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Intervento in Aula sulla famiglia

Verso l’argomento del riconoscimento giuridico delle cosiddette coppie di fatto si osserva, da parte di qualcuno, che si tratta di questione marginale. Di minutaglia, non di problemi fondamentali per la società italiana. Dunque non si comprende perché il Parlamento debba occuparsene. Dalla stessa parte, però, viene poi promossa una vera e propria campagna di principio contro una legge che, si ammonisce, “rischia di sfaldare la famiglia”. Mettiamoci dunque d’accordo. Perchè sprecare i principi se si tratta di questione di così scarsa rilevanza sociale? Si osserva che una legge potrebbe formare un comportamento e dunque la legittimazione delle coppie di fatto potrebbe costituire un istituto alternativo al matrimonio. Le leggi di uno Stato laico non sono mai modelli, rappresentano risposte a fatti, e come quando affrontammo divorzio e aborto noi non abbiamo mai indicato valori, ma soluzioni a drammi individuali o di coppia. E qui dovremmo anche essere più chiari. Quale alternativa al matrimonio? Le coppie omosessuali, come è noto, non possono sposarsi. Dunque una regolamentazione dei diritti e dei doveri delle loro unioni non costituisce alternativa ad alcunché. E nessuno oggi propone per loro l’istituto del matrimonio, che pure in altri Paesi, come la Spagna, è invece stato istituito. La verità è che verso di loro continua a esistere una sorta di condanna morale, di ghettizzazione e di conseguente non riconoscimento giuridico. Esiste un pregiudizio, che è peggio di un giudizio. Quel che si dice può eventualmente riguardare le coppie di fatto eterosessuali, che invece hanno due possibilità di regolare i loro rapporti di unione: il matrimonio religioso e quello civile. Da qui nasce il problema di non istituire un terzo istituto che si contrapponga a quelli esistenti. E il richiamo alla Costituzione che intende la famiglia fondata sul matrimonio appare eventualmente da applicarsi in questa sola situazione. Osservo però che anche il matrimonio deve essere una scelta consapevole e non la semplice conseguenza di una necessità. Che strana concezione del matrimonio è mai questa se esso viene concepito come una necessità e non come una scelta consapevole? Se volete che la vostra unione abbia dispositivi giuridici, insomma, allora sposatevi, altrimenti ne sarete privi. Non mi pare convincente, non mi pare esaltante e soprattutto non mi pare una idea fondata sul rispetto della libertà di scelta, di sposarsi e anche di non sposarsi, che deve a mio avviso costituire la base della civile convivenza regolata da uno Stato laico. L’idea, insomma, che il matrimonio sia insediato da una forma di riconoscimento di unioni di persone non sposate, la ritengo, in fondo, il peggior servizio che si possa fare al matrimonio, che resta una scelta libera di coronamento di un amore e non una necessità per affermare regole di convivenza.

Non siamo peraltro fuori dal mondo e neppure fuori dall’Europa. Uno sguardo ci può essere utile.

In Svezia ci sono cinque diverse forme giuridiche per le unioni interpersonali. In Spagna il matrimonio è uguale per tutti con identici diritti e doveri, sia per le coppie eterosessuali che per quelle omosessuali, in Germania ci sono patti riservati alle unioni omosessuali, mentre in Francia ci sono patti per omo ed eterosessuali.

In Gran Bretagna la “civil partnership” garantisce i diritti per gli omosessuali, tra i quali anche quello dell’adozione. Complessivamente in venti Paesi europei ci sono disposizioni per le coppie di fatto.

Solo pochi Paesi ne sono tuttora privi. In Irlanda, in Austria, in Grecia, però, si stanno attrezzando, mentre in Slovenia, in Croazia, nella Repubblica ceca e in Ungheria sono già state introdotte disposizioni giuridiche. Dunque non è scandaloso occuparci di questo stesso tema in Italia. E a proposito della Costituzione, è vero, che la famiglia è fondata sul matrimonio, ma è anche vero che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, senza distinzione di religione e di sesso, recita la Costituzione. Ed è altresì vero che i problemi di oggi non sono quelli del 1947, che la società è cambiata e che il costume, piaccia o non piaccia, si è di molto evoluto. E ciò che appariva, e forse non lo era neppure allora, assolutamente marginale, oggi non lo è più. Allora certi temi non si potevano affrontare e oggi, se Dio vuole, certamente sì. Allora divorzio ed aborto erano peccati gravi anche per lo Stato, uno Stato etico che si contrapponeva ad un’altra idea di stato etico basato sulle teorie marxiste, oggi divorzio e aborto sono leggi di uno stato democratico.

Una cosa giusta il ministro Mastella l’ha detta: “Temi come questi sono di competenza parlamentare”. Come fu per il divorzio e l’aborto. Sono temi, questi, che attengono più che la libertà di coscienza l’impostazione culturale, l’identità dei singoli partiti. I quali però, su questioni così rilevanti, dovrebbero essere omogenei e invece non lo sono, neppure i due più grandi gruppi parlamentari, Forza Italia e l’Ulivo, perché costruiti non sulla base di una convergenza di identità, ma solo sulla scia di una collocazione politica, caso unico nel panorama europeo.

Noi spesso dobbiamo colmare un gap negativo rispetto all’Europa. Lo dobbiamo fare nel settore della giustizia, ad esempio, poiché l’Italia è il solo Paese dove viene tuttora negata la separazione delle carriere dei magistrati inquirenti e giudicanti, come nel Portogallo di Salazar

L’Italia è praticamente il solo Paese dove ci si divide su un caso come quello di Welby, che ha perfino diviso la Chiesa e messo di fronte le tesi del cardinal Martini e quelle del cardinal Ruini. Cito questo interessante dibattito perché esso testimonia che nella Chiesa su questi argomenti esiste un confronto e non identità di posizioni. Questo vale per la questione del testamento biologico, un tema che presto approderà alla Camera, e questo vale sulle coppie di fatto, attorno alle quali già sia era verificata la autorevole dissociazione del cardinal Pompedda, oltre che la presa di posizione di autorevoli esponenti del mondo cattolico e mi piace tra questi ricordare quello del segretario della Dc Gianfranco Rotondi.

Si è letto di un conflitto, l’ennesimo, all’interno del governo, tra il ministro Bindi e la collega Pollastrini, sui registri o le certificazioni. Parole che nascondono idee diverse. La Bindi ha detto: “Noi non riconosceremo le unioni di fatto in quanto tali, poiché tale riconoscimento potrebbe apparire una sorta di via parallela al matrimonio”.

In pratica non sarà istituito alcun nuovo registro dove annotare le unioni di fatto, ma verrà introdotta qualche forma di certificazione.

E la soluzione del drammatico dilemma, certificazione o registro, è stata offerta da un decreto della vecchia Dc, che rispetto ai partiti di oggi appare un vero e consolidato partito laico.

Si tratta di un “Regolamento anagrafico della popolazione residente” vergato da tre ministri democristiani nel dicembre del 1989 laddove per “per famiglia si intende un’insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi coabitanti ed aventi dimora nello stesso comune”. Era così difficile arrivare a questa elementare conclusione? In sostanza quando esiste un’unione, qualsiasi unione, vincolata da affetti e da coabitazione, lì deve esserci una regola, che sancisca diritti e doveri. La Dc la pensava così e questo Parlamento italiano come la pensa?

Quando non si hanno le idee chiare sui principi di libertà e di diritto, si rischia di diventare spesso ridicoli. Così si parla della differenza tra certificazione e registrazione, e nel caso Welby di differenza tra la sospensione delle cure e il distacco del tubo e poi si annota anche che la sedazione preventiva avrebbe potuto diventare lo strumento della morte e in questo caso si sarebbe trattato di eutanasia. Tragicamente ridicolo questo astruso arrampicarsi su giustificazioni che mascherano prevenzioni ideologiche. E che deviano dal principio fondamentale e cioè se bisogna o meno rispettare la volontà della persona quando questa non sia nociva per la libertà degli altri. Bisogna ritornare a Voltaire e al secolo dei lumi, assai più chiarificatore e convincente delle nostre assurde distinzioni e giustificazioni.

Rispettare la volontà della persona, per chi si vanta di una solida cultura liberale, è l’unica strada per uscire da tutti gli empasse. Rispettare la volontà della persona che decide di morire tra atroci sofferenze perché pensa che la morte sia un viatico che ci avvicina a Dio, rispettare la persona, che invece ritiene che la vita ci appartenga e non appartenga a nessun essere superiore e che la morte debba o possa essere una scelta consapevole. Rispettare la volontà della persona che intende concepire il matrimonio come indissolubile, come di quella che invece lo ritiene solo un vincolo formale, di chi intende ricorrere ad esso per segnare i confini di un amore e di chi invece non intende ricorrervi amando ugualmente il proprio partner e anche di chi intende amare una persona del suo stesso sesso e vivere con lui con slancio e generosità, spesso sfidando incomprensioni e pregiudizi familiari e sociali. Non vedo un altro viatico per uscire da questo guscio vuoto di un dibattito che rischia altrimenti di divenire solo strumentale. E dividere i partiti che intendono essere più vicini alla Chiesa per ottenerne qualche vantaggio o più lontani per contestarne il ruolo dimostrandone il carattere conservatore. Non vedo altro viatico per uscire dal nostro labirinto politico in cui ci stiamo perdendo con discorsi solo tattici o di spicciolo programmismo, senza mai guardare ai grandi principi, alle grandi strategie, ai grandi modelli di società.

E personalmente penso che il rispetto delle idee e delle opinioni religiose, etiche, anche i laici devono avere un’etica, al di fuori di qualsiasi assolutismo, sia una buona e saggia filosofia. E’, questo, relativismo etico? Può essere, ma qualcuno mi deve dimostrare che il suo contrario, e cioè l’assolutismo etico, sia migliore.

Resto fermamente convinto della necessità di difendere la libertà consapevole della persona. Quella che società totalitarie, naziste, fasciste o comuniste che fossero, hanno sempre negato, negando anche la diversità, criminalizzandola, facendo tutt’uno, insomma, del partito unico e del modello unico di vita. La società pluralistica invece ammette tanti modelli di vita, di ispirazione ideale, di fede religiosa, e lo stato laico rispetta la società pluralistica ammettendo tante opzioni e legiferando con spirito aperto su di loro.

E’ in questo modo, con questa concezione della vita ispirata alla tolleranza, al rispetto delle idee e delle scelte e contestando le leggi dell’impedimento e delle discriminazioni, dell’integralismo e del totalitarismo che porteremo avanti la nostra battaglia per rendere l’Italia un Paese più libero e più giusto.

Mi auguro che il governo presenti in Parlamento (ma anch’io come Mastella sono convinto della paternità parlamentare su questi temi) un disegno di legge ispirato a questi principi, che abbia dimensione europea, nell’Europa dove non credo che la famiglia sia stata distrutta da leggi disgregatrici, che abbia chiarezza d’intenti, che sappia colmare carenze e soddisfare esigenze. Se sarà così non mancherà il nostro convinto appoggio, se invece prevarrà lo spirito di mediazione tra partiti di diversa impostazione culturale, se nascerà non una legge di libertà e di diritto, ma una legge di compromesso, allora sarà nostra cura sviluppare critiche e presentare obiezioni. Personalmente non sono anticoncordatario e ricordo che la revisione del Concordato porta la firma di Bettino Craxi. Non capisco però cosa c’entri l’articolo sette con la questione delle coppie di fatto. Il richiamo del Capo dello Stato è giusto se si tratta di tenere presente il ruolo e la posizione della Chiesa. Ma in passato quando il Parlamento votò le leggi sul divorzio e sull’aborto, non assunse una posizione di mancato rispetto né per il mondo cattolico, una gran parte del quale si schierò nei referendum a difesa di quelle leggi, né per la Chiesa. E non furono quelle leggi, come non sarà questa, un affronto all’articolo sette della Costituzione.

Mi auguro che una legge, che rappresenta un’opportunità, non certo un obbligo, e neppure un modello, possa consentire elementari diritti per tutti e che riguardano esigenze riconosciute, da quelle della reversibilità della pensione (ho sentito che si parla di una parte sola e non si capisce perchè) a quella dell’assistenza, a quella della possibilità di reversibilità dell’affitto della casa. Rimando tutte le riflessioni su queste e su altre disposizioni legislative al momento della presentazione del disegno di legge governativo. Mi auguro davvero che questa legge che si intende giustamente rispettosa della sensibilità e della opinione del mondo cattolico lo sia altrettanto di quella del mondo laico, della quale non si parla mai e chissà perchè si ha quasi paura ad esprimere. E invece penso che i valori della libertà, del rispetto, della tolleranza siano ancor oggi valori universali, da difendere e dei quali andare orgogliosi.