Il dietrofront di Bersani
Non era mai capitato in politica, una delle tante cose che non erano mai capitate, che un partito politico finisse in minoranza sul suo candidato, Franco Marini è infatti uno dei leader storici del Pd, dopo che la minoranza dei suoi grandi elettori, che non lo aveva votato nell’assemblea di gruppo, si era pubblicamente dissociata annunciando voto contrario anche in Aula ed accrescendo ulteriormente le sue fila. Ma non era mai accaduto che un partito subisse tante proteste da parte della sua base, per aver candidato un suo dirigente.Si dice che Marini appartenga al passato. Ha la stessa età di Rodotà che appartiene invece al futuro e che era deputato quando Marini era solo un bravo sindacalista. Ha solo qualche anno in più di Prodi, che era ministro quando Marini non era neppure segretario della CISL, ma che pare rappresenti la modernità. Il problema non può essere dunque l’uomo, ma la politica. La contestazione di Marini verteva sul rapporto con Berlusconi. In fondo l’aveva scelto lui. Non capisco, però, come si possa scegliere all’unanimità di eleggere un presidente della Repubblica con un voto che esprima l’unità nazionale, come aveva deliberato all’unanimità il Pd, e poi prescindere da Berlusconi. E per di più non con un candidato di centro-destra e neppure indipendente, ma con un esponente di primo piano proprio del Pd. Dietro c’era l’intesa sul governo? È probabile. Ma la scelta di fondo era proprio questa, se non cambiano radicalmente le posizioni di Grillo, e cioè quella di comporre un governo di unità nazionale, almeno nella maggioranza e nelle forme possibili, o andare subito alle elezioni con la stessa legge elettorale che ha sancito l’impossibile governabilità. Adesso Bersani, cambiando il candidato e scegliendo Prodi, cambia anche politica. L’aveva già fatto e più volte in questi cinquanta giorni, sposando quella forma di vecchio andreottismo che sanciva l’indifferenza alle alleanze, da Grillo a Scelta civica, alla Lega e anche al Pdl, sia pur solo sotto forma di lasciapassare per il suo governo. Il suo dietrofront ha del patetico. Il segretario non è in condizione di guidare il suo partito, ma è guidato dal suo partito. Non è in condizione di far votare ai suoi il candidato del Pd concordato con gli altri. Dunque lo cambia lui stesso, mostrando così la sua inattendibilità politica, mutando clamorosamente anche la linea di marcia. Vedremo se Prodi otterrà i voti dei grillini, necessari per la sua elezione al quarto voto. Se no, si tornerà da capo in quella pericolosa roulette russa che il Pd non sarebbe più in grado di frenare.
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