Perché Renzi ha ragione
Sarà perché sono sempre stato affascinato dalla virtù dei vinti, ma apprezzo la posizione di Matteo Renzi, indisponibile a un accordo coi Cinque stelle. E faccio marcia indietro. Partendo da quel maledetto referendum perso. E’ vero che la riforma costituzionale poteva essere meglio congegnata. E’ vero che Renzi non avrebbe mai dovuto eleggere un presidente della Repubblica rompendo il patto del Nazareno con Berlusconi. E’ vero che quelle concessioni al populismo sulle spese della democrazia e sull’eliminazione dei senatori, concepiti come pesi morti, sono stati segnali troppo strumentali per essere apprezzati dall’elettorato grillino e troppo populisti per essere apprezzati dagli altri. Ma la legge costituzionale prevedeva modifiche importanti e positive, come il monocameralismo sommato a una Camera delle regioni, un più corretto rapporto tra stato e regioni, l’eliminazione del Cnel, l’introduzione del referendum propositivo.
Certo avrebbe vinto Renzi e il suo Pd, ma quando molti di noi che abbiamo votato sì mettemmo in guardia gli incerti, e anche i contrari, dal pericolo di un’avanzata dei Cinque stelle non avevamo torto. Questo più volte scrissi sull’Avanti. La vittoria del no ha favorito non solo il centro-destra, ma soprattutto il movimento di Grillo e Di Maio che si é giustamente intestato la vittoria. Si é voluto abusivamente collegare la bocciatura da parte della Corte dell’Italicum, una legge sbagliata e che avrebbe dato ai Cinque stelle la maggioranza assoluta partendo dal 32 cento, con la sconfitta di Renzi al referendum, scambiando fischi per fiaschi. L’uno era un referendum costituzionale, l’altra una legge elettorale approvata dal Parlamento e poi bocciata dalla Consulta.
Resta il fatto che il condominio del centro-sinistra é crollato, una nuova sinistra del no é morta prima di nascere, il centro-destra é divenuto a trazione leghista e i grillini sono diventati di gran lunga il primo partito italiano. Un capolavoro. Le bandiere rosse che sventolavano per la vittoria dei no si sono trasformate in vessilli pentastellati e verdi. L’astensione, interpretata da Bersani come possibile serbatoio elettorale di una nuova sinistra, é divenuto un pozzo da cui attingere voti leghisti e grillini. Le posizioni responsabili di Gentiloni, con ministri apprezzati come Padoan, Minniti, Calenda, sono state travolte da uno tsumani di potenza mai vista. Il centro-sinistra, anche sommando i voto della Lorenzin e di Potere al popolo, ha raggiunto il livello più basso delle percentuali ottenute dalla sola sinistra in tutto il dopoguerra.
Non so se Renzi si risolleverà dopo la batosta, come sostiene sul Corriere Galli della Loggia, ma una posizione riformista e liberale é utile all’Italia. Può essere sbagliato inseguire il mito di Macron molto europeista a parole, molto nazionalista nei fatti. Ma é certo che la vecchia socialdemocrazia é entrata in una crisi di proporzioni pari a quella del renzismo italiano. Un trait d’union paradossalmente costringe entrambi a un nuovo percorso, che non rinneghi il vecchio. Non c’erano i soliti soloni che vaticinavano che la prevalenza del no non avrebbe bloccato le riforme costituzionali? Dove sono finiti costoro? Quando mai se ne potrà riparlare? E adesso che succederà alle riforme che avevano contribuito sul piano economico e della libertà a qualificare parte della trascorsa legislatura? Dicono che Renzi abbia imposto al Pd l’Aventino. Ma a volte meglio l’Aventino che rientrare in Aula coi fascisti, come fecero i comunisti nel 1924. Naturalmente ogni paragone tra fascisti e pentastellati é puramente… voluto.
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