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Ciao Dino, socialista orgoglioso

22 Gennaio 2016 3.010 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Ci ha dunque lasciato Agostino Marianetti, dirigente sindacale e politico del socialismo italiano. Sapevamo dei suoi problemi di salute. E avevamo accolto il suo recente libro sulla storia più recente sua e del PSI quasi come un testamento. Era presente pochi giorni orsono alla presentazione del volume, anche se martoriato dalla malattia. Aveva scritto “Io c’ero” su sollecitazione di Ugo Intini per combattere “il totale oltraggio, il fango, la tabula rasa, la cancellazione del popolo socialità”. Lo aveva scritto con partecipazione e sentimento, quel sentimento e quell’emozione che gli leggevi negli occhi. Sempre.

Agostino, che era nato a Tripoli nel 1940 da un famiglia operaia e che era stato consigliere comunale a Roma e poi segretario della Cgil romana, lo conobbi alla fine degli anni settanta, quando nel sindacato erano due le personalità socialiste forti: la sua e quella di Giorgio Benvenuto. Se quest’ultimo rappresentava gli sforzi dell’autonomia socialista nel mondo del lavoro attraverso una UIL che da poco lo aveva eletto a sua guida (credo sia stato il primo atto compiuto dal nuovo corso socialista dopo il Midas), Marianetti restava un punto di riferimento del riformismo tout court, visto che era il vice di Luciano Lama, che al riformismo era pervenuto, spesso in dissenso col suo partito.

Noi giovani socialisti del nuovo corso avevamo un occhio particolare per i movimenti di Benvenuto e consideravamo la Cgil un sindacato troppo comunista. Tuttavia Marianetti, col suo sorriso rassicurante e la sua modestia, col suo naturale orgoglio di socialista riformista figlio di Fernando Santi, ci dava un senso di tranquilla garanzia nell’affermazione dei nostri ideali nel mondo del lavoro. Poi Agostino lasciò il timone sindacale a Ottaviano Del Turco e nel 1983 venne eletto alla Camera. Io lo incrociai nel 1987, quando lo raggiunsi nell’emiciclo di Montecitorio, e il suo impegno e la sua trasparenza mi colpirono subito. Marianetti era la dimostrazione di come si potesse essere craxiani e nel contempo amare profondamente e lucidamente i lavoratori, i disoccupati, gli emarginati.

Fu, da parlamentare, protagonista di due battaglie da antesignano: quella sul reddito di cittadinanza, oggi cavallo di battaglia dei grillini, e quello sulla preferenza unica, che invece Craxi osteggiò con quell’andate al mare del giugno 1991. Alla Camera venne poi rieletto, dopo l’elezione trionfale del 1983, quando fu secondo nel collegio di Roma dietro Craxi, e del 1987, anche nel 1992, quando a Roma venne presentata ed eletta nel Psi anche Rosa Filippini, sconfessata dai Verdi per il suo voto favorevole alla missione italiana nella guerra del Golfo.

Sul piano politico e di partito ricordo che quando si aprirono dissidi nella federazione romana si pensò proprio a lui come uomo senza macchia e senza paura. Quando si volle occupare il posto di capo dell’organizzazione del partito si puntò ancora su di lui, perché dava garanzie di serietà e di competenza. Marianetti fu anch’esso coinvolto in vicende giudiziarie senza avere alcuna responsabilità. Venne inutilmente macchiato e ne sofferse molto. Solo la verità ebbe a scagionarlo. L’avevo perso di vista negli ultimi anni. So che che per molto tempo aveva mantenuto aperto un circolo e svolgeva qualche attività. Oggi lo piango da compagno. Da amico. E voglio scrivere anch’io “Io c’ero” con te, Agostino, nella nostra casa comune, nel Psi, in quegli anni che furono di passione e di speranza. E oggi persone come te meriterebbero che se ne parlasse con serena consapevolezza. Tardi forse, ma meglio che mai.

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