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Don Giovanni fra buffo e tragico

2 Marzo 2023 642 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Un Don Giovanni di Mozart con scene e regia dell’opera prodotta dal San Carlo di Napoli e con un cast e un’orchestra, la Toscanini, all’altezza é andata in scena venerdì e domenica scorsi al teatro Municipale Valli di Reggio Emilia, riscuotendo un generale apprezzamento dal numeroso pubblico (il teatro ha registrato due esauriti, finalmente). Don Giovanni é la seconda della trilogia d’opere scritta da Da Ponte, la prima essendo le Nozze di figaro (e non poteva che essere così dal momento che Mozart ne riprende il celebre motivetto nel terzo atto durante la cena di Don Giovanni) e l’ultima il Cosi fan tutte. Nelle altre due, scritte in italiano, prevalente é l’aspetto comico a cui anche il drammatico deve spesso piegarsi (pensiamo alla gelosia dei tre fidanzati che si fingono marinai nel Cosi fan tutte, e che alla fine si consolano riconoscendo che il comportamento delle rispettive donne sarebbe comune a tutte), In Don Giovanni il comico invece sfocia nel drammatico e il finale moralistico in vera e propria ipocrisia. Questa appare chiaramente nella fuga finale “Questo é il fin di chi fa mal”, che paradossalmente riabilita la coerenza di don Giovanni e non il sestetto dei finti innocenti (donna Elvira che pur minacciandolo di morte é ancora inamorata di Don Giovanni, donna Anna, sorpresa dal padre in camera con lui che per tutta l’opera intende vendicarsi del padre ucciso a duello ma in realtà anche di Don Giovanni che l’aveva sedotta e abbandonata, Don Ottavio che si professa “amico e padre” di donna Anna ma in realtà freme di gelosia per Don Giovanni, Zerlina che il giorno del suo matrimonio con Masetto fugge con il malefico seduttore, Masetto che perdona per finta Zerlina, ma in cuor suo non la perdona affatto. E che dire di Leporello, servo fedele del cavaliere e poi pentito e contrito e pronto a trovar altro padrone. Ma chi era Don Giovanni?Forse un po’ lo stesso Lorenzo Da Ponte, poeta, professore e librettista veneto. Ordinato sacerdote il 27 marzo 1773, nell’autunno successivo lasciò Portogruaro e si trasferì a Venezia. Qui si mantenne impartendo lezioni di letteratura (latina, italiana e francese). Pur essendo prete si unì a un’amante da cui ebbe due figli. Nel 1779 fu sottoposto a un processo dove venne accusato di “pubblico concubinaggio” e “sequestro di una donna rispettabile”; venne anche accusato di aver vissuto in un bordello, dove avrebbe anche organizzato i trattenimenti. Considerato colpevole, nel 1779 venne bandito per quindici anni dalla Repubblica di Venezia. Trasferitosi a Vienne, grazie a Salieri, scrisse diversi libretti d’opera tra i quali i già citati musicati da Mozart. Pare che soprattutto per Don Giovanni vi abbia collaborato anche Giscomo Casanova, amico di Da Ponte e a modo suo anche lui ispiratore del personaggio, che in fondo era la vera sintesi tra quest’ultimo, il fedifrago Da Ponte e lo stesso Mozart. Musicalmente il Don Giovanni, la prima rappresentazione del quale venne data a Parigi nel 1787, due anni prima dell’esplosione rivoluzionaria, suscitando un tiepido successo, é l’opera che più di ogni altra rappresenta la congiunzione tra settecento e romanticismo. Il genio di Mozart si spinge musicalmente molto avanti con le sue arie e le sue trovate musicali (la morte del commendatore commentata da un’aria sacra) e anticipa le invenzioni e gli abbellimenti rossiniani in cui un avvenimento buffo verrà eseguito per mezzo di arie tragiche e viceversa. Mozart muore nel 1791, a soli 35 anni. E Rossini nasce l’anno dopo. Ma il Don Giovanni si intaglia di tinte buffo-tragiche che raramente il teatro d’opera dell’Ottocento saprà eguagliare. Quello andato in scena a Reggio aveva solo due limiti. La costruzione di una gradinata in legno in stile tribuna da calcio inglese di fine Ottocento, che il regista Mario Martone racconta gli sia apparsa in sogno, blocca un po’ troppo quella velocità (in fondo il Don Giovanni é un incessante e continuo inseguimento) che per svilupparsi appieno abbisogna anche della platea. Leporello, in attesa dell’inizio dell’opera, se ne stava in piedi mischiato al pubblico ad uno degli ingressi. E veniva voglia amichevolmente di chiedergli “In Ialia 640? Anche a Reggio qualcuna?”. Il secondo limite (ma può essere anche una felice contraddizione) è rappresentata dalla vocalità di Carmela Remigio, La sua Donna Elvira non esprime quella potenza derivante da una rabbiosa gelosia soprattutto nella romanza d’ingresso “Ah chi mi dice mai quel barbaro dov’e”. Ma forse privilegiarne la passione e l’amore autentici per Don Giovanni attraverso una vocalità squisitamente lirica orienta meglio la comprensione del personaggio, l’unico che fino al termine non si rassegna a perdere Don Giovanni. Bene tutti gli altri, da Vito Priante, un protagonista vocalmente robusto e accettabile, anche se non entusiasmante sul piano dell’irresistibile inclinazione demoniaca, Mariangela Sicilia (Anna), dalla vocalità chiara e luminosa, il don Ottavio di Leonardo Cortellazzi che intona a mezze voci e tessiture perfette un “Dalla sua pace la mia dipende”., che qui risulta anticipato di ben otto scene (chissà se per licenza o per rispetto di precedenti esecuzioni), Giacomo Prestia (Il Commendatore), forse leggermente sfuocato, ma assolutamente credibile, Biagio Pizzuti (Leporello), forse un po’ troppo esuberante solo nella famosa aria “Madamina, il catalogo é questo”, Fabio Previati (Masetto), innocente e credulone quanto basta ed Enkeleda Kamani, nella parte di Zerlina, la migliore di tutte e se Don Giovanni ne ha combinate di ogni per poterla avere la ragione c’era. Sia riuscito a sedurla dietro la tenda (la scena segreta si svolge in un palco di proscenio) non importa. La Kamani valeva la pena ascoltarla e anche osservarla nelle mosse di finta ingenua.

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