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Quale forma di Stato. La relazione di Del Bue al seminario Psi

28 Giugno 2014 1.381 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Presidenzialismo o parlamentarismo?

Assistiamo a un paradosso. Berlusconi propone una raccolta di firme per l’elezione diretta del presidente della Repubblica e precisa che dovrà essere un presidente che guida il governo, quindi ipotizza una Repubblica presidenziale. Ma poi ribadisce l’accordo con Renzi sull’Italicum, Senato e titolo V. Renzi incassa e fa finta di non sentire. Assicura che il presidenzialismo non è nella sua agenda, ma non pretende che Berlusconi lo ritiri. Così assistiamo a una sorta di accordo-disaccordo. Un’intesa che prescinde dalla questione più importante sulla quale c’è invece una divisione di fondo. Noi osserviamo: preliminarmente scegliamo una forma di Stato e poi conseguentemente una legge elettorale, la forma dell’esecutivo e i suoi rapporti con le istituzioni elettive. Con il presidenzialismo, all’americana o alla francese, si dovrebbe conseguentemente adottare un sistema maggioritario, con un sistema parlamentare una legge proporzionale. Per questo i socialisti hanno proposto la via maestra della Costituente. Per partire nel modo giusto, con il quadro esatto, per non costruire un percorso contraddittorio, sfilacciato, incoerente. La Costituente per scegliere una forma di Stato e poi per scrivere una nuova e conseguente Costituzione ed arrivare a una legge elettorale oggi non prevista in Costituzione, se non per il Senato ove viene contemplato un sistema a base regionale. Anche per questo noi abbiamo più volte sottolineato l’impossibilità di approvare una legge elettorale che riguardasse anche il Senato senza adottare la procedura dell’articolo 138 della Costituzione. Si sono alla fine accorti che si poteva adottare una nuova legge elettorale solo per la Camera e hanno preferito iniziare l’iter dalla riforma del Senato con una legge costituzionale. Resta un modo contraddittorio di procedere, ma siamo anche contrari ai professoroni del giù le mani, ai custodi della conservazione, alle sentinelle del santo sepolcro sempre pronti a impallinare chiunque vi si avvicini senza chiedere preventivamente il loro permesso. Sono gli autori del Giù le mani dalla Costituzione e non si sono accorti che la Costituzione è stata cambiata più di trenta volte. Anche sulle procedure per cambiare il 138 e rendere più agibile il percorso delle riforme non abbiamo obiezioni. Ma attenzione ai rapporti tra legge elettorale, riforma del Senato e riforme costituzionali, perché potrebbe determinarsi un ingorgo democratico. Tornerò su questo tema.

Quale democrazia

In Italia abbiamo sindaci e presidenti o governatori di regioni eletti direttamente, che formano le giunte senza passare dai consigli con assessori incompatibili con le istituzioni elettive. Abbiamo una parte di regioni nominate attraverso o listini bloccati o liste bloccate, abbiamo abolito i Consigli provinciali e le circoscrizioni nelle città sotto i duecentomila abitanti, abbiamo una Camera di nominati e un Senato che si propone non più elettivo. È anche d’uso, contrariamente al passato, nominare ministri e sottosegretari non parlamentari. Si può svolgere una riflessione sulla democrazia? Se gli eletti sono sempre meno e i nominati sempre di più, chi è che detiene il potere, il popolo elettore o i detentori di nomine, cioè i capi? E trasformare una democrazia in cui comanda il popolo in una democrazia in cui comandano i capi non significa andare verso la trasformazione della stessa democrazia in oligarchia? Mettiamoci anche il potere sempre più forte dell’informazione e della magistratura, poteri sempre più straripanti e assoluti, che non solo orientano, ma spesso determinano le tendenze popolari. Parlo del potere dei talk show televisivi e degli avvisi di garanzia spesso trasformati in carcere preventivo abusivo. Basta poco oggi per elevare sugli altari un personaggio, un gruppo politico, un partito. Basta una Gabanelli, alla quale dovremmo inviare un’iscrizione ad honorem al nostro partito, per far sparire il capo della rivoluzione giudiziaria italiana. Certo oggi possiamo rifugiarci nell’uso del digitale, quest’ultimo può essere una via di scampo. Ma il digitale divide ancora, e induce a sintesi, a slogan, a umori, più che a ragionamenti, ad approfondimenti, a elaborazioni. E come ci ha insegnato il Movimento cinque stelle anche il digitale ha bisogno della televisione. Ne diventa uno strumento più complementare che alternativo. Renzi usa i Twitter ma invade le televisioni. Certo il suo linguaggio, ancora più di quello di Berlusconi, è ritagliato dai social network. Sarà anche per questo che a noi continua a non convincere appieno. I socialisti sono per una democrazia deliberante, non per la democrazia dell’immagine, che poi è solo immagine di democrazia.

La riforma del Senato

Siamo d’accordo sulla necessità di superare il bicameralismo perfetto, che fu un’esigenza dei costituenti che immaginavano una nuova democrazia che potesse, con il ruolo preminente e condizionante delle assemblee elettive, evitare qualsiasi potere più o meno assoluto. Dopo sessanta cinque anni abbiamo aspettato anche troppo a mettere mano a una riforma che attribuisse poteri diversi alle due Camere. Già con la bozza Violante del 2006 si propose un’unica Camera a cui sottoporre il voto di fiducia e un Senato federalista. Il termine in verità era piuttosto discutibile dal momento che non eravamo in uno stato federalista e ricordo che nel mio intervento alla Camera feci notare questa contraddizione. Tuttavia giusta l’esigenza di evitare il doppio voto di fiducia e anche di votare due volte lo stesso testo di legge. Il che comporta una doppia lettura che con emendamenti può diventare terza e quarta. E così una legge per essere approvata impiega mesi e a volte anche anni. Così per governare si consumano decreti e voti di fiducia. Il punto che a me pare preminente, al di là della necessaria visione d’insieme che manca e che solo affrontando il tema della forma di Stato può essere risolto, va ricondotto alla diversificazione delle Camere. Le domande che dovremmo rivolgerci sono le seguenti. Meglio due camere con poteri distinti o una sola Camera con tutti i poteri e un’altra senza quasi nessuno? E poi a proposito della diminuzione dei parlamentari e dei loro costi: devono diminuire sia i deputati sia i senatori o solo i senatori? La via scelta è la seconda risposta di entrambi i quesiti. È la più giusta? Non ne sono convinto. Ma andiamo dentro anche questa doppia seconda soluzione. Si propone una nuova istituzione con cento senatori, solo 5 nominati dal presidente della Repubblica, 74 dalle regioni e 21 dai comuni più importanti. Pare che dei grandi temi resteranno al Senato solo quelli relativi alle riforme costituzionali, e allora mi viene in mente l’interrogativo sul ruolo dei consiglieri regionali e dei sindaci e delle loro competenze in materia. Si sostiene che i senatori non dovranno essere eletti, ma designati nel momento dell’elezione dei consigli regionali. Mi viene spontanea una considerazione. Facciamo l’esempio di una regione in cui non si voti con le preferenze ma con liste bloccate, oppure di una regione in cui esistano i listini bloccati. Potremmo trovarci di fronte un senatore nominato attraverso un’altra nomina, quella del consigliere regionale. Un senatore binominato. Almeno questo no, per favore. Un necessario chiarimento sui costi dei futuri senatori. Non avranno stipendi, d’accordo, ma saranno anche tenuti senza cibo, senza sonno, senza viaggi? Saranno privi di stipendi, ma avranno rimborsi. Non glieli darà il Senato, ma le regioni, i comuni? E cosa cambia? E i dipendenti, i tanti dipendenti del Senato che fine faranno? Resteranno o saranno allocati altrove. Ma resteranno un costo. Ci sarà un leggero risparmio, dunque, non certo un Senato senza costi. Il senatore Buemi ha firmato gli emendamenti dei dissidenti del Pd. Spiegherà egli stesso il significato della sua scelta. D’altronde Buemi si è sempre caratterizzato in sei mesi per coraggio e spirito d’iniziativa. Quindi non dubito che abbia fatto bene.

L’Italicum

La direzione del PSI ha approvato un documento sulla legge elettorale definita Italicum e che io polemicamente ho definito sull’Avanti BR, come le iniziali di Berlusconi e Renzi, e purtroppo il risultato della composizione delle iniziali ricorda anche una tragica sigla del passato, ma ogni riferimento ad essa, come si dice nei film, è puramente casuale. In quel documento si invitavano i senatori socialisti a non votare la legge, dopo che i deputati avevano presentato le proposte di modifiche in Aula, ma avevano finito per votare a favore e io non l’avrei fatto. Le tre osservazioni di fondo riguardano nell’ordine la soglia di accesso al secondo turno, o se si vuole la soglia di accesso al premio di maggioranza, i meccanismi dello scorporo del voto alla luce degli sbarramenti così alti, e infine la questione della nomina dei parlamentari su liste corte. Abbiamo definito, la prima, “la minoranza assoluta” perché si vince perdendo, cioè chi arriva al 37 per cento ottiene per legge la maggioranza assoluta, chi invece ottiene il 63 sia pur disarticolato perde. Si dice che il problema di fondo sia quello di sapere la notte delle elezioni chi è il vincitore, come se le elezioni fossero il Giro d’Italia. Non sta mica scritto da nessuna parte che l’elettorato decida necessariamente un vincitore. L’elettorato in Inghilterra non ha affatto deciso un vincitore, tanto che i conservatori sono stati costretti a fare un’alleanza coi liberali. E cosa è successo in Germania? Per la seconda volta negli ultimi anni nessuno ha alzato le mani e ha tagliato il traguardo con la maglia rosa, ma si è composto un governo di grande coalizione. Non è stata la fine della democrazia anglosassone nè di quella germanica. In Italia la notte delle elezioni ci deve essere uno vincitore. Tanto che se nessuno vince, si deve certificare un vittorioso per legge. A costo di attribuire la maggioranza alla minoranza. In nessuna legge ch’io conosca, per parafrasare Filippo Turati, dico che non conosco le leggi arabe e turche, in nessuna legge è prevista la vittoria con il 37 per cento. La cosiddetta legge truffa proponeva nel 1953 un premio di maggioranza per chi avesse ottenuto la maggioranza assoluta, cioè il 50 più uno per cento dei voti. Cosa che per poco non avvenne. Perfino la legge Acerbo era migliore. È vero proponeva nel 1923 i due terzi degli eletti a chi avesse ottenuto almeno il 25 per cento. Ben peggio, direte. Un attimo. Con il BR si vince se una coalizione ottiene almeno il 37, ma con gli sbarramenti al 4,5, si potrebbe verificare che un partito da solo della coalizione superi lo sbarramento e gli altri no. Sapete cosa dice la legge? Che i voti dei partiti sotto lo sbarramento vanno attribuiti a chi lo supera. Così un partito del venti per cento potrebbe da solo arrivare al 53. Incredibile, ma vero. Poco probabile, oggi, con un Pd al 40 per cento e gli altri sotto la linea dell’esistenza o giù di li. Ma una legge si fa perché duri anche dopo la fine di tendenze elettorali che mai come oggi sono peraltro in Italia assolutamente mobili. La seconda obiezione l’ho già anticipata e riguarda quel che ho definito “il furto del voto”. Cioè uno vota Sel, che non supera il 4,5 per cento e quella percentuale compreso il voto di quel l’uno viene attribuita al partito coalizzato che lo supera. Cioè di fatto io voto un partito e il mio voto finisce a un altro partito. D’altronde se quel che conta è vincere non importa come e non rispettare le tendenze dell’elettorato si può anche rubare il voto. La terza annotazione riguarda la mancanza di preferenze. Ancora il parlamento dei nominati. Chiaramente incostituzionale. Non ci sono nominati in liste lunghe, ma in liste più corte. Vuol dire che faremo una Camera di nominati corti. Ci fosse ancora Fanfani sarebbe il suo momento. Adesso Grillo è sceso come Mosè dal Sinai e ha deciso dopo la botta alle Europee di giocare la partita. Secondo me è un bene che una forza politica così importante sia disponibile a disegnare assieme agli altri le regole del gioco. La proposta del Democratellum a parte l’assurdità del voto in negativo, che Renzi ha giustamente paragonato alla nomination del grande fratello, non è una proposta da scartare. Nell’incontro in streaming si è ipotizzato una sorta di baratto: l’introduzione delle preferenze, proposta dai Cinque stelle, in cambio dell’accettazione del premio di maggioranza e del ballottaggio. È bastato questo per far scattare la reazione di Forza Italia. Il patto BR non può trasformarsi nel patto BRG. Pare che il triangolo no, l’avevano considerato. E questa è la vera novità politica che penso scardinerà alcuni puntelli dell’Italicum. Difficile per Renzi tenere insieme Grillo e Berlusconi. Anzi impossibile. Ma è altresì impossibile oggi per Renzi non tenere in alcun conto le proposte dei Cinque stelle. Mi pare che l’Italicum così come era stato concepito al momento del parto sia destinato a tornare nel doppio ventre dei due coniugi che l’hanno partorito. Penso che noi dovremo tenere su questo la barra dritta. E presentare le nostre tre osservazioni di merito a cui aggiungo anche la questione della parità di genere, oggi non contemplata se non in una parità formale che non si trasformerebbe in parità di risultato. Ma col gioco delle preferenze anche questo argomento cambierebbe carattere e tornerebbe d’attualità. Concludo questo argomento con la questione forse più importate che riguarda le conseguenze di ordine costituzionale di una legge come quella dell’Italicum. Tutta la nostra Costituzione respira di spirito proporzionalistico. È sempre presente d’idea di introdurre ostacoli a poteri assoluti. Con un sistema elettorale maggioritario, e nel caso dell’Italicum si tratta di sistema super maggioritario, bisognerebbe introdurre nuove norme per eleggere i presidenti delle Camere, il presidente della Repubblica, i membri laici della CSM e della Corte costituzionale. Senza una nuova legge costituzionale capace di abbracciare l’insieme di queste materie, l’Italicum segnerebbe davvero un cambio di sistema democratico. Quello che permette a chi ha solo il 37 per cento, una minoranza, di prendersi i presidenti delle due Camere, il presidente della Repubblica, i membri della Corte e del CSM. Una minoranza, divenuta maggioranza con un premio, che si impossessa di tutti i gangli dello Stato. Questo non può e non deve avvenire,

Il titolo V della Costituzione

Non possiamo dimenticarci che la riforma del Titolo V della Costituzione è stata approvata dalla maggioranza di centro-sinistra prima delle elezioni del 2001, in funzione anti leghista. Anzi col proposito esplicito di dimostrarsi più leghista dei leghisti. Introducendo un decentramento regionale di poteri senza precedenti, svuotando lo stato centrale anche delle competenze più ovvie, e introducendo il bailamme delle materie concorrenti. Questa riforma costituzionale, che naturalmente non poteva godere dei due terzi dei voti parlamentari e stata poi sottoposta a referendum confermativo, ove non esiste il vincolo del quorum ed è stata approvata da una esigua minoranza di elettori. Il paradosso è che la cosiddetta e decantata devolution della Lega, votata poi durante il governo Berlusconi nella legislatura successiva, si è configura addirittura come un”attenuazione delle tendenze della riforma del titolo V. Ma la riforma di Bossi è stata poi bocciata dal referendum confermativo. Penso che noi dobbiamo accogliere le linee di modifica di massima che sono sul tappeto. Bisogna evitare che la regioni svolgano attività di politica estera sul commercio e l’industria., possibile che siano sedi regionali in mezzo mondo con un dispendio di risorse davvero ingenti. Bisogna riportare le grandi opere infrastrutturali allo stato centrale. Oggi qualsiasi decisione di investimento deve essere concertata con le regoni nell’assemblea stato regioni e, ve lo dico io che ho fatto parte di quest’assemblea quando ero al governo, si assiste a veri e propri baratti se si vuole il voto dell’Assemblea, perchè individuare un punto di equilibrio che unifichi tutti è difficile. È così che si fa pianificazione degli interventi nazionali? Anche il turismo credo debba essere materia nazionale mentre la sanità non può essere lasciata al potere di spesa incontrollato delle singole regioni. Una siringa in Lombardia non può costare la metà di una siringa in Siclia. Vedremo le preposte. Se si propone di sopprimere le materie concorrenti credo che dovremmo votare a favore.

Conclusioni. Credo che questo testo con i vostri emendamenti possa essere un strumento di azione politica e parlamentare. L’ho voluto presentare per iscritto per consentire una discussione costruttiva e concreta. Spero possa servire ai nostri parlamentari e al nostro partito.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
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