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Paolo Babbini, un riformista mite

29 Maggio 2024 151 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

E’ stato presentato a Bologna il libro, curato da Mauro Gori, dal titolo “Paolo Babbini, La politica come governo della convivenza”. Il libro mette in risalto una storia socialista che inizia dalla fine. E cioè dall’abbandono della politica attiva da parte di Paolo Babbini dopo l”ultima sua battaglia: quella di impedire al congresso del 1994 lo scioglimento del Psi e la nascita del Si. E si sviluppa poi con gli interventi e le posizioni assunte da Babbini in quasi un quarantennio di militanza socialista. Ho vissuto con passione gli anni di Paolo Babbini, dagli organi regionali e nazionali del Psi e dalla Camera dei deputati dove fummo insieme dal 1987 al 1994. Paolo era come me un socialista riformista e lottò per far prevalere questa cultura in una regione ancora attatta dai miti rivoluzionari paradossalmente conciliati con una dose di conservatorismo e di opportunismo. Fummo cavalieri in parte inascoltati di un messaggio riformista, ma tuttavia in grado di risollevare il Psi dalla subalternità e dalla rassegnazione. Questo sopratutto per merito del nuovo corso socialista inaugurato dalla segreteria Craxi nel 1976. Vivemmo insieme i fasti di quel periodo, il risultato elettorale del 1987, con Paolo alla guida regionale del partito e rieletto deputato (salimmo in quell’occasione da 4 a 6 deputati e da 2 a 3 senatori), l’acquisizione della presidenza della regione con Enrico Boselli nel 1990, mentre Babbini e Covatta furono sottosegretari, Fabbri capo gruppo.dei senatori e poi ministro, Ferrarini per un periodo anche lui sottosegretario, Piro presidente della Commissione Finanze, io e Boselli membri della Direzione. Poi l’arretramento del Psi in tutto il Nord dovuto alla massicia avanzata della Lega nel 1992, frutto anche di errori politici e sottovalutazioni nei comportamenti individuali, assieme a una rivoluzione giudiziaria strabica. Paolo mi confessò che quella fine era stata un insieme di omicidio e di suicidio, ma non si rassegnò e fino all’ultimo volle combattere una battaglia politica dopo la persecuzione giudiziaria del 1992-1994 in funzione di una storia e di un’identità. Poi si ritirò in silenzio. Senza sbattere la porta. Senza far chiasso. Così come aveva vissuto fino ad allora. Perché Paolo era un uomo mite. Non penso di averlo mai sentito urlare nelle mille riunioni a cui insieme abbiamo partecipato. Sapeva solo ragionare e magari dissentire. Ma a bassa voce. Voglio ricordarlo così come un leader del riformismo socialista che ha fatto della sua coerenza e della sua mitezza l’impasto della bardatura della sua lotta politica. E ringraziare Mauro Gori per averci ricordato la storia di quest’uomo politico. Un uomo perbene, colto, intelligente. Un bolognese che sapeva ad un tempo ridere e soffrire. E soprattutto, come cantava Gaber, “lasciare lì qualcosa e andare via”.

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