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Intervento in Aula sulla giornata della memoria

Sig. presidente

credo sia molto difficile, in occasione del voto sulla proposta di legge che istituisce il 9 maggio, data dell’anniversario della tragica scomparsa dell’ onorevole Aldo Moro, quale giorno della memoria, compiere un’analisi approfondita sul fenomeno terroristico.

Ho preso la parola perché non condivido (e ritengo giusto dire ciò ad alta voce, assumendomene la piena responsabilità), l’analisi proposta da un esponente di Rifondazione comunista, secondo la quale il terrorismo nasce come risposta, non già come offesa, alla strage di Piazza Fontana del 14 dicembre del 1969.

Il terrorismo politico, sia di destra che di sinistra, nasce nel nostro Paese come componente di un movimento che, a partire dal 1968, si è sviluppato nelle scuole e nelle fabbriche in modo tumultuoso e anche contraddittorio. Esso non ha rappresentato la risposta ad un’iniziativa della Stato, anche se non si può negare che sulla strage di piazza Fontana, pesano ancora oggi interrogativi e misteri tutt’altro che chiariti. E’ indubitabile che, per quanto riguarda le stragi compiute nel nostro Paese, a partire da quelle di piazza Fontana, di piazza della Loggia o della strage dell’Italicus e, per finire, alla strage di Bologna anche perché sono personalmente convinto che la Mambro e Fioravanti non siano i responsabili o quanto meno i soli responsabili della strage della stazione, pesino domande senza risposta e con ipotesi di risposta davvero inquietanti. E’vero, ed è stato provato, che esistevano rapporti tra parti deviate dei servizi segreti dello Stato ed iniziative tese a sobillare, a squilibrare e a rendere precaria la democrazia in un Paese come l’Italia, posto al confine tra il mondo occidentale e quello comunista, tra l’Europa e i paesi arabi e Israele.

Era un territorio di confine e , come tale, esposto a rischi molteplici. Tuttavia, se noi esaminiamo attentamente nelle sue sfaccettature il fenomeno del terrorismo politico, non possiamo mai considerarlo come momento di difesa, né di valori, né di proposte politiche. Il terrorismo politico di sinistra, i cosiddetti anni di piombo, in particolare, nasce e si sviluppa per colpire i democratici e i riformisti e quanti proponevano un’altra via al rinnovamento sociale ed economico del nostro Paese.

Non sono un caso la morte del giudice Alessandrini, di Guido Rossa, né, nel momento in cui si stavano formando un governo e una maggioranza di unità nazionale, il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro.

Probabilmente, nei tentativi diversi, molteplici e contrastanti di violenza politica e di terrorismo politico sono stati presenti anche orientamenti strategici riconducibili a servizi di altri Paesi. L’Italia ha proceduto spesso sotto l’alone pericolosamente protettivo di altre nazioni che avevano tutto l’interesse a destabilizzare il nostro territorio. Ma il ragionamento si farebbe necessariamente troppo lungo.

Non c’è dubbio che dobbiamo celebrare come martiri innanzitutto coloro che hanno sacrificato la loro vita per difendere le istituzioni democratiche e la libertà in questo nostro martoriato Paese.

Ha ragione l’onorevole Cota quando afferma che non dobbiamo celebrare solo i morti eccellenti della violenza. Dobbiamo celebrare non solo Aldo Moro, ma anche il fattorino dell’Iacp di Genova Floris, che venne barbaramente colpito dalla banda XXII Ottobre e che fu la prima vittima del terrorismo di sinistra in Italia, cui hanno fatto seguito altre umili vittime che possono e devono trovare posto in un Pantheon (oggi se ne parla spesso a sproposito) dei martiri della violenza politica dell’Italia democratica. Nella giornata del maggio del prossimo anno ricordiamo dunque tutte le vittime, da quelle più umili a quelle più autorevoli.

Oggi lanciamo anche un allarme: che tutto questo possa ancora oggi ripetersi. Non credo possa ripetersi nelle stesse forme: ogni epoca storica determina fatti e iniziative legate al momento. Ciononostante sono fortemente preoccupato da quanto affermato dal ministro dell’Interno Giuliano Amato a proposito degli stretti rapporti che esistono in questo momento tra esponenti e gruppi della violenza estremistica che sono in carcere e altri settori del movimento i cui esponenti sono rifugiati o presenti in alcuni centri sociali o manifestano esplicitamente nelle piazze esprimendo solidarietà e consenso rispetto alle azioni o agli obiettivi di questa bande organizzate.

Si tratta di un estremismo che unisce ribellismo e antipolitica e che in qualche forma si è permesso recentemente di contestare anche lei, signor presidente della Camera, che non è certamente un moderato, così come di contestare molte altre cariche dello Stato e finanche i sindacati, seppure in forma meno esplicita. Un movimento che unisce ribellismo e antipolitica e che ritengo assai pericoloso perché si tratta di un estremismo che si differenzia anche da quello del passato, che aveva qualche giustificazione pratica e teorica, rifacendosi ad esempio a movimenti internazionali come quello dei Tupamaros o a precedenti europei come quello della Baader  Meinhoff. Questo movimento non ha referenti internazionali, né punti di riferimento nella teoria politica: è semplicemente ribellismo qualunquista e violento. Probabilmente dobbiamo porci il problema di separarlo ancora di più dalla massa dei giovani, assumendo una posizione politica che sia di forte rinnovamento del Paese e che ponga al centro dell’attenzione, come è stato affermato proprio ieri, primo maggio, festa dei lavoratori, le questioni del lavoro e dei giovani. La precarietà del lavoro e le morti bianche sul lavoro sono questioni di cui si devono occupare i democratici e i riformisti di questo Parlamento della Repubblica.