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Con Bonafini se ne va un pezzo di Reggio

11 Luglio 2011 1.519 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

E’ morto Umberto Bonafini. Si sapeva che non avrebbe potuto campare a lungo, minato com’era da un male tremendo. Eppure la notizia della sua scomparsa mi lascia una forte emozione ed un vuoto profondo. Una montagna di ricordi mi accomunano a lui, da quando nel 1981 egli si trasferì a Reggio a dirigere il nuovo quotidiano la “Gazzetta di Reggio”, che riuscì a lanciare facendola divenire il primo quotidiano locale. Un capolavoro che a lui si deve e al quale non credeva quasi nessuno. Bonafini, guastallese d’origine, mantovano d’adozione e reggiano trapiantato, seppe origliare la città, annusarla nei suoi anfratti, frequentarla quotidianamente nelle vie, nelle piazze e nei bar, assecondandone gli umori e a volte irridendoli col suo guastallese stretto e inimitabile, che ti portava sempre alla risata grassa e qualche volta perfino alla sua imitazione inconsapevole. Personaggio unico, da commedia dell’arte, era dotato di forte carica ironica e di gusto del paradosso. Ma era anche personaggio assolutamente colto e preparato, soprattuttto nel campo della storia locale e della musica lirica. Aveva contribuito a scrivere “Emozioni padane” nel 1990 dedicato alla sua Guastalla, per la quale aveva scritto, nel 1963, “Pittori di casa nostra”, mentre a Mantova aveva dato alle stampe, nel 1970, “In piazza Sordello con papà” e l’anno dopo “Quadermo salisburghese”. Non è cancellabile il contributo, che fu determinante, per ricordare a Reggio il cinquantesimo anniversario del debutto di Ferruccio Tagliavini al quale Bonafini era legato da amicizia. A lui si deve il meraviglioso spettacolo allestito al Municipale Valli e la pubblicazione del volume “Ferruccio Tagliavini: l’uomo, la voce” (Reggio Emilia 1988). Aveva già scritto altri libri su cantanti lirici, tra i quali uno famoso “Perchè sono Renata Scotto” (Mantova 1975), mentre aveva dedicato un libro anche al grande maestro “Herbert Von Karajan” (Mantova 1978). Con Sandro Bellei scrisse poi “Reggio a tavola” (Finale Emilia 1985) e con Giuliano Bagnoli “La tradizione popolare reggiana” (Finale E. 1995). Era critico sempre appassionato e competente delle nostre stagioni teatrali. Per un periodo era stato anche membro del consiglio di amministrazione del teatro Comunale di Bologna e poi di quello dei Teatri di Reggio. Competente e critico, per la verità, anche lì. Quando durante un’opera volevi ascoltare un commento adeguato, e sempre condito con le sue battute irresistibili in dialetto guastallese, cercavi lui nell’atrio del teatro e non rimanevi mai deluso. Dopo aver lasciato la Gazzetta era passato a “Il Giornale di Reggio” del quale per un periodo era anche divenuto direttore. Nel frattempo aveva registrato alcune trasmissioni di musica lirica e classica con Teletricolore e con me aveva presentato “La grande corsa”, dedicata alle elezioni del 2004. Con la politica e i politici reggiani ha avuto sempre rapporti liberi e spesso conflittuali, a volte perfino viscerali, com’era il suo carattere. Non era certamente un giornalista che te la faceva passare. Così capitava spesso anche di litigarci. Ma per qualche ora e senza che lui ne facesse mai motivo di un risentimento. Dopo il litigio scaturiva magari un’intervista. Umberto era fatto così. Libero di dire e di fare quel che ne aveva voglia e di frequentare, più volentieri di tanti salotti, quel caffè di piazza del Monte dove ogni giorno si sedeva e dove i suoi amici (quelli veri) oggi lo piangono senza poterlo più incontrare.

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