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Il maestro e la classe

17 Maggio 2015 1.174 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Tutti coloro che hanno messo le mani sulla scuola le hanno dovute ritrarre. Penso alla Moratti che aveva ingenuamente pensato a una riforma organica della scuola superiore. Penso a Fioroni che, dopo aver smontato la riforma Moratti, si accontentava, da vecchia volpe andreottiana, di limarne qualche spigolo (gli esami di maturità e poco altro). Penso alla Gelmini e oggi alla Giannini, che viene paragonata a quell’altra non solo nella rima.

Qualche merito le ultime disposizioni in materia (preferisco chiamarle così piuttosto che “riforma della scuola” e pomposità del genere oggi strombazzate in nome della “buona scuola” e di quel tronfio ritornello della “svolta buona”) le possiamo rintracciare. Non solo i centomila precari che vengono assunti (come, non mi risulta chiarissimo e come e perché tutti gli altri restino fuori ancora meno), il potere dei presidi in nome dell’autonomia scolastica (ma non c’è il rischio del padrone incontrollato anche qui come nell’Italicum dotato di un premio di maggioranza un po’ troppo assoluta?), finalmente la valutazione degli insegnanti che non possono essere abilitati solo una volta nella vita (ma i valutatori saranno all’altezza?).

Un po’ meno convincente è la norma che finanzia la scuole private. Intendiamoci. Noi abbiamo da molti anni superato il tabù ideologico della contrapposizione tra pubblico e privato anche nei servizi e nella scuola in particolare. Già negli anni ottanta con Claudio Martelli avevamo lanciato l’idea di un bonus, equivalente al costo medio di uno studente nella scuola pubblica, che poteva essere speso sia nella scuola pubblica sia nella privata. Non era un finanziamento della scuola privata, ma degli studenti e delle loro famiglie, per una libertà di scelta. Ribadiamo oggi quel principio e rifiutiamo un modo vecchio e solo assistenziale di finanziamento ai privati.

Francamente, per questo, non capisco bene da cosa sia originato questo moto di ribellione degli studenti e degli insegnanti. Rispetto all’attuale situazione questi provvedimenti non rappresentano certo un passo indietro. Invece è esplosa la protesta, anzi l’ostruzionismo con il rischio di blocco degli scrutini. Ancora un “Giù le mani”? Come ai tempi del Vietnam, come sulla Costituzione? Che vuole dire: lasciamo le cose come sono. Cgil e Uil paiono le più decise, più defilata la Cisl.

Oggi Renzi si propone nelle vesti del maestro Manzi di “Non è mai troppo tardi”. Con gessetto e lavagna spiega e risponde. Cerca il consenso e non assume posizioni stile Jobs act. Incontra, rassicura, media. D’altronde le elezioni regionali sono alle porte. E su quelle consultazioni si misurerà anche il consenso del suo governo. Perché rischiare? Fosse per lui rinvierebbe tutto a dopo. Anche la questione del finanziamento delle pensioni (quali e di quanto?), alla luce della recente sentenza della Corte, lo rinvierebbe volentieri. Ma la politica è scegliere e poi accettare di pagarne il prezzo. Renzi mi sembra più propenso a scegliere solo se è sicuro di non pagare. L’importante, ma lo si diceva anche ai tempi di Berlusconi, è non far pagare il paese.

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