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Il tricolore e Franceschini

8 Gennaio 2014 1.313 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Il sette di gennaio è l’anniversario della fondazione del tricolore, vessillo scelto in occasione del primo congresso della Repubblica Cispadana nel 1797 e divenuto poi simbolo dell’unità nazionale. Oggi la mia città, Reggio Emilia, si è agghindata come al solito coi tre colori e ha ricevuto due ministri, Franceschini e Delrio, oltre al presidente della Corte costituzionale Silvestri, che ha tenuto al teatro Ariosto la sua lectio magistralis. Il tricolore, nella storia politica di questo secolo e mezzo, è stato diversamente interpretato, valorizzato e anche contestato. Durante il Risorgimento era il vessillo dei nostri eroi, dell’Italia da conquistare, della lotta agli austriaci e agli oppressori. Poi tale è rimasto nell’epopea interventista durante la prima guerra mondiale. Contestato per questo dai rivoluzionari e dai neutralisti nell’immediato dopoguerra, é stato inopinatamente messo in soffitta e sostituito dalle bandiere rosse issate sui pennoni in luogo della bandiera nazionale dopo la conquista dei comuni da parte delle sinistre alla fine degli anni dieci. Rispolverato dal fascismo venne poi oltraggiato dai nuovi paladini della rivoluzione, e dimenticato anche da larga parte della sinistra riformista, fimo agli anni settanta. Solo riscoperto in occasione dei mondiali di calcio e sventolato come vessillo delle destre nelle manifestazioni politiche. É capitato così che, dopo la fine delle vecchie contrapposizioni, ancora il tricolore si sia affacciato come simbolo di tutti e da tutti riconosciuto come tale. Se posso aggiungere un particolare, devo ricordare che per primo il PSI di Craxi riscoprì e valorizzò con la figura di Garibaldi anche il mito del tricolore, che era stato riproposto anche dal vecchio Pci, ma solo sotto la sua falce e martello. Tanto che si parlò di socialismo tricolore. Una delle tante anticipazioni del nostro passato. Dario Franceschini ha parlato solo di politica. E ha voluto ricordare tre cose. La prima è che il governo durerà fino al 2015 e questo appare un dato ormai scontato. La seconda è che occorre, nei prossimi mesi, addirittura prima delle elezioni europee, procedere a due riforme istituzionali. La prima è la legge costituzionale relativa alla soppressione del Senato come Camera elettiva e all’introduzione del mono cameralismo, con conseguente diminuzione del numero dei parlamentari. La seconda é la riforma elettorale, a doppio turno, per far sì che vi sia un vincitore che possa governare. La terza cosa ricordata da Franceschini riguarda l’impegno del governo a trattare con l’Europa la separazione degli investimenti dalla percentuale del 3 per cento deficit-pil. Sarebbe un grande passo, che attendiamo da tempo. Ma l’Italia ha l’autorevolezza per ottenerlo? Su questo nutriamo qualche dubbio. Come del resto ricordato da Giavazzi e Alesina sul Corriere, occorrerebbe presentarci in Europa con un progetto di forte riduzione della spesa pubblica e conseguente alleggerimento del prelievo fiscale. Dalla legge di stabilità non emerge con sufficiente chiarezza questa volontà. Vedremo nelle prossime settimane.

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