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Quando i comunisti denigravano i socialisti: “Gramsci contro Prampolini”

26 Gennaio 2018 550 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Il 28 agosto del 1920 Gramsci scrive sul suo “L’Ordine nuovo” un articolo intitolato “Traditori socialisti. Le guardie bianche di Regio Emilia”. Gramsci attacca Prampolini e i suoi seguaci con un’asprezza e una rozzezza di linguaggio che non hanno precedenti, neppure nelle furenti polemiche che sul socialismo reggiano riversò il sindacalismo rivoluzionario d’inizio secolo. “La Giustizia” aveva definito “il metodo bolscevico praticamente utopistico e moralmente ripugnante”. “L’Ordine Nuovo” si chiede: “Perché i moralisti di Reggio Emilia sono rimasti nel Psi dopo il Congresso di Bologna, dopo, cioè, che la maggioranza del partito ha dichiarato di far proprio il metodo dei bolscevichi “praticamente utopistico e moralmente ripugnante”?. E continua: “Coi moralisti di Reggio Emilia è inutile continuare una discussione teorica; i moralisti di Reggio Emilia hanno sempre dimostrato di essere capaci di ragionamento quanto una vacca gravida, hanno dimostrato di partecipare della psicologia del mezzadro, del curato di campagna, del parassita di un arricchito di guerra; è inutile sperare che un barlume d’intelligenza illumini la loro decorosa idiozia di fra Galdino alla cerca delle noci per ingrassare la clientela elettorale. Si domanda a questi moralisti: “Non è moralmente ripugnante l’uomo che rimane in un partito i cui metodi sono moralmente ripugnanti? Tra Lenin, che ha sempre affermato il metodo dei bolscevichi, che ha dedicato venticinque anni per organizzare il Partito bolscevico russo, che ha sofferto l’esilio, la fame, il freddo per sostenere lealmente e apertamente le sue idee e il suo metodo, tra Lenin e Prampolini e Zibordi, che hanno dedicato la loro vita a procurare i favori dello stato borghese per le cooperative emiliane, favori che lo stato borghese concedeva strappando il pane di bocca agli ignoranti e sudici contadini di Sardegna, di Sicilia e dell’Italia meridionale, tra Lenin e gli scrittori della Giustizia che rimangono, per angusti fini personali, per mantenere una posizione politica conquistata salendo sulle spalle della classe operaia, in un partito che nella grandissima maggioranza ha dichiarato di far proprio il metodo dei bolscevichi, tra Lenin e questi decorosi sinistri idioti che è più ripugnante moralmente? A Reggio Emilia si apre lo spaccio della moralità da sacrestani ubriachi: perché questi cooperatori col sangue e le lacrime dei contadini poveri meridionali, perché questi ingrassatori di porci con la biada governativa, perché questi concorrenti della plutocrazia siderurgica nel domandare la protezione allo stato borghese, non hanno avuto il minimo di lealtà sufficiente e necessario per uscire dal partito dopo il congresso di Bologna?”. Gramsci osserva poi che nel Partito socialista francese i riformisti sono usciti quando la maggioranza ha deciso l’affiliazione alla Terza Internazionale. E si chiede: “Solo in Francia esistono riformisti leali?”. E ancora un affondo: “Se esistono a Reggio Emilia operai e contadini onesti e leali, come possono essi sopportare che un immondo libello come “La Giustizia” si fregi della qualifica di organo dei socialisti di Reggio Emilia? A tal punto di bestialità e di supina pantofoleria è stato ridotto il movimento proletario reggiano dalla predicazione evangelica?”. Le deliranti affermazioni e i giudizi quali quello su “Prampolini moralmente ripugnante” o su “La Giustizia” come “immondo libello” e quello sui socialisti reggiani come “decorosi sinistri idioti” e come, e ben peggio, “ingrassatori di porci”, non finivano qui. Il 9 febbraio del 1921 lo stesso Gramsci dedicherà a Giovanni Zibordi un articoletto dal titolo non certo edificante: “Un asino bardato”.

 

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