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130 anni per l’equità e la libertà

17 Agosto 2022 324 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo
Il giorno di Ferragosto del 1892, presso la sala dei carabinieri di Genova, in un congresso svolto prevalentemente all’aperto e dopo aver lasciato la Sala Sivori, occupata dagli anarchici e dagli operaisti, nacque il Partito dei lavoratori. Fu per merito di Anna Kuliscioff e del suo compagno Filippo Turati se il partito allora sorse.

Turati non aveva infatti accettato l’invito di Antonio Labriola a soprassedere. Il filosofo marxista riteneva infatti la classe operaia italiana immatura al contrario di quella tedesca che il suo partito se l’era già dato. La qualifica di socialista venne assunta l’anno dopo, nel settembre del 1893, al congresso di Reggio Emilia, che era gia divenuta, grazie alla predicazione riformista ed evangelica di Camillo Prampolini, un’oasi socialista, con un ricco tessuto di cooperative, di leghe, di associazioni che la caratterizzavano. In quel congresso aderirono al partito anche i socialisti romagnoli capeggiati da Andrea Costa (a Genova si era verificato, succedeva anche allora, un problema di conflitto con Turati sulla leadership del partito) e l’avvocato Enrico Ferri, il mantovano che aveva difeso i braccianti dopo le epiche lotte de “la boie”. Il nome definitivo di Psi il partito lo assunse nel congresso del 1995 che si svolse a Parma. Fu un congresso semi clandestino, celebrato durante la repressione crispina. Coi primi anni del nuovo secolo, e dopo i nefasti e sanguinosi episodi di Milano del 1898 (che costarono la galera a Turati e alla sua compagna) e le leggi liberticide del governo Pelloux (Prampolini fu uno di quei deputati che scaraventarono a terra le urne alla Camera e per questo, scaduto il mandato e indette nuove elezioni, venne arrestato) iniziò l’epoca giolittiana e coi governi Zanardelli e dei suoi successori il Psi iniziò una collaborazione che portò alcuni inestimabili vantaggi ai lavoratori: la diminuzione dell’orario di lavoro, l’impedimento al lavoro per i bambini, la scuola elementare pubblica e comunale, la statizzazione delle ferrovie. Ma insorsero, come spesso é accaduto, i fautori del “tanto peggio tanto meglio”: i sindacalisti rivoluzionari. Costoro erano capeggiati da un altro Labriola, non Antonio, ma Arturo, un professore napoletano imbevuto del mito di Sorel. Volevano un’insurrezione armata da partorire attraverso l’indizione dello sciopero generale. Lo sciopero si tenne, tra le perplessità di Turati, nel 1904, ma la rivoluzione non ci fu. Costoro conquistaroni anche la maggioranza del partito, grazie al centro di Ferri e Morgagni, coi quali si allearono nel 1904, ma nel 1906 furono cacciati all’opposizione perché il centro, capovolgendo la precedente scelta, si alleò coi riformisti. La guerra di Libia del 1911 determinò la crisi del riformismo. Il Psi, con l’appoggio anche di Turati, Treves e Prampolini, ritirò la fiducia al governo Giolitti mentre la parte più moderata del Psi, capitanata da Leonida Bissolati, non concordò e venne espulsa a seguito dell’approvazione di un odg presentato da un giovane di Predappio, Benito Mussolini, anche a seguito di una visita al re, scampato a un attentato. Bissolati, Bonomi e Cabrini fondarono allora il Psri. Poi Mussolini, a seguito dell’esplosione del primo conflitto bellico, si trasformò da rivoluzionario in patriota e nel 1914 venne espulso anche lui. I socialisti furono prevalentemente non interventisti, ma diversi di loro partirono volontari. Tra questi lo stesso Bissolati, Salvemini, il repubblicano e futuro leader socialista Pietro Nenni, Sandro Pertini e in una prima fase fu interventista anche Gramsci. Il dopoguerra fu segnato da lutti, dolori, tensioni e illusioni. Queste ultime contrassegnate dalla rivoluzione dell’ottobre del 1917 in Russia. La maggioranza del Psi sposò la linea rivoluzionaria mettendo all’angolo i riformisti. Ma a Mosca non bastava. Pretendeva la loro espulsione che la maggioranza del Psi non era disponibile ad accordare. Così nel 1921 si verificò la scissione comunista e la conseguente nascita del Pcdi. Intanto Turati e i suoi, consapevoli del pericolo fascista, si dichiararono disponibili ad appoggiare un governo democratico e per questo vennero espulsi dal leader del Psi Giacinto Menotti Serrati (che poi aderirà al partito comunista) e fondarono il Psu con Giacomo Matteotti segretario. Questo avvenne al congresso di Roma dei primi giorni di ottobre del 1922. Poche settimane prima della folcloristica marcia che partorì il primo governo Mussolini. Così un partito diviso in due, tra socialisti e comunisti, si ritrovò addirittura diviso in tre. I due tronconi socialisti si riunificarono nell’esilio parigino nel 1930, grazie al nuovo leader del Psi Pietro Nenni e a Filippo Turati, scortato dal più giovane Giuseppe Saragat. Ma si divise di nuovo nel gennaio del 1947 a causa della perdurante sottomissione di Nenni, Morandi e Basso al Pci. Nacque il Psli, poi trasformato in Psdi nel 1951 in occasione dell’unificazione del Psli con un piccolo partito fondato da Giuseppe Romita: il Psu. La politica di autonomia socialista iniziò a seguito del XX congresso del Pcus che denunciò i crimini di Stalin e soprattutto dell’autunno ungherese. I socialisti furono dalla parte degli insorti, i comunisti dalla parte dei carriarmati. Nenni e Saragat si incontrarono a Pralognan nell’agosto del 1956 e programmarono una nuova unificazione, frenata dalla componente filo comunista del Psi. Costoro se ne andarono dal partito, fondando il Psiup, nel gennaio del 1964 in occasione del voto di fiducia al primo governo di centro-sinistra organico. Gli anni del centro-sinistra regalarono all’Italia le più innovative riforme: la programmazione economica, la scuola media unificata, la nazionalizzazione dell’energia elettrica, la riforma urbanistica, la riforma ospedaliera, la riforma agraria, l’istituzione delle Regioni, lo statuto dei lavoratori e altro ancora. L’unificazione socialista venne celebrata a Roma nel 1966 con Saragat alla presidenza della Repubblica e Nenni alla presidenza del partito. Ma i deludenti risultati delle elezioni del 1968 provocarono nuove tensioni interne ancora sul rapporto coi comunisti e il partito, nel luglio del 1969, si divise ancora in due. Gli anni settanta furono ancora anni di trasformazioni e di riforme condotte dai socialisti. Grazie a Loris Fortuna l’Italia si dotò di innovazioni importanti in tema di diritti civili, quali furono  la legge sul divorzio e quella sull’aborto, entrambe approvate dopo due referendum abrogativi pretesi dalla Dc. Poi gli anni più recenti. Quelli di De Martino, Mancini e Craxi. Gli anni della presidenza della Repubblica di Sandro Pertini e della presidenza del Consiglio di Bettino Craxi. Gli anni della riscoperta del riformismo (Palermo 1981) e della conquista del risultato migliore dal 1946, quello del giugno 1987: il 14,3%. Poi gli anni di stagnazione fino alla caduta del comunismo e alla rivoluzione giudiziaria. Gli anni che portarono alla fine di un intero sistema politico. Gli anni delle menzogne e dell’ipocrisia e la nascita di un sistema anomalo e post identitario. Gli anni della disaffezione alla politica. Ci resta la storia e per noi una storia nel segno dell’equità e della libertà per l’Italia. La celebriamo orgogliosi, nel complesso, dei nostri 130 anni.

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