case (chissà perché ci sono sempre orologi, barche e case), che il suo segretario amministrativo sia stato coinvolto in rapporti con la malavaita e che il giovane Bossi, detto Trota, sia stato da tutti definito Bancomat per i suoi rapporti col cassiere del partito, non può che disorientare, innan zitutto, i militanti e gli elettori leghisti. Disorienta anche Maroni, oggi, che si scopre più oppositore di ieri,d imostrando davvero scarso senso di solidarietà col capo. La storia della casa di Bossi, e anche la sua affermazione, ricorda da vicino quella di Scajola: “Denuncio chi ha usato soldi pubblici per ristrutturare la mia casa”. Denuncia che fa un po’ rabbia e po’ un pò pena. E anche un po’ ridere. E che forse, almeno per Bossi, potrebbe essere però addirittura autentica e fondata. Mamma mia…
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