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Bonaccini battuto dalla sua vice

28 Febbraio 2023 188 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Elly Schlein non la conosceva quasi nessuno fino a quando decise di iscriversi direttamente alla segreteria del partito. Esattamente come si diceva una volta, e cioè che quel tale si era iscritto alla Direzione, perchè faceva parte di quell’organo di partito senza aver fatto gavetta, a maggior ragione la Schlein assurge alla guida di un partito provenendo da un altro partito, Volt, del quale nessuno conosce il significato delle lettere che compongono la sigla. Ma un conto era la Direzione, e poi quella era solo una battuta perchè nei partiti seri si entrava in Direzione con anni di tessera alle spalle, è ben altro conto è l’iscrizione della Schlein alla corsa alla segreteria del Pd, senza averne fatto parte (ne era uscita ai tempi di Renzi per la sua opposizione al Jobs act), se non per presentarsi, appunto, alle primarie. Mai prima d’ora si era verificato che un candidato vincesse tra gli iscritti e un altro tra gli esterni. Contraddizione non di poco conto perchè gli iscritti a tale partito avrebbero preferito che alla sua guida fosse stato eletto Stefano Bonaccini e non la sua vice nella regione Emilia Romagna.  E dunque suppongo che costoro mal tollereranno che ai non iscritti sia stata affidata la scelta del segretario del loro partito. Cosa che non succede neanche tra gli aderenti a una bocciofila. La Schlein, che ha anche antecedenze socialiste (suo nonno era Agostino Viviani, senatore socialista di Milano) rappresenta l’ala movimentista e più radicale del partito. Cosa che ha già messo in ambasce l’ala cattolica e riformista. Non certo uno che la sa lunga coome Franceschini che della Schlein è stato il primo sponsor. E neanche Delrio, ex renziano di ferro, che si è già pronunciato a favore dell’unità interna. Ma l’area che fa capo a Umberto Guerini è in fermento. Lo stesso Pierluigi Castagnetti, ultimo segretario del Pp, aveva gia messo la mani avanti convocando una riunione degli ex popolari del Pd. Una cosa pare chiara. L’elezione della Schlein era in certo senso prevedibile e in perfetta assonanza con tutte le scelte post politiche degli italiani. Da Berlusconi, a Renzi, a Grillo e per finire alla Meloni. Non si cerca la coerenza del messaggio politico ma la rottura con essa, non si premiano le promesse mantenute ma quelle da mantenere, in Italia da trent’anni trionfa l’opposizione, e un disequilibrio stabile governa un sistema politico anomalo in Europa e in Italia fondato sulle schizofrenica ricerca della vittoria elettorale a tutti i costi, non si apprezza l’esperienza e neanche la qualità politica, ma la novità. Chi c’è di più nuovo della Schlein, donna, non iscritta, che veste casual, che sposta il partito oltre l’orizzonte del socialismo europeo, in una galassia a metà tra Corbyn e il radicalismo di Podemos? Chi c’è di più adatta a fronteggiare la Meloni? Un’altra donna che sia il contrario della Meloni, disinibita, libera sessualmente, un po’ radical chic. Questo cambiamento imposto al Pd dagli esterni agli interni, determinerà più di un problema all’interno e all’esterno del partito. All’interno alla Schlein si porrà subito il tema del peso del rapporto con i capi corrente che l’hanno appoggiata, Franceschini e Orlando, e, di contro, quello di una difficile convivenza coi riformisti e i cattolici, all’esterno si avvertiranno le conseguenze di un abbraccio esclusivo coi Cinque stelle e della proclamata esclusione di un rapporto col Terzo Polo.  Al nostro piccolo Psi, che aveva scommesso sulla vittoria di Bonaccini, il compito di cambiare strategia. A  meno di non cantare, parafrasando la romanza del duca di Mantova del Rigoletto: “Bonaccini e Schlein per me pari sono”.

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