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Dalla prefazione al libro di Francesco Fantuzzi “Come loro nessuno mai”

14 Marzo 2019 1.292 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Non é contro Parma

Questo libro dell’amico Francesco Fantuzzi contiene analisi e affermazioni sulle quali riflettere. Riguardano in particolare una squadra, il Parma, che nella sua travagliata esistenza ha conosciuto tre fallimenti, ma che ha saputo regalare ai suoi tifosi successi e soddisfazioni imparagonabili con quelle di squadre di città vicine. Se tutto questo sia stato raggiunto, dal fallimento Parmalat in poi, nel più assoluto rispetto di leggi esistenti lascio ai lettori e alla responsabilità dell’autore giudicarlo. Per parte mia, che mi recavo accompagnato da mio padre al vecchio Mirabello di Reggio Emilia con due ore di anticipo quando planavano i crociati, il ricordo del derby è sempre stato quello di una bella giornata di passione e di calcio, come quella prima volta quando, nel campionato 1959-60, la Reggiana ebbe la meglio sul Parma per 3 a 1 con due gol del centravanti Pinti, che poi sarà anche nella squadra d’Oltrenza. Diversi calciatori si sfilarono una maglia per vestirne l’altra. Ne cito alcuni: Montanari Titti, Pinti appunto, Marlia, Meregalli, Boranga, Colonnelli, Borzoni, Di Chiara, mentre un grande calciatore (e allenatore) reggiano, Carlo Ancelotti, fu solo crociato, per poi approdare alla Roma di Liedholm e vincere lo scudetto del 1983 e poi diventare uno dei perni del grande Milan di Sacchi e della Nazionale. Non posso dunque essere animato da sentimenti antiparmigiani. Oltre tutto, nella mia storia politica, ho avuto modo di conoscere e apprezzare tanti amici e sostenitori nella provincia di Parma che non mi facevano mancare il loro voto.

Il mio impegno parlamentare sul calcio

Preferisco dunque accennare al mio impegno sul calcio durante la mia, abbastanza lunga, vicenda parlamentare e amministrativa, anche perché, in questo caso, generalizzare non significa sfuggire, ma piuttosto confermare una tesi. Cioè inserirla in un quadro di comportamenti, decisioni, leggi che fanno dell’Italia calcistica un unicum certo non positivo e che sommate alla recente esclusione dai Campionati del mondo ne fotografano la crisi in un misto di illegalità, inefficienze, scarsa predisposizione a costruire il futuro.

Nel 1988 sono stato relatore della legge sui mondiali di calcio del 1990, che stanziòcospicue risorse non solo per la ristrutturazione degli stadi italiani (potevano essere fatte meglio) ma anche per impianti sportivi di altre discipline e per lo sport di base. Si trattò di uno sforzo ingente che permise la costruzione di nuovi impianti a Torino e a Bari (anche a Messina) e il restauro con posti numerati e a sedere di molti altri. Purtroppo i progetti del 1990 non facevano i conti con la successiva preminenza e invadenza televisiva. Si mostrarono subito vecchi, superati, alcuni, com’e il caso di Torino, ma anche di Cagliari, vennero abbattuti e ricostruiti.

Già a partire dall’anno precedente, a seguito dell’orribile strage dell’Heysel del 1985, avevo presentato una proposta di legge per stadi con esclusivi posti a sedere e numerati, visto che la capienza degli stessi era considerata per posti in piedi e spesso accordata una supercapienza con notevoli rischi per la sicurezza degli spettatori. Solo la stupidità o la complicità dell’Uefa aveva consentito di svolgere una finale di Champions in uno stadio piccolo, vetusto, rudimentale concedendo addirittura agli hooligans inglesi di piazzarsi di fianco agli italiani con una ridicola divisoria e un muretto che divideva gli spalti dal campo di gioco. L’Heysel aprì gli occhi che in molti tenevano chiusi. Al resto pensò l’orribile carneficina dello stadio di Hillsborough, avvenuta il 15 aprile del 1989 che causò la morte di 98 persone.  Tutto questo provocò anche in Italia i successivi aggiustamenti legislativi, primo di tutti, appunto, la limitazione delle capienze con posti rigorosamente a sedere e con una gradinata da destinare ai tifosi ospiti, che presero piede, anche se con molte eccezioni, nel campionato 1990-91.

Calciopoli

In particolare ho svolto un ruolo attivo nella commissione Cultura, scuola, informazione e sport tra il 2006 e il 2008, quando il calcio fu sconvolto dalla triste vicenda di Calciopoli proprio mentre l’Italia riusciva a conquistare per la quarta volta la Coppa del mondo in Germania. Ricordo assai bene le audizioni parlamentari coi vertici del calcio e anche con quel Borrelli che dopo Mani pulite si era messo in testa di bissare con la nuova Piedi puliti. Quella Calciopoli era in realtà la seconda, sopo quella del 1980, che coinvolse diversi e autorevolissimi calciatori in uno scandaloso di scommesse e arricchimenti clandestini. Anche quella esplosa nel 2006 metteva sul banco degli imputati calciatori, dirigenti sportivi, perfino arbitri. Mentre la più titolata squadra italiana veniva retrocessa in serie B per illeciti sportivi e le venivano sottratti due titoli, quelli del 2005 e del 2006, mentre alcuni dirigenti calcistici e anche federali venivano indagati e radiati (ma solo transitoriamente) a dimostrazione che il governo dello sport è il più conservatore, alternando sempre le stesse persone (Malagò è una piacevole eccezione), si poneva una nuova drammatica questione relativa alla sicurezza a seguito dell’omicidio dell’ispettore Raciti durante il derby Catania-Palermo, al di fuori dello stadio Cibali di Catania. Da ricordare che tutti gli incidenti mortali dal 1979 ad oggi si sono verificati fuori dagli stadi.

Le mia legge sugli stadi di proprietà

Da uno studio sull’argomento pubblicato dal Corriere online dopo il tragico incidente che ha coinvolto il tifoso napoletano Ciro Esposito a Roma, il 3 maggio 2014, risulta che tutti gli eventi mortali sono avvenuti in altri luoghi, non sufficientemente protetti. Sono ben diciotto, in 25 anni, gli eventi luttuosi, a cui dobbiamo aggiungere come diciannovesimo, l’ultras varesino coinvolto nella rissa tra tifosi interisti e napoletani il 27 dicembre del 2018. Come risposta a tutto questo sono state varate, invece che misure per colpire singoli o organizzazioni  ultras, come è avvenuto in Inghilterra, normative relative alla presenza degli spettatori all’evento calcistico all’interno degli impianti, dove, dal 1979, non si verificano incidenti mortali. Una contraddizione evidente e un’evidente anomalia dell’Italia rispetto al comportamento degli altri paesi europei. Distinguiamo. Che l’Italia abbia bisogno di nuovi stadi nell’epoca della pay per view l’ho compreso per primo o quasi presentendo nel 2007 la prima legge sugli stadi di proprietà da costruire in centri multifunzionali che unissero l’impianto sportivo ad altre attività capaci di renderlo remunerativo per le società e di esimere da qualsiasi oneri i comuni, che devono essere impegnati a finanziare lo sport di base. La mia proposta di legge, che includeva anche i palazzi dello sport, venne poi copiata ed approvata con pochissime modifiche nella legislazione successiva quando non ero più parlamentare.

I decreti sulla sicurezza

Tutte le normative introdotte  sull’argomento dai due decreti Pisanu del 2000 alla Legge Amato del 2007 al decreto Maroni, fino alla legge sugli stadi approvata ad inizio legislatura 2008-2013 si basano su due ragioni di fondo: combattere la violenza e agevolare la costruzione di impianti privati.Riepilogo le novità introdotte dal 2007. Si è prevista una speciale legislazione, riferita ai reati da stadio, speciale come nella lotta alla mafia. Se un signore col porto d’armi passeggia per strada non compie un reato, se  entra in uno stadio sì, anche con un coltello, con un corpo contundente. Si sono introdotti i biglietti numerati nominativi in ogni ordine di posti. Con tornelli posti agli ingressi e prefiltraggi esterni. Sono state rese obbligatorie le riprese televisive a circuito chiuso e sono stati introdotti gli steward per vigilare sul pubblico. Sono stati introdotti con decreti appositi nuovi criteri per la definizione della capienza degli impianti, considerati non solo tutti a sedere e numerati, ma anche in rapporto con la dimensione degli ingressi e con le aree esterne di protezione. Col decreto Maroni è stata istituita la tessera del tifoso, obbligatoria (oggi in via di superamento) per sottoscrivere gli abbonamenti e per seguire la squadra in trasferta. Con l’approvazione della legge per la costruzione dei nuovi impianti, si è velocizzata la pratica per arrivare alla decisione amministrativa, considerando il progetto come variante al piano nel rispetto delle normative ambientali, limitando però l’intervento contiguo al commercio e alla ricreazione.

L’anomalia italiana

I primi cinque punti hanno accompagnato e appesantito la presenza allo spettacolo sportivo dopo l’introduzione della televisione a pagamento. Il rapporto tra la presenza della televisione in diretta per tutte le gare e la possibilità di scegliere lo stadio si è così resa ancora più aleatoria a vantaggio dello spettacolo televisivo. Dei due modelli sperimentati con successo in Europa (quello inglese, che limita la presenza delle televisioni, e quello tedesco, che abbatte i costi degli accessi agli stadi) in Italia non si è fatta alcuna scelta. Anzi si aperto a un televisione sempre più invasiva senza ritoccare i prezzi dei biglietti. Botte piena e moglie ubriaca….

Occorre ribaltare la repressione: da generale a selettiva

Il modello inglese di sicurezza si basa sulla repressione individuale, quello italiano sulla repressione collettiva. Se in Inghilterra un tifoso getta un sasso in campo viene individuato e subito incarcerato, mai più potrà entrare in uno stadio. In Italia invece si squalificano interi settori dello stadio e si innalzano più alte cancellate per tutti. In Inghilterra, ma ormai anche in Germania e in Spagna, non esistono barriere tra il campo e gli spettatori, in Italia esistono barriere enormi e a volte addirittura vere e proprie gabbie. Tutto il nostro sistema di sicurezza va rivisto. Anzi ribaltato. In Italia, da quando ci sono le nuove norme, gli ultras sono potuti entrare allo stadio senza mai rispettare la numerazione dei posti (a che servono i biglietti numerati e nominativi, allora), le persone normali no, perché hanno rifiutato il sistema burocratico di accesso (per fare un biglietto nominale ci si impiega cinque minuti e bisogna farlo in prevendita se no si rischia di entrare a fine primo tempo, un abbonato non può cedere il suo abbonamento ad altri se non dopo complicate e preventive peripezie burocratiche) e hanno preferito il salotto e le televisioni.

La nuova legge per gli stadi per ora ha fatto flop

Nonostante le nuove normative in materia di costruzione di nuovi stadi e palazzi dello sport (in Italia solo calcio e basket sono considerati sport professionistici di gruppo) noi abbiamo solo tre impianti privati, Reggio Emilia, Juventus e Udinese, mentre quello di Frosinone e l’ampio restauro di quello di Ferrara sono stati resi possibili da una collaborazione tra società sportive e comuni. Progetti di nuovi impianti esistono anche a Roma, Cagliari e Firenze, mentre a Bergamo e a Bologna si preferisce presentare progetti per ristrutturare quelli esistenti. C’ è un minino comun denominatore. E cioè tutti i nuovi impianti e i progetti di nuovi impianti, compresa la ristrutturazione di quelli esistenti, registrano una capienza nettamente inferiore ai vecchi. Questa è una singolare eccezione dell’Italia che ha dimezzato la presenza del pubblico negli stadi (da 42mila negli anni ottanta agli attuali 22-24mila circa) contrariamente a Inghilterra (38mila) e Germania (44mila) che lo hanno aumentato. Anche la Spagna (28mila) ci è davanti e pure il Messico (27mila). Ci stanno raggiungendo la Francia, l’India, la Cina e perfino gli Usa, tutti quasi a 22 mila. Le cause? I prezzi dei biglietti non sono oggi competitivi con quelli televisivi. In Inghilterra ci sono prezzi anche più alti, ma nel momento dello svolgimento delle gare la televisione trasmette solo una partita a pagamento. In Germania ci sono tutte le partite in televisione come in Italia, ma i prezzi dei biglietti sono inferiori. Poi c’è un problema di mancanza di strutture adeguate. Molti stadi italiani sono scoperti, alcuni hanno piste di atletica leggera e la visuale non è paragonabile a quella che si può godere dalle riprese televisive. Manca in Italia, contrariamente alla Germania, un settore tutto destinato alle famiglie. Manca nella curve la sicurezza necessaria (in Italia siamo forti coi deboli e deboli coi forti) per l’assenza degli steward che in curva non vanno perché hanno paura. E poi solo in Italia esistono i biglietti nominativi e le tessere del tifoso (queste ultime limitano le presenze degli ospiti). Esiste in Italia, a causa della nominatività degli abbonamenti, anche il fenomeno di numerosi posti lasciati liberi dagli abbonati, come soprattutto lo stadio della Juventus dimostra.

Le proposte che si potrebbero avanzare

Eliminare i biglietti nominativi (si potrebbe iniziare mantenendoli solo per le curve). A cosa servono? A nulla visto che i pericoli vengono solo dalle curve e nessuno in curva sta al suo posto. Ma anche se questo avvenisse la televisione a circuito chiuso dà la possibilità, utilizzando peraltro anche i tornelli, di identificare le persone. Questo permetterebbe una velocizzazione della vendita dei biglietti, che potrebbero essere fatti anche con bancomat, e l’assurda tessera del tifoso. Chiunque può farla. Paradossalmente anche il terrorista che tentava di entrare nello stadio di Parigi poteva avere una tessera del tifoso e un biglietto nominativo. Quel che conta sono i controlli e le perquisizioni agli ingressi e questi sì devono essere meticolosi e mirati. E sono stati questi che hanno impedito ai terroristi di entrare allo stadio e non i biglietti nominativi e le tessere del tifoso che in Francia non esistono. Oltretutto per le partite a rischio l’Osservatorio del Ministero degli Interni decide di impedire le trasferte anche a coloro che sono in possesso delle tessere del tifoso. Dunque?

Stabilire le curve devono essere obbligatoriamente presidiate dagli steward e che la numerazione dei posti deve essere rispettata. Senza eccezione alcuna. E che in caso di cori razzisti e di altro che turbi il buon andamento delle gare si proceda solo alla individuazione delle responsabilità individuali o di gruppo e non attraverso assurdi provvedimenti di chiusura di interi settori dello stadio, che vedono puniti anche gli innocenti.

Dotare tutti gli impianti di un settore che non può essere inferiore al 20% della capienza per le famiglie con prezzi stracciati (5 euro) per i genitori e 1 euro per i figli.

 

Stabilire un prezzo massimo per i posti più popolari che non può essere superiore a 10 euro (le curve). Tenendo presente che le società incassano un sacco di soldi dai diritti televisivi non possono pensare di lucrare anche dal prezzo degli biglietti negli stadi, peraltro desolatamente vuoti anche per questo.

 

Abbattere tutte le barriere tra campo e spettatori, come avviene da sempre in Inghilterra e ormai anche in Germania e in Spagna. Vietare tassativamente le gabbie che sono per gli animali e non per gli uomini.

 

Iniziare sperimentazioni per socializzare le diverse frange di tifosi puntando sulla responsabilità. Magari introducendo il cosiddetto terzo tempo come nel rugby.

 

Premiare le società che hanno giocatori italiani, soprattutto se provenienti dai vivai. Questo è un punto fondamentale per rilanciare il calcio italiano sempre più esterofilo, con gravi danni per i successi della nostra nazionale.

 

Iniziare nelle scuole l’educazione alla solidarietà sportiva e all’etica dello sport, con lezioni almeno settimanali.

 

Stabilire l’educazione fisica come materia obbligatoria già dalle elementi.

 

Ho scritto tutto questo perché se l’amico Francesco Fantuzzi ha analizzato un caso particolare, sul quale prendo atto dei suoi appunti, ho preferito, per quanto mi riguarda, sviluppare un ragionamento sulla situazione anomala del calcio a livello nazionale, dove a elementi di corruzione e di autoconservazione del mondo sportivo si sommano una deprimente anomalia legislativa e una scarsa predisposizione allo sviluppo delle infrastrutture. Il caso particolare è in fondo anche il caso generale. Per questo non credo di essere andato fuori tema.

 

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