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Voltaire e l’ironia laica

16 Gennaio 2012 7.049 views 2 CommentsStampa questo articolo Stampa questo articolo

Poco prima di morire, all’età di 84 anni suonati, gli si avvicinò un prete per l’estrema unzione, ma lui lo bloccò mormorandogli all’orecchio: “Non mi sembra il momento per fare nuove amicizie”. Si chiamava Francois Marie Arouet, ma lo chiamavan Voltaire, per via di un anagramma. Fu scrittore, poeta, commediografo e tragediografo, storico, letterato e filosofo. Il più famoso degli illuministi, il più moderno per la sua ironia e la sua preveggenza. Forse il più citato ancor oggi. Certo più di Kant, che in pochi hanno capito, e anche più di Socrate, che tutti dicon di avere compreso. Molto più di Marx, oggi entrato anche in crisi di citazioni, e di Hegel, che Giorgio Garber sostiene essere evocato solo da uomini narcisisti per conquistare donne impegnate. Francois Marie divenne Voltaire per due motivi: perché aveva un padre autoritario che lo voleva notaio come lui, e perché fu educato in un collegio di gesuiti. Imparò così a non sopportare le autorità. Se avesse avuto un padre comprensivo e affettuoso e avesse frequentato una scuola laica magari avrebbe fatto il notaio davvero e noi avremmo perso uno dei più geniali personaggi dell’intera umanità. Quando si dice il valore di un’educazione “scorretta”. La sua vita fu simile a quella di Rousseau, vagabonda e densa di relazioni con donne non proprio inappuntabili. Una vita passata anche tra generosi monarchi che lo amavano e lo premiavano (in Francia e in Prussia), ma che poi lo odiavano, reprimevano e incarceravano. Scrisse di tutto, innanzitutto articoli polemici contro le autorità e il suo primo libro fu un poema, La Ligue, che mise insieme quando era proprio “ospite” della Bastiglia. Tra un omaggio e un’incarcerazione lasciò la Francia e fu in Inghilterra dove entrò in contatto con i circoli democratici più avanzati. Da notare che solo in Olanda e in Inghilterra, a quel tempo, esistevano democrazie più o meno illuminate che consentivano la libertà di opinione. E fu lì, sul Tamigi, che il signor Arouet, che prima aveva anche tentato di fare il notaio, fortunatamente senza successo, assunse il nome di Voltaire. Poi, ancora esule in Lorena, scrisse la tragedia Bruto e la morte di Cesare. Poi Maometto o il fanatismo. Che proprio inattuale non è, a proposito di Islam. Ecco un buon approccio col presente. Voltaire, non l’integralismo cattolico, contro il terrorismo islamico. La ragione contro il fanatismo. Ma il suo rapporto non solo con l’islam, ma con tutte le religioni, divenne di aperto conflitto e contestazione. Sposarsi, neanche per idea. Anzi preferiva il rapporto con donne sposate di già, come quello con madame de Chatelet, che poi lo tradì col giovane Saint Lambert dal quale ebbe un figlio, morendo di parto. E anche quello con madame de Pompadour (nome che ti faceva venire i brividi), che lo tenne sotto la sua protezione come aveva fatto anche con Diderot. E anche grazie a lei il nostro divenne accademico di Francia. Non bastò e Voltaire, che non si piegava neppure di fronte alle Pompadour e che difendeva le sue idee sempre anche al cospetto d’una pervicace e turbolenta amica, fu costretto ancora all’esilio, in Prussia, dove c’era un altro re che s’era invaghito di lui. Così, dal 1749 al 1752, fu a Berlino come ciambellano di corte di Federico II. Dall’amore viscerale all’odio il passo è breve e anche qui Voltaire fu incarcerato per via di una speculazione finanziaria e per aver offeso uno scienziato tedesco. Fu poco dopo a Ginevra, dove era anche Rousseau, pensando che quella città fosse una sorta di repubblica tollerante. Ma dai, Voltaire, che cosa avevi capito del calvinismo e della Svizzera, per citare Vasco? Se ne andò anche di qui e nel 1755 riparò a Losanna dove aveva acquistato ben due castelli (a proposito della speculazione di Berlino…), uno per studiare e uno per amare, come quelli romagnoli dell’Eulaia. In quello per studiare e scrivere forgiò la nuova tragedia Oreste, poi un trittico dedicato allo spaventoso terremoto di Lisbona, dove contestava la teoria della provvidenza. Poi fu la volta del suo capolavoro, Il Candido, ovvero l’ottimismo (del 1759), in cui la sua penna arguta se la prendeva con l’incauto ottimismo di Liebniz secondo il quale si viveva nel migliore dei mondi possibile. E qui la sua teoria della lotta al fanatismo, al provvidenzialismo, al probabilismo, alla superstizione, diventa un’elaborazione completa. Seguì, due anni dopo, il suo Trattato sulla tolleranza, che fa il resto. E poi il Dizionario filosofico del 1764. Collabora con l’Enciclopedia di Diderot e D’Alambert e cura diverse voci storiche. Scrive anche due libri di storia sull’impero francese. Rientra finalmente a Parigi che gli riserva un’accoglienza trionfale e quando muore gli asportano cervello e cuore. Nel 1791, dopo la rivoluzione francese, viene sepolto al Pantheon dopo nuovi  funerali di Stato con tanto di onori tributatigli dai cittadini e dalle autorità. Tra le tante ironie sue anche una contro di lui di re Luigi XVIII che nel 1821, dopo la restaurazione e il ritorno della monarchia e mentre gli giunsero richieste affinché il corpo di Voltaire venisse rimosso dal Pantheon, sostenne che era meglio lasciarlo dov’era, perché avrebbe patito assai di più dovendo sorbirsi due messe al giorno. D’altronde Voltaire aveva chiara la sua concezione religiosa. Credeva in un Dio perché “ogni volta che guardo il cielo stellato non posso pensare che, se esiste un così perfetto orologio, non esista un orologiaio”, ma il suo Dio era un po’ quello di Spinoza, il “Dio sive natura”, coniugato con l’illuminismo, ovvero il Dio della ragione, che poi portò Robespierre ad estremizzare il suo significato introducendo addirittura la fede nel Culto della ragione. Non era certo il Dio delle religioni. Anzi, polemizzò duramente con Blaise Pascal e coi suoi Pensèe, con l’idea di un Dio al quale bisogna credere punto e a capo e al quale si deve arrivare attraverso la fede. E affermò che la religione esisteva “da quando  il primo ipocrita aveva incontrato il primo imbecille”. Voltaire aveva anticipato Odifreddi, che sembra aver inventato ciò che Voltaire aveva sostenuto quasi trecento anni prima. Si sa, i matematici a volte perdono il senso del procedere della storia. Sia ben chiaro, Voltaire non disprezzava per nulla il cristianesimo, anzi ne raccoglieva il messaggio morale sui temi dell’amore per il prossimo, della carità e dell’umanità. Ma non credeva per nulla che vi fosse un Dio diventato uomo o un uomo che diventava Dio. Che strano procedimento irrazionale era mai questo? E questo è il vero punto caratterizzante (e forse anche debole) della religione cristiana. Anche oggi in tanti riprendono Voltaire sul tema della tolleranza. E quella frase “Io disapprovo quel che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo”, è attribuita a lui. E’ anche oggi l’unica definizione accolta da tutti i democratici sul concetto di libertà. Anche se da pochi praticata. Pensate se dicesse così di Maroni il povero Bossi e se Berlusconi avesse parlato di Voltaire a Fini. Voltaire possedeva anche una certa dose di autoironia e con la frase “Quando la gente comincia a ragionare tutto è perduto”, spazza via ogni certezza. D’altronde per lui “il dubbio non è piacevole, ma la certezza è ridicola”. Forse si ispirò a lui Rossini nel Barbiere di Siviglia a proposito della calunnia: “Calunniate, calunniate qualcosa resterà”. Più citato di Oscar Wilde, Voltaire assume un valore di bruciante attualità. Oggi il mondo ha bisogno di certezze assolute acquisite per stato di necessità o di approfondimenti, di esplorazioni continue, di orizzonti nuovi? Ha bisogno di più dogmi o di più razionalità? Ha bisogno di combattere il fanatismo con più laica libertà o con nuovi fanatismi? Sono temi ancora attuali, anzi attuali più che mai e di Voltaire, secondo me, abbiamo ancora bisogno per evitare guerre, per accettare le diversità di idee, per non sconfinare mai nella violenza. Mica era un uomo perfetto Voltaire eh… Anzi, sulle razze era ancora al di sotto della necessità e concepiva negri ed ebrei come razze inferiori. Ma eravamo nel settecento, signori, e considerare gli europei come uguali, almeno nella fase di partenza, era già rivoluzionario. E noi ci accontentiamo visto che oggi la Merkel e Sarkozy la pensano in modo diverso….

 

 

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