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Da il Resto del Carlino: “Sul progetto del Politecnico. Pensare in piccolo per favore”

31 Ottobre 2017 1.012 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Adesso si sono messi tutti a parlare di Politecnico. E a pensare in grande. Vado controcorrente e invito tutti a pensare in piccolo. Negli anni ottanta la regione lanciò l’asse policentrico metropolitano. Alla faccia della semplicità. Voleva significare che la pianificazione doveva interessare più città sul fronte della via Emilia. Mai successo. Negli anni novanta si sono ingaggiate le sfide dell’innovazione e si cominciò a parlare di parco tecnologico, poi di tecnopolo. A proposito, che il Politecnico di cui si vagheggia sia il tecnopolo alla rovescia? Ne dubito. Fatto sta che el senor de Calatrava (come sarebbe stato bello se, anziché dedicarsi ai ponti dell’autostrada, la geniale archistar spagnola fosse stata incaricata di progettare le piazze di Reggio…) ci ha portato in dote il Politecnico. O meglio una vasta architettura a forma di astronave che hanno battezzato cosi. Cosa sia un Politecnico non lo sanno tutti quelli che ne parlano. Ma tutti ne parlano con ammirazione, stupore, attesa. E tanti complimenti, perché é magnifico, grandioso, stupendo. Ma cosa? Dal greco Politecnico significa “istituto basato su più attività tecniche”. In Italia è un insieme di facoltà e corsi universitari dove si insegnano materie che si basano innanzitutto sull’ingegneria e l’architettura. Ma a Reggio non c’é un’università? E l’Unimore (Università di Modena e Reggio) non dispone già di corsi di laurea in ingegneria con sede a Reggio? E, soprattutto, non é compito del governo e della regione stabilire le facoltà e i corsi di laurea dove e come decentrarli? Non credo sia una nuova funzione dell’architetto Calatrava e nemmeno, con tutto il rispetto, dell’associazione industriali. Si dice che é una suggestione, un’ambizione. Io mi sono stancato e siccome sono sempre stato riformista ho combattuto tutti i massimalismi, politici, amministrativi, architettonici. Idee anche giuste ma che non si realizzano mai. Penso, a Reggio, alle Torri dell’Agac di Zanuso. Penso al maxi centro commerciale di fianco alla stazione dell’alta velocità. Penso alle ex Carceri, all’ex Opg, al parco alla ex Zucchi. Tutte solo suggestioni. Con progetti meravigliosi, però. Così, con l’età, sono diventato minimalista. A un convegno, di qualche anno fa, svolto sull’area nord con immagini da guerre stellari, slides e musiche beethoveniane, artisti e ballerini, prestigiatori di idee e produttori di futuri mirabolanti, mi sono addormentato. Non capivo se si parlava di Reggio Emilia o di un pianeta lontano. Quel che dico è che bisogna risolvere i problemi, a partire da quelli minuscoli. Solo dopo (che vuol dire proprio dopo averli risolti) ci si può dedicare, con una certa credibilità, ai sogni. E non si tiri fuori per cortesia la stazione medio-padana. E’ stato faticoso trovare tutte le risorse indispensabili. Chi scrive crede di avervi contribuito in misura determinante. Ma si sono tagliate opere importanti come i due sottopassi ferroviari di Ospizio e di Pieve. Se poi é vero che da un calcolo sommario il Politecnico di Calatrava costerebbe ancora di più della stazione, cioè novanta milioni, chi ne dovrebbe finanziare la costruzione? Problema di poco conto. E poi cos’é questa mastodontica sede, che mal si concilia con l’identità di un Politecnico che, da quello di Milano a quello di Bari, si decentra in periferia con strutture agili e leggere? Qui si vuole il Politecnicone calatraviano, senza ascoltare l’Università che sostiene, attraverso il suo rettore, la necessità di risolvere prima problemi ancora aperti. Nell’atteggiamento generale insiste un di più di provincialismo. Viva il minimalismo, dunque. Cominciamo a mettere verde nella piazza stile Bielorussia o della Vittoria, e raddrizziamone l’asse oggi deformato da una fila di lampionacci che finiscono per dividere in due il teatro Ariosto. A proposito di architetti, forse tutti sappiamo chi ha progettato le vele, ma nessuno conosce il nome del progettista di piazza della Vittoria, tenuto forse segreto per ragioni di sicurezza. E togliamo le auto dai marciapiedi della via Emilia. Li avevamo pensati per i pedoni e le bici. Ripuliamo il centro-storico dalle orribili scritte con un paio di pittori pagati dal comune che di questo si occupino a tempo pieno. Rivestiamo l’orribile facciata del Palasport e rimettiamo in ordine il parco del popolo, con le statue dell’Ariosto e del Boiardo ripulite e con la fontana dell’Abate Ferrari-Bonini a cui ridare l’originaria funzione di fontana con pesci. Sistemiamo i palazzi di via Sessi, via Macari, il caseggiato di Via Gazzata e Antignoli che è ormai in marcescenza. Diamo luce e colore, e togliamo i fili elettrici che vi ondeggiano pericolosamente, al cinquecentesco Broletto. Sistemiamo la tribuna del Mirabello che soverchia via Matteotti. Rivestiamo i due edifici di accesso al centro da via Emilia Santo Stefano, cosi tristi e poco accoglienti. Potrei continuare. Ma il minimalismo non fa clamore. Meglio il massimalismo del Politecnico che come il Sarchiapone di antica memoria continua a tenere banco in una città che s’interroga sfogliando le fiabe di Andersen… Perché, sì, dai, il brutto anatroccolo si trasformerà in cigno, prima o poi. C’é da crederci?

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