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Selezionare la spesa, anche se…

12 Aprile 2015 995 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Un mio vecchio amico imprenditore, che aveva dovuto subire un’operazione chirurgica all’ospedale di Reggio Emilia, mi confidò di non essere in pace con la sua coscienza perché non aveva pagato nulla nonostante una settimana di ricovero. Era una persona coscienziosa e sapeva che quella settimana era costata allo stato un bel po’ di quattrini e lui, che era anche molto ricco, era stato a carico di altri. Dalla conferenza di Rimini del 1982, soprattutto grazie allo splendido contributo di Claudio Martelli, abbiamo coniugato in forme tutt’affatto simili equità ed eguaglianza. Non sempre l’eguaglianza è equa. Non far pagare i servizi a tutti mette tutti sullo stesso piano, anche se non lo sono. Di più mette in condizione chi guadagna meno di pagare di più perché deve mantenere anche chi guadagna di più.

Dico questo anche alla luce del solito stimolante editoriale di Alesina-Giavazzi sul Corriere di oggi. È vero. Renzi sostiene che tagliare la spesa è necessario, ma poi afferma che non verranno tagliati i servizi, ma solo i disservizi. Metta però in conto che le spese più alte per il bilancio pubblico sono sanità e previdenza e che nell’università, ricordano i due, uno studente costa 7500 euro l’anno allo stato e i più ricchi ne pagano meno della metà. Non sarebbe ora, invece dei soliti proclami, di rivisitare davvero questo stato sociale che non sta più insieme e che produce le iniquità più assurde e insostenibili?

Prendiamo gli esodati. Perché stavolta non dar ragione a Landini che sollecita, nei modi brutali che gli sono soliti, di sanare col presunto tesoretto la falla creata dalla riforma Fornero? Ma, sopratutto, facciamo i conti con una ripresa che ancora non c’è anche se l’ottimismo regna sovrano. E dovremmo chiederci perché, nonostante il ribasso del prezzo del petrolio, l’euro debole, la manovra Draghi e il conseguente taglio degli interessi sul debito. Si dice: dobbiamo tagliare la spesa e le tasse. Poi vieni a sapere che la spending review è stata accantonata con Cottarelli e che i tagli alla politica sono poca roba, mentre i comuni sono stati costretti ad aumentare Irpef e le imposte locali per sanare il deficit introdotto dai tagli centrali. E allora?

Se la pressione fiscale non è diminuita nonostante gli ottanta euro e i tagli all’Irap e alle nuove assunzioni, evidentemente qualcuno ha aumentato altre tasse e imposte. La matematica non è un’opinione. Tanto che i prelievi medi restano al 43 per cento. Se per riprendere a crescere è necessario ridurle allora bisogna tagliare la spesa. E non in modo verticale. Bisogna costruire una spesa che sia selettiva. Cioè che sia rivolta soprattutto a chi ha bisogno e non a chi bisogno non ha. Questa è un’impostazione socialista riformista. Introdurre dunque anche nei servizi delle adeguate differenziazioni in base al reddito. Non dare a tutti in modo uguale, ma dare a chi ha bisogno in modo equo. Questo non è solo utile oggi, ma è giusto sempre.

Resta solo un problemino non di poco conto. E cioè il fatto che le dichiarazioni dei redditi in Italia non sono credibili, per l’alto tasso di evasione e di elusione fiscale. Dunque oggi si rischierebbe di far pagare l’Università a un figlio di un dipendente pubblico e non a un gioielliere e a un dentista, col massimo rispetto che si deve a queste due attività. E fino a quando non verremo a capo di questa grande ingiustizia, la più grande di tutte e la più penalizzante per il debito pubblico, noi non riusciremo a costruire uno stato sociale equo. Questo mi sembra il limite della giusta analisi di Alesina e Giavazzi

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