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Chi ha il diritto di parlare di Matteotti?

29 Dicembre 2023 195 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Direi che il diritto di ricordare un martire della democrazia e della trasparenza sia di tutti. Di tutti coloro che democratici sono sempre stati e anche di coloro che lo sono diventati riconoscendo gli errori delle passate dittature di stampo fascista e comunista. Altra cosa é ricordare Matteotti per quello che é stato. Richiamando le sue scelte politiche e il suo coraggioso, anzi, temerario antifascismo militante. Matteotti, eletto nel collegio di Lendinara nel 1919, laddove era stato eletto Giuseppe Soglia, grande direttore didattico delle scuole di Reggio Emilia, era un socialista riformista, ma molto radicale nel contestare la discesa in campo dell’Italia nella guerra del 1915-18. Poi fu altrettanto radicale nel contestare il nascente fascismo, pagando di persona con botte e sevizie la sua campagna contro la violenza nera, poi riassunta in un libro sulle gesta dei fascisti in Italia pubblicato nel 1921, con particolare riferimento alle tensioni scatenate dalle squadre fasciste in occasione delle elezioni di quell’anno. Venne ammazzato da una squadraccia fascista capitanata dal famoso Amedeo Dumini dopo un discorso parlamentare in cui denunciò le violenze (ad esempio il brutale assassinio del candidato del Psi Antonio Piccinini nella mia Reggio Emilia) e i brogli fascisti nella campagna elettorale del 1924, ma più probabilmente per avere attinto notizie pericolose per il governo e la stessa corona a proposito dell’aggiudicazione degli scavi petroliferi in Italia da parte società Sinclair. Nell’ottobre del 1922, a pochi giorni dalla marcia su Roma, Matteotti, assieme a Turati, Treves, D’Aragona, Modigliani, venne espulso dal Psi serratiano perché favorevole a un governo coi popolari e i liberali democratici che sbarrasse la strada al fascismo. Per le sue scelte politiche venne brutalmente definito da Gramsci “il pellegrino del nulla”. Serrati, poi, convocherà un congresso di scioglimento del Psi e di adesione al Pdci e all’Internazionale e la sigla fu salvata dall’ex repubblicano Pietro Nenni che lo mise in minoranza, spingendo Serrati assieme ai suoi pochi internazionalisti ad aderire al Pdci senza il Psi.Matteotti credeva ancora all’unità socialista tra Psi e il suo Psu ma non ad un’alleanza coi comunisti. Celebre il suo slogan “I socialisti coi socialisti, i comunisti coi comunisti”. Nel 1930 i due partiti si riunificarono a Parigi (Turati morì due anni dopo), ma non si placarono in casa socialista le polemiche. Il nuovo Psi, che perse l’Avanti attribuito al gruppo di Angelica Balabanoff, una filo bolscevica che poi nel 1947 sceglierà Saragat, prese le distanze dal patto Ribbentrop-Molotov del 1939, che di fatto aprì, con la spartizione della Polonia tra Hitler e Stalin, il capitolo della seconda guerra mondiale. In Francia i comunisti, perché alleati ai nazisti, vennero messi fuori legge. Nenni che nel 1934 aveva esultato al patto d’unità d’azione col Pci fu lî lî dall’essere espulso dal Psi. Alla guida del Psi c’erano uomini come Silone, Tasca, Morgari, decisamente autonomisti. Poi nel dopoguerra, quando il Psi si divise ancora e Saragat fu protagonista della nascita del Psli, poi Psdi, i figli di Matteotti, Matteo e Giancarlo, oltre a tutto il vecchio ceppo turatiano ancora vivente, aderirono al nuovo partito. Matteo Matteotti nel divenne segretario quando si formò, nel 1955, il governo Scelba-Saragat che le sinistre definirono sprezzantemente il governo SS. Poi Matteo, dopo il congresso del Psi di Venezia del 1957, quello della riconquistata autonomia dopo il XX congresso del Pcus che denunciava i crimini di Stalin e l’aggressione dell’Ungheria, rientrò nel Psi. Seguì ancora Saragat e il Psdi dopo la scissione del 1969. E’ vero che l’eredità familiare non sempre coincide con quella politica. Ma se tutti gli uomini che stavano nel Psu di Matteottt, compreso il figlio di Treves e la figlia di Prampolini, Pierina, quelli ancora viventi, a partire da Modigliani e D’Aragona, aderirono al Psli-Psdi io sono per riconoscere innanzitutto a questo filone politico a cui si uni quello nenniano e autonomista del dopo il 1956 il diritto precipuo di intestarsi Matteotti non solo come martire democratico ma come martire politico. Poi vengono tutti gli altri, i massimalisti, i frontisti, i fusionisti, i comunisti più o meno ravveduti. I quali, poi, solo recentemente lo possono ricordare con coerenza come martire democratico. In quest’anno, in cui si ricorda il centenario del martirio di Giacomo Matteotti staremo molto attenti, facendo riferimento al bel libro di Riccardo Nencini, che la storia sia raccontata bene, senza omissioni e contraffazioni.

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