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Pd? Partito diviso

8 Luglio 2018 626 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

L’unico comun denominatore del Pd é la divisione. Sono sempre divisi su tutto. Dalle dimissioni di Veltroni in poi tutti i segretari sono stati oggetto di un tiro al piccione continuo, spietato, deleterio. Franceschini ed Epifani sono stati segretari di transizione, come il povero Martina, Bersani e Renzi segretari plenipotenziari, il primo a un passo dal divenire presidente del Consiglio, il secondo presidente del Consiglio per tre anni. I due non si sopportavano, se ne sono dette di tutti i colori. Il primo se n’é andato sbattendo la porta, ma in realtà aspettando il cadavere del secondo che, dopo la sconfitta referendaria, anziché prendersi almeno un anno sabbatico, ha preferito assumersi la responsabilità di un’altra sconfitta, anzi dèbacle.

Mi sono sempre chiesto: cos’é che unisce il Pd visto che é così facile dividerlo? Non una storia, certamente, giacché quella comunista e quella democristiana nulla hanno in comune. Lodare De Gasperi senza rinnegare Togliatti é un insulto alla verità. De Gasperi cacciò i comunisti dal governo nel 1947 e i suoi successori il Pci al governo non l’hanno più voluto fino alla sua fine, nel novembre del 1989. Vedo che nelle sezioni del Pd campeggia ancora la foto di Berlinguer. Qualche volta affiancata da quella di Moro. Ma cos’hanno in comune i due? E’ vero che Moro fu lo stratega del terzo tempo, cioè di un coinvolgimento del Pci nella maggioranza, ma dopo il suo omicidio, che Berlinguer e Zaccagnini non seppero evitare, la Dc dei successori di Moro preferì le elezioni anticipate al governo col Pci e Berlinguer praticò la politica dell’alternativa e del più rozzo pansindacalismo con l’occupazione della Fiat del 1980 e la lotta al decreto di San Valentino del 1984.

D’altronde solo in Italia esiste un partito che concilia due storie (comunista e democristiana) ed é iscritto al Partito socialista europeo. Ovunque socialisti e popolari sono alternativi, anche se in talune circostanze collaborano, come in Germania. In Italia ex comunisti (quasi senza l’apporto dei socialisti) ed ex democristiani (ma senza i popolari europei che stanno in Forza Italia) sono nello stesso partito. La storia, così come la collocazione europea, è un elemento di confusione. La politica? Ma cos’hanno in comune Emiliano e Cuperlo che ritengono i Cinque stelle una costola della sinistra e Renzi che li ritiene un pericolo per la democrazia? Come possono stare insieme Renzi che, con una certa sfacciataggine, rivendica per sé i meriti delle vittorie e attribuisce agli altri, perfino al buon Gentiloni, la responsabilità delle sconfitte, che ritiene la mancata approvazione della legge Richetti o dello ius soli (incredibile a dirsi) causa del tracollo elettorale, e Orlando e Zingaretti che vogliono chiudere per sempre la fase del renzismo, riprendere il dialogo con LeU e la Cgil?

Mistero. Ma neanche troppo misterioso giacché il Pd aveva in sé i germi della sua implosione. Due storie e due politiche opposte. Tutto ha origine nelle mancate e logiche conseguenze del dopo ottantanove. Non si son voluti fare i conti con la storia e la storia ha fatto i conti con loro. Ci mancava, in un momento tanto drammatico per tutta l’area della sinistra riformista, l’elezione di un segretario a tempo. Anzi di un segretario con le dimissioni in mano. Resterà fino al congresso. Ma già da ora si presenteranno le candidature a segretario del Pd (Zingaretti, Cuperlo, forse Delrio, non si sa chi altri) e si riprenderà la giostra dei conflitti e delle contumelie, col buon Martina a reggere il moccolo. Una situazione invero deprimente. Non per evocare il nostro passato ma ci sono momenti nella storia di un partito in cui servono decisioni dolorose e immediate (il Midas durò tre giorni) che possono poi segnare il percorso futuro di un partito. Il Pd non ha questa capacità e gli inviti di Calenda di lanciare un nuovo progetto non trovano ascolto. Si preferisce restare nel bunker assediato, col fucile rivolto gli uni contro gli altri, senza capire che i barbari, contrariamente a quelli del deserto buzzatiano, stavolta sono arrivati davvero.

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