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Psicologismo tra sesso e società

25 Marzo 2012 1.556 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Freud puntava tutto sul sesso. Non so se lo praticasse tanto quanto ne parlava. Anche perché tra un complesso di Edipo e di Elettra, fasi orali, anali e genitali, complessi di castrazione e quant’altro, penso che neppure lo apprezzasse poi tanto. Qualsiasi cosa gli capitasse nella vita ne deduceva che era colpa del sesso. Il licenziamento per motivi discriminatori era per via del sesso, quello per motivi disciplinari anche e quelli economici, qui era più difficile ricondurli al suo minimo comun denominatore. E allora forse meglio non cambiare l’articolo 18 ed evitare di porsi il problema. A parte le battute la sua psicanalisi divenne come il marxismo, una teoria poi sviluppata tra dogma e revisioni. Freud veniva considerato il capo carismatico di tutto, i suoi discepoli e continuatori, invece, una massa di litigiosi innovatori. Mentre nel marxismo, che divenne un’ideologia, i dogmatici furono davvero tanti (da Kautsky a Capanna) anche se più d’uno diverrà poi eretico, tra i freudiani, che non scrissero la Bibbia della nuova società, prevalsero i revisionisti, a cominciare dal primo autorevole suo esponente: Karl Gustav Jung. Svizzero, nato a Kesswill nel 1875 e morto a Kusnacht nel 1961, visse un bel po’, ma non tanto quanto Rita Levi di Montalcini e partecipò alle grandi tragedie del primo Novecento, forse con qualche debolezza di troppo. Come Freud è psichiatra, psicanalista, ma anche antropologo e astrologo. Personalità davvero curiosa, si spingerà a scrutare il cielo le stelle, si occuperà di occultismo e anche di ufo. Se Freud inizia a praticare la sua teoria analizzando la signorina Bertha Pappenheim (il caso Anna O), Jung lo fa con la cuginetta Helene, che un po’ matta era davvero e aveva effetti medianici. Vi scrive sopra la sua tesi di laurea nel 1900. Amiche o parenti normali neanche una. Avrebbero fatto fallire gli esperimenti dei due grandi psicanalisti. E compromesso le loro lauree. Che fortuna vivere in famiglie disagiate, per chi deve studiare il disagio. I clienti sono più a portata di mano. Nel 1906 Jung aderisce alla teoria e alla pratica psicanalista e nel 1907 incontra per la prima volta a Vienna Sigmund Freud. La storia di Freud e di Jung si tinge di romantico. I due stringono un’affettuosa amicizia e viaggiano insieme in nave alla volta dell’America (dovevano tenere un ciclo di conferenze). Fatto sta che la nave andava senza inchini e senza capitani irresponsabili, il mare era calmo come l’olio e la sera i due dormivano assai, magari dopo un’ottima cena e un’orchestra che suonava musiche viennesi. Poi la mattina, mentre sorseggiavano il caffè, Sigmund e Gustav si raccontavano i loro sogni. Come fossero due amiche adolescenti. Così con Jung nelle vesti di psicanalista e Freud in quelle di paziente, il tempo trascorreva più in fretta. Ma Freud quella volta si mostrò reticente a raccontare delicati particolari di vita privata che voleva tenere per sé. Jung se ne adontò perché quelle notizie gli sarebbero servite per interpretare i sogni di Freud. Ma, dico io, si può psicanalizzare lo psicanalista per eccellenza? Forse sì, perché molti psicanalisti derivano la passione per quest’arte proprio dalle loro condizioni di pazienti. Freud non è ben chiaro cosa volesse tenere per sé quel mattino. Ma Jung non la prese per niente bene. Si sa, a volte capita di predicare bene e poi razzolare male. Ma Jung rompe con Freud solo nel 1913, mentre si preparavano i fumi del primo conflitto mondiale. In quell’anno uscì il suo libro “La libido: simboli e trasformazione”, nel quale lo psicologo svizzero sposta la questione dal singolo alla società. Esiste per lui dunque una libido collettiva così come esiste un inconscio collettivo che si manifesta attraverso simboli unificanti (o archetipi). E’ chiaro che la differenza non è solo la valenza collettiva della libido, ma anche la sua origine che non è solo sessuale, ma frutto di “energia psichica”. Poco dopo, nel 1914, Jung esce dal movimento psicanalitico e approfondisce anche la sua teoria dell’inconscio. Per Freud era una sorta di scatola vuota che si riempiva dei contenuti ritenuti dannosi per l’Io, attraverso la rimozione, dunque l’inconscio dipendeva dall’Io (era un luogo in cui l’Io nascondeva una parte di sé), per Jung invece l’inconscio ha un sua autonomia di rappresentazione e di sviluppo, che non discende direttamente dai bisogni dell’Io. Anzi è l’inconscio a precedere e condizionare l’Io e non il contrario come riteneva Freud. E’ importante questo passaggio dal punto di vista filosofico. Perché con Jung l’inconscio diventa una sorta di ente autonomo. Possiamo dire che Jung collega Kant (le sue idee a priori) a Freud (la teoria dell’inconscio) e li spiega e spinge avanti. Jung  racconta le rappresentazioni dell’inconscio attraverso tipi o archetipi. E questi tipi sono classificati e universali. Vanno bene per tutti. Vediamoli. Se la nostra psiche è composta da una parte conscia e da una parte inconscia (l’una non direttamente dipendente dall’altra, ma coesistenti entrambe) il loro rapporto porta all’individuazione, cioè alla spiegazione della formazione della personalità umana. In questo percorso l’individuo si presenta con un’organizzazione archetipa (inconscia) della propria personalità. E lo fa attraverso questi passaggi simboleggiati da queste figure: la Persona, l’Ombra, l’Animus o Anima, il Sé. La Persona è l’archetipo pubblico, l’Ombra rappresenta la parte di sé più sgradita e rifiutata, dunque una sorta di vecchio inconscio freudiano, l’Animus o Anima è la parte maschile della donna e femminile dell’uomo e infine il Sé il punto conclusivo. Poi un po’ più appartati emergono anche altri archetipi quali Il Vecchio saggio, La Grande madre, l’Apollo e via dicendo. Il Silvio, o Narciso, viene poi spiegato dai suoi succedanei. E così il Fede, rappresentazione della più assoluta compiacenza al capo, ma anche della più infida ingordigia. Il Monti è invece la parte più rigorosa del Sé, quella che quando c’è da andare al cine fa pagare agli altri e anche a cena offre ma poi, quando è il momento, lascia che gli altri paghino. Per risparmiare. La sua visione dell’inconscio, suddiviso in tante rappresentazioni simboliche, è la caratteristica più innovativa ed eclatante di Jung, che dopo che il nazismo era andato al potere in Germania diresse una rivista col fratello di Goring. Apriti cielo. La sua motivazione fu che lui tentava di salvare il salvabile. Nel 1939 Jung però costretto a espatriare, dopo essersi dimesso dall’incarico e le sue opere vennero messe al macero. Nel dopoguerra si rintana nella sua torre sul lago di Zurigo, rientra all’Università di Basilea, diventa presidente di un istituto dedicato a lui. Si interessa di paranormale, di alchimia, oltre che di filosofia e nel 1961muore senza neppure darsi una spiegazione dell’influenza del suo inconscio. Qualche tempo prima aveva anche avuto un infarto e vissuto l’esperienza del pre morte che tanto influenzò Clint Eastwood. Magari sognando Freud che lo ringraziava per le sue revisioni. Altri furono sulla via della psicanalisi come Paolo sulla via di Damasco. E vale qui la pena di ricordare quella che aprì la strada alla moderna psicanalisi infantile, Melanie Klein. Nacque a Vienna nel 1882 e morì a Londra nel 1960. Si dedicò ala psicanalisi infantile e si distaccò da molte teorie di Freud e della figlia Anna, anch’essa attiva sulla stessa materia. Se Sant’Agostino riteneva i bambini che ancora non fossero purificati dal battesimo, dei piccoli criminali, dotati di bramosia, di cupidigia, di invidia, di odio, Melanie precisa che anche i lattanti hanno sentimenti di vita e di morte. Pensano che non esista altro che il loro corpo e il seno della madre, visto come un prolungamento del sé. La chiama posizione schizoparanoide (va da 0 a 4-5 mesi) e il seno della madre può essere buono o cattivo, a seconda che soddisfi o meno i suoi bisogni. Come nella canzone della Zanicchi “la riva bianca e la riva nera”, il seno buono è da amare, il seno cattivo è da distruggere, da mordere, da rifiutare. Naturalmente questa schizofrenia porta all’ansia di persecuzione. Possibile che questo seno cattivo ce l’abbia proprio con me, e si faccia vivo così spesso? E poi c’è seno e seno, santo Dio. Quello di Deborah Caprioglio o di Francesca Dellara, è forse troppo enorme perché il lattante lo possa immaginare come qualcosa che gli appartiene. Poi si passa alla fase depressiva (da 5 ai 12 mesi) in cui il bimbo scopre la sua dipendenza dalla madre, ma sperimenta la sua impotenza perché non può trattenerla sempre con sé. La perdita del seno buono è come la morte e il bimbo elabora il lutto, ma è anche la fase in cui il bimbo avverte la presenza di un terzo: il padre. Che per lei è certo meno importante per il bambino del seno della madre. Altro che costola di Adamo… Il padre è quasi un incomodo. Un terzo uomo come Magni ai tempi di Bartali e Coppi. Per la Klein, poi, i sentimenti più importanti del bambino sono quelli di gelosia, che si fonda sull’amore (pulsione di vita) e che vorrebbe l’oggetto gratificante tutto per sé e, conseguentemente, desidererà la distruzione di tutto ciò che si frappone. Poi c’è l’invidia, invece, che è un sentimento dovuto alla pulsione di morte: non potendo possedere le caratteristiche ambite dell’oggetto, il bambino ne desidera la distruzione. Nella fase schizoparanoide il seno è ritenuto onnipotentemente buono (gratificazione) ma anche onnipotentemente malvagio (frustrazione). Quando l’oggetto nutre e sostiene i bisogni del bambino, il bambino prova gratitudine, quando invece si nega scatena il sentimento dell’invidia.  E’ importante che nel rapporto prevalga il primo sul secondo altrimenti è alta la probabilità dell’insorgenza di psicopatologie. L’idea di una psicanalisi esclusivamente infantile con simboli e relazioni nuove, porta a un nuova concezione della mente umana. Per Freud l’inconscio è il diniego dell’Io, per Jung è la base su cui l’Io si forma, per la Klein esiste uno specifico inconscio infantile che condizionerà lo sviluppo della mente umana. Ed è un inconscio che si fonda su oggetti. Altri tra i quali Bion, Fairbaim, Winnocott elaboreranno le scoperte della Klein. Ci saranno teorie sistemiche e quelle dell’attaccamento di John Bowlby che poi scavalcheranno anche le teorie della Klein. Ma Jung e la Klein saranno tra i più audaci innovatori della psicanalisi freudiana. Quelli che se dovessimo mai incontrarli per strada meriterebbero d’esser salutati togliendosi il cappello. Se Freud ha, se non inventato, almeno posto al centro di tutto la dimensione dell’inconscio, Jung e la Klein l’hanno addirittura sistemato con intuizioni nuove. L’uomo di Egel e neppure l’uomo di Marx non può essere più lo stesso dopo lo sviluppo del pensiero psicanalitico.

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