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Quei compagni che difendono i dogmi

6 Marzo 2015 1.163 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Oggi Angelo Panebianco scudiscia quanti non hanno ancora capito la grande novità della fase aperta da Renzi in Italia. È vero che Renzi ha terremotato la situazione politica. Il centro-destra non esiste più, solo Salvini, con la Melonina, sta preparando un’offensiva. Il leader del Pd ha cambiato la natura del suo partito, eliminando gli ex comunisti e sfoderando un programma apprezzato anche dagli elettori moderati, che hanno cominciato a votarlo. Sta approvando una legge elettorale che ridurrà sostanzialmente a due le liste (non le coalizioni, caro Angelo) competitive, introducendo il premio di maggiorana alla lista capace di raggiungere il 40 per cento e il ballottaggio tra le prime due in caso contrario.

Personalmente, come non ero antirenziano ai tempi in cui il Psi scelse Bersani, anzi avevo consigliato di prendere seriamente in considerazione l’opzione opposta, non sono diventato renziano oggi. Anzi ho contestato l’Italicum e anche la riforma costituzionale. Sul resto devo dire che le posizioni di qualche nostro amico e compagno sarebbero destinante a farci deragliare. Dove? Necessariamente in un’aggregazione collocata alla sinistra del PD, cantiere al quale stanno lavorando la Boldrini e Landini. Se non sbaglio è esattamente la posizione politica che i socialisti degli anni ottanta combatterono come conservatrice e dogmatica.

Penso alle riforme sociali e a quelle della giustizia. Domani mi dedicherò alle seconde. È vero noi siamo orgogliosi di essere il partito di Brodolini e dello statuto dei lavoratori approvato nel 1970 (Brodolini morì l’anno prima), che i comunisti non votarono. Ma siamo anche stati allevati al culto laico della critica e del collegamento di un principio, e tanto più di una legge, ad una situazione economica. In questo qualche insegnamento lo abbiamo appreso proprio dal vituperato Marx. Che cosa c’entra l’Italia di oggi con quella del 1970? Allora l’economia era in forte espansione, e la grande fabbrica ne era l’espressione più autentica, i lavoratori si spostavano al Nord e trovavano immediatamente un’occupazione e il problema di fondo era difenderla dai capricci e dalle discriminazioni delle proprietà.

Oggi l’economia ha segnato il punto più basso della crisi, il mondo, e anche l’Italia. si è tecnologizzato, molti lavori sono scomparsi. Anzi il lavoro sfugge, come intuiva Michel Rocard già alla fine degli anni ottanta. I giovani non hanno futuro. Dall’Italia ne sono fuggiti ottantamila all’anno. La crisi ha investito e massacrato quel tessuto di piccole imprese sviluppatosi dagli anni settanta in poi, ed è chiaro a tutti che il lavoro a posto fisso per la vita non è più un diritto, perché rischia di seminare ancora più precarietà. A me pare che il diritto del lavoro di stampo europeo dovrebbe essere nostro patrimonio. Il tutto funzionale a combattere la nuova emergenza della disoccupazione.

Il socialdemocratico Schroeder lo ha fatto con Agenda 2010. Ma se avessimo adottato i mini jobs in Italia cosa sarebbe accaduto? Però anche attraverso quel provvedimento la Germania ha ripreso a correre e creare occupazione, prima piuttosto precaria e poi più stabile. La verità è che in Italia il diritto del lavoro è intoccabile e chi ha tentato di farlo è stato ammazzato. Personalmente non credo che il conservatorismo possa oggi produrre buoni frutti. Il perno di una riforma deve esser quello della flex security lanciata a Lisbona dai socialisti europei. Bisogna a mio giudizio tutelare non tanto il posto di lavoro, ma il lavoratore. Il cosiddetto modello Ichino, o danese, non quello Landini, dovrebbe essere il nostro orizzonte. Certo il Jobs act si muove in questa direzione, ma non è ancora questo.

È giusto dunque criticarne i limiti, ma trovo assurdo e incompatibile con la nostra cultura antidogmatica, contrapporgli una legge di quarant’anni fa e gridare al crucifige chiunque tenti di adeguarla e di rapportarla alle emergenze attuali. E soprattuto fare un’operazione ingannevole. L’articolo 18 chi ce l’ha se lo tiene, ma i disoccupati non hanno alcun articolo che li tuteli. Piuttosto io rilancerei da socialista altri tre temi: il reddito minimo e quello di cittadinanza, la questione della cogestione sulla scia del modello tedesco, anche per la partecipazione agli utili da parte dei lavoratori. E vi aggiungerei anche una più attenta contrattazione sul lavoro, che deve essere sempre a misura d’uomo e rispettoso delle condizioni di vita e dell’età del lavoratore, soprattutto dopo l’allungamento dell’età pensionabile. Magari il sindacato si occupasse di questo. Come socialisti certo dovremmo occuparcene noi.

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