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I sopravvissuti all’inferno dell’Isis

14 Agosto 2016 1.320 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Ogni momento della storia è segnato da un’immagine che ne diviene rappresentazione simbolica: la persecuzione nazista è stata rinverdita dalla foto di quel bambino che si arrendeva alzando le mani, i bombardamenti in Vietnam da quelle donne e bambini che piangevano tra le macerie provocate dalle bombe e dal napalm. Il dramma dell’emigrazione è stato interpretato da quel bimbo vestito come un nostro figlio e nipote che giaceva morto sulla spiaggia, la liberazione dei territori occupati dall’Isis da una donna che si disvela il volto mentre il figlioletto, atterrito e premuroso, glielo ricopre prima rialzando la benda e poi con le sue manine. Oggi un’altra immagine colpisce, dopo la liberazione di una cittadina siriana occupata dai barbari (in realtà bisognerebbe usare una qualifica ben peggiore perché Attila al cospetto di costoro era un crocerossino) dell’esercito islamista. E’ una foto che ritrae una donna che col volto finalmente scoperto fuma una sigaretta, in segno di sfida ai vecchi carnefici.

Questa guerra di riconquista dei territori occupati dall’Isis, che dall’Avanti a più riprese ho implorato, a costo di essere giudicato un guerrafondaio, ha finalmente svelato diverse verità. La prima è che bastava un convinto appoggio aereo alle truppe curde, e solo marginalmente siriane e irachene, per avere la meglio e sgominare il Daesh. La seconda è che negli scontri in prima linea abbiamo trovato militari inglesi, mentre gli italiani, anche loro impegnati, hanno svolto un lavoro non meno importante di supporto e preparazione militare. La terza è che in Libia l’intervento, in realtà meno complicato di quello in Siria, si è rivelato indispensabile per liberare la città di Sirte, un luogo strategico del territorio libico e l’Italia, col contrasto dei Cinque stelle e di un’estrema sinistra sempre anti occidentale anche quando dall’altra parte c’è il diavolo, ha giustamente concesso le sue basi.

Ma ci sono altre due situazioni che sono venute alla luce, anche se erano già chiare, eccome. La prima è il non risolto nodo russo-americano per quanto riguarda la soluzione della questione siriana. Putin ha le idee chiare. Per lui i nemici di Assad vanno tutti sconfitti e il rais attuale, o uno che ne prosegua la politica filo russa, deve essere appoggiato. Per gli americani è invece tutto meno chiaro. In un primo momento Obama ha appoggiato gli insorti, dove cospicua era la presenza islamista, ma senza forzare, minacciando bombardamenti perché alle prese con il presunto uso di armi chimiche da parte del regime, senza poi attuarli, in seguito si è parzialmente sfilato lasciando ai russi il compito di intervenire, anteponendo alla guerra all’Isis il conflitto russo-ucraino. Ha ragione Sergio Romano che scrive oggi sul Corriere di quanto aleatorie siano le alleanze tra i diversi gruppi militari che combattono contro Assad. Resta il fatto che il problema politico del dopoguerra, e cioè la sorte di Assad e la composizione del futuro governo, paiono tuttora incerte. E questo rischia di rallentare (anzi questo è l’elemento che ha finora rallentato) la liberazione dei territori occupati dall’Isis in Siria.

Ma la situazione orribile, simile ai racconti dei detenuti nei campi di sterminio nazista, è quella che ci deriva dalle parole dei sopravvissuti al terribile lager islamista. Abbiamo letto testimonianze che fanno rabbrividire e dovrebbero costituire atto d’accusa per i pacifisti del mondo intero. Chi veniva solo sospettato di non credere in Dio veniva immediatamente sgozzato, chi veniva sorpreso a fumare era sottoposto al taglio delle dita, le donne trovate senza burqa immediatamente incarcerate. Ancora Raqqa, capitale di questo inferno, non è stata liberata. Propendo a credere, mi pare l’avesse sostenuto qualche mese fa lo stesso Massimo D’Alema, che con l’esercito curdo appoggiato dall’aviazione americana in poche settimane si sarebbe arrivati alla sconfitta del Califfato. Ovvio che la liberazione dei territori occupati non segnerà la fine del terrorismo, ma un colpo alla sua propagandata invincibilità questo sì. Inoltre la mancanza dei proventi per la gestione dei pozzi petroliferi, unite alla necessaria pretesa di troncare, da parte dei paesi arabi canaglia, in primis Arabia Saudita, qualsiasi finanziamento, segnerebbe una vittoria forse decisiva contro l’infernale nemico. Siamo al punto? Non resta che auspicarlo.

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