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Congresso perchè

8 Febbraio 2016 1.957 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Il Psi ha ormai iniziato l’iter che lo porterà al suo congresso di fine aprile. Come stabilisce lo statuto si tratta di un’assise indispensabile dopo quella di Venezia del dicembre 2013. Dovremo riflettere sulla situazione politica, assai mutata rispetto a due anni e mezzo fa, quando ancora Letta presiedeva un esecutivo a termine e il Pd era fuori dal Partito socialista europeo, mentre pareva vi si avvicinasse Sel, quando ancora non era iniziato il processo di riforma elettorale e costituzionale, quando ancora il terrorismo islamico non aveva gettato con protervia i suoi malefici occhi sull’Europa e anche su di noi.

Ho citato solo alcuni dei profondi mutamenti esterni che ci inducono a riflettere anche su noi stessi, peraltro attraversati in questo periodo da separazioni dolorose di taluni autorevoli nostri rappresentanti e da una microfuga di qualche altro verso la sinistra radicale, nonché da una certa fibrillazione interna. Dovremo quindi svolgere, dopo la riuscita conferenza programmatica, anche una profonda riflessione politica e un confronto sullo stato del partito, che mi auguro sia però condotta entro i confini di un produttivo dibattito. Non penso cioè che sia il caso né di minacciare irresponsabili ricorsi a giudici terzi sui nostri problemi interni, né di attrezzarci ad una conta che peraltro costringerebbe tutti ad alzare barriere, senza cogliere, anche nel dissenso, gli elementi utili di una critica costruttiva.

Tutto si può e si deve affrontare. Dagli indirizzi generali agli assetti interni con la massima apertura e disponibilità ad accogliere consigli e contributi utili. Quello che non si può fare è rinviare il congresso o pensare di svolgerlo al di fuori delle norme statutarie. Questo sarebbe sì un colpo letale per la nostra piccola comunità. Personalmente non sono per dimostrare che tutto si è fatto sempre nel migliore dei modi. Conosciamo bene le nostre carenze e le nostre contraddizioni, alcune peraltro endemiche e da far risalire alla nostra natura di nostalgici di un tempo che fu e che non ritornerà. Pensiamo sempre che la nostra rovina, che impedisce di realizzare la nostra utopia, siano i dirigenti del momento. Basta cambiare questi e il gioco sarebbe fatto. Ed ecco d’incanto riapparire il nostro garofano rosso, calpestato ventitré anni orsono.

Non si tiene mai presente che tutto quello che in questi anni è stato fatto è un mezzo miracolo. Aver tenuto in vita un’organizzazione socialista in tutta Italia, cosa che non è avvenuta per comunisti e democristiani, non è stato e non è tuttora cosa semplice, perché assai più semplice sarebbe ammainare bandiera ed accogliere la logica che ormai è nel Pd che si può affermare la nostra vecchia identità. Non sono di questo avviso. E nel tenere duro avremmo bisogno dell’apporto anche critico di tutti coloro che hanno a cuore questa nostra resistenza. Accentuare di più e meglio la nostra autonomia, dare esito più concreto agli impulsi della nostra conferenza programmatica, rinnovare i nostri quadri che sono anche troppo datati, aprire meglio all’esterno e negli organi di informazione le nostre idee, tutto questo si può e si deve fare. Senza chiusure aprioristiche, ma anche senza quella guerriglia interna che porterebbe solo danno a chi la subisce, ma anche e soprattutto a chi la fa.

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