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Il crollo dell’Emilia rossa

16 Marzo 2018 947 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

In Emilia-Romagna ci sono state tre rivoluzioni politiche. La prima avvenne nel primo dopoguerra. Due avvenimenti la determinarono. Il primo fu la grande guerra, col suo carico di lutti. In Italia i morti furono 650mila, quasi tutti giovanissimi, molti studenti, che produssero un carico di esaltazione patriottica contagiando tante famiglie. La seconda fu la rivoluzione sovietica del 1917, col suo valore del primo esempio di socialismo realizzato, che infiammò l’Europa, e che aveva fatto dire a molti riformisti emiliani che bisognava fare “come in Russia” criticando i prampoliniani e i baldiniani per la loro lentezza. L’impasto del patriottismo con la reazione al bolscevismo (o col bolscevismo mancato) generò il fascismo.

Alle elezioni del novembre del 1922, un mese dopo la marcia su Roma, i fascisti vinsero le elezioni comunali di Reggio Emilia. I socialisti diedero l’indicazione di astenersi (l’avevano già fatto alle elezioni politiche del 1921). Primo sindaco fascista di Reggio fu Pietro Petrazzani, prima consigliere comunale del Psi, che aveva perso un figlio in guerra. Ma socialisti erano la maggior parte dei nuovi fascisti. Da Michele Bianchi, primo segretario del Pnf a Edmondo Rossoni, inventore del sindacalismo fascista, al bolognese Dino Grandi. Di Mussolini che dire? Dall’egemonia socialista a quella fascista il passo fu meno lungo di quel che si potrebbe immaginare. Ferrara, Modena, Reggio divennero le province più fasciste. A Bologna, nell’ottobre del 1926, venne brutalmente massacrato dalla folla inferocita il ragazzino che aveva sparato a Mussolini, ma già nel 1920 si verificarono i tragici fatti di Palazzo d’Accursio. Il sistema riformista però venne ereditato dai fascisti, non soppresso, a cominciare dalla cooperazione.

La seconda rivoluzione avvenne nel secondo dopoguerra. Fu originata dalla lotta di liberazione, diretta e controllata dai comunisti in tutta Emilia coi Gap che erano diretta emanazione del Pci, coi commissari delle brigate Garibaldi che facevano aperta propaganda tra i partigiani (si formarono per questo, oltre che per il dissenso sulle eliminazioni mirate, le fiamme Verdi), poi dalla stessa idea di una continuità almeno formale col passato (nel Psiup passò la norma che impediva a chi era stato iscritto al partito fascista repubblicano di ottenere la tessera, mentre nel Pci si passò sopra), in talune città si scelse come sede quella del vecchio partito fascista, si definì federale il segretario (pagare la tessera era quasi un obbligo per trovare un impiego), si occuparono le cooperative prima socialiste e poi fasciste.

La terza rivoluzione, quella attuale, a me pare la meno legata da filo di continuità con la fase precedente. Anzi originata dal crollo completo di tutto ciò che prima era esistente. Il partito comunista non esiste più da quasi trent’anni, i suoi eredi sono senza identità, l’ultimo partito, il Pd, fondato nel 2007 é un miscuglio di ex democristiani e poi popolari e di ex comunisti. Ai primi appare affidata la politica ai secondi la tutela della loro storia (quella socialista é stata cancellata). Questo ha reso possibile un azzeramento dei legami e delle appartenenze. La globalizzazione, la finanziarizzazione, l’immigrazione, hanno creato nuovi bisogni, nuove tendenze. Un’informazione sguaiata, l’avvento dei social, l’immagine che mostra che é sempre e solo colpa della politica, dipinta come corrotta, avvezza solo al potere, indifferente ai bisogni dei cittadini, ha fatto il resto. Un comico al potere consente di deridere quel che si avversa. Il voto è un referendum a chi la spara più grossa. L’estremismo batte la moderazione, l’urlo prevale sul ragionamento.

Anche in Emilia-Romagna, soprattutto qui, dove gli istituti classici dell’egemonia comunista e post comunista erano la cooperazione, oggi in via di smantellamento con veri e propri espropri dei soci e licenziamento del dipendenti, e il ceto medio (non a caso Togliatti scelse Reggio Emilia nel settembre del 1946 per la sua conferenza su Ceti medi ed Emilia rossa) oggi entrato in una profonda crisi. Tutto questo ha generato, esattamente come avvenne in occasione dell’avvento del fascismo, la conseguenza che proprio nelle zone più tradizionalmente comuniste e di sinistra si siano affermati i Cinque stelle e in parte la stessa Lega. Il risultato di Campegine, di Pavullo, di Budrio di tutti i comuni andati al ballottaggio lo scorso anno (oltre al massiccio astensionismo delle elezioni regionali alle quali ha partecipato solo il 37 per cento degli aventi diritto) sono stati precedenti da non sottovalutare e questo dimostra che anche a livello amministrativo la successione (molti comuni capoluogo verranno rinnovati il prossimo anno) non pare impossibile. Dati alla mano se a Cavriago, il comune più rosso e patria del busto di Lenin, vincono i Cinque stelle, come a Campegine, patria dei sette fratelli Cervi, ha perso la sinistra, questo sommovimento che chiamo rivoluzione (senza sangue, senza presa del palazzo d’Inverno) ma di questo si tratta, attecchisce ancora di più dove la sinistra era forte. Cosi come il fascismo attecchì di più dove il socialismo era egemone e si era fatto sistema. Rifletterci un po’ non sarà un male. Capire é necessario prima di agire. Altrimenti si prende a pugni il vento.

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