Il signor R
Sta ovunque montando il fattore R. Il signor R riempie sale e piazze, propone il suo spettacolo itinerante profondamente innovativo soprattutto per la liturgia della sinistra, produce applausi e anche ovazioni, si mette in perfetta sintonia con la voglia di rinnovare, di svecchiare, di voltare pagina. R dice spesso le cose che la gente pensa. Ad esempio: “La vostra generazione ha fallito, occorre che un’altra generazione guidi il Paese”. L’idea del fallimento (“La mia generazione ha perso”, cantava Giorgio Gaber) è stata recentemente avanzata anche da Pierluigi Castagnetti a motivazione del suo ritiro. Che esista in Italia anche un problema generazionale è fuor di dubbio. Quando il signor R sostiene che è stata una follia spendere dieci miliardi per abolire lo scalone previdenziale, permettendo così di andare in pensione un po’ più presto, mentre i giovani sono senza occupazione, ha straragione. Quando afferma che solo in Italia sono cambiati i nomi dei partiti, ma non i gruppi dirigenti, anche. E così pure quando tenta di parlare a tutto il Paese, anche a coloro che hanno creduto a Berlusconi, senza far loro apparire un peccato mortale la fede precedente. E penso non abbia torto nemmeno a sostenere che la sinistra tradizionale abbia fatto il suo tempo, che occorra cercare nuove vie, come quelle di Ichino sul mercato del lavoro, o quelle ancora attuali di Tony Blair e prima ancora del socialismo liberale di Craxi e Martelli. Naturalmente R si spinge fino ad evocare Blair, ma non Craxi e Martelli. Proviene da un’altra storia, non certo dalla nostra. Poi il vuoto, però. E qui si apre una voragine. Perchè R non solo non parla dei socialisti, così démodé e sconsigliati dal suo guru mediatico come una marca di formaggini scaduti, ma non parla neppure di alleanze. Dubita della bontá di quella con Sel, ma è candidato alla presidenza del Consiglio di un’alleanza tra Pd, Sel e Psi. Finge di non saperlo. Ma chi dovrà votarlo dovrà affermare di stare dentro quel perimetro. Appare ancora affetto da una sorta di sindrome veltroniana di autosufficienza del Pd. Afferma spudoratamente: “Con me il Pd sarà al 40 per cento, con Bersani è al 25”. Ma finge di non sapere che anche al 40 per cento non si governa l’Italia. È privo di una sua strategia delle alleanze. Vuole decidere tutto lui. Le liste, il governo, come se fossero la formazione della Fiorentina. Ha la faccina che la dice lunga. Un coraggio da volpino. E molta più cultura politica di Grillo. Berlusconi di sinistra? Forse nè l’uno nè l’altra. Anche se dalla sinistra, dove siamo stati espulsi tante volte noi per la nostra originalità, ho fatto il voto di non espellere mai nessuno. Un Obama al Chianti? Un semplice effetto della crisi? Può essere. Resta il fatto che generalmente quando si apre un conflitto tra conservatori e rinnovatori (accadde nel Psi nel 1976 col Midas e dopo la sostituzione di Natta con Occhetto anche nel Pci e più volte nella stessa Dc) sono gli innovatori a prevalere. Per questo consiglio a Bersani, al quale sono legato da un patto politico, di prendere lui in mano il tema del rinnovamento non solo degli uomini, ma anche e soprattutto delle idee.
Caro Mauro,
da iscritto al PSI ritengo la scelta fatta dal partito la migliore possibile (o la meno peggio). Al di là di questo, devo, bonariamente, farti un appunto. Quando scrivi di Renzi, troppo spesso noto una nota polemica sul fatto che sia toscano; anche in questo ultimo intervento ti riferisci a lui che vuole fare le liste del PD come la formazione della Fiorentina, oppure lo definisci “Obama a Chianti”, in altri interventi facevi riferimento al fatto che il Presidente del Consiglio avesse un accento toscano ecc.
Da toscano, anch’io, ritengo che le stesse cose non sarebbero dette se Renzi, fermo restando quel che è, fosse lombardo o laziale. E’ vero che noi toscani siamo speciali, siamo gli unici con cui è possibile usare il peggiorativo “accio” (toscanaccio), senza che questo suoni come offesa, ma, a mio parere, Renzi dovrebbe essere trattato solo per quello che fa e che dice.
Con stima
Massimo
Figurati se i toscani mi stanno antipatici. Leggo il Vernacoliere, amo le bistecche e il Chianti, ho seguito il Livorno quando riempiva l’Ardenza in serie C2, leggevo con bramosia Montanelli e Prezzolini, adoro Benigni quando recita Dante, e amo Firenze e i suoi monumenti. Anzi, mi sento toscano anch’io. Di Renzi non apprezzo solo quel suo ego, consentimelo, tipicamente
fiorentino che trovavo anche in Spini, Lagorio, Domenici e altri. Capitale d’Italia sì, ma del mondo no, mauro
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