Monsieur Nibali la vie in rose et en jaune…
Anch’io oggi sto sul paracarro. Scalpitando sui miei sandali. E ti lascio andare al cine perché io sto qui e aspetto Nibali che arriva in giallo a Parigi. Già’ in rosa al Giro del 2013 e prima trionfatore alla Vuelta. Eccolo, sta pedalando tranquillo con la sua Astana in testa alla corsa. Ha convocato i sedici italiani a prescindere dalle squadre per tingere di tricolore la sua maglia gialla. Ha abbracciato il corregionale Visconti, ha scherzato con De Marchi, con Oss, con Bennati, col fido Scarponi. I francesi si fingono gratificati perché Peraud e Tibault Pinot si sono piazzati nei posti d’onore. Ma è dal 1985 che non vincono il loro Tour, dall’ultimo trionfo di Bernard Hinault, mentre gli italiani sono sfilati primi anche nel ’98 col povero e grande Pantani. Nibali sta arrivando alle porte di Parigi. E pensa, ne sono sicuro, a Ottavio Bottecchia, a Gino Bartali, a Fausto Coppi, a Gastone Nencini, a Felice Gimondi, a Marco Pantani. Magari soprattutto a Marco, penalizzato e umiliato mentre il dopato Armstrong stravinceva sette Tour col trucco. E penserà forse anche all’Italia mondiale, laggiù in Brasile ridicolizzata da una Costarica qualsiasi. E si dirà che lui forse ha riscattato l’onore italico così umiliato in Sudamerica. Siamo sui Campi Elisi, la folla è imponente. Un italiano trionfa tra due ali di francesi un po’ contenti e un po’ invidiosi. Forse anche incazzati, coi giornali che svolazzano. Nibali sorride e con lui una volta tanto vinciamo anche noi che, nonostante i nostri Balotelli, non riusciamo ad abituarci a perdere.
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