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Passeggiando per la città (prima puntata). Da Il Resto del Carlino. Da porta San Pietro a piazza del Monte

15 Gennaio 2019 800 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

La città è il nostro secondo salotto. Per me, che amo vivere più la città che la casa, é forse il primo. Vorrei che fosse ben chiaro che quel che vediamo (la filosofia empirista rilevava che quel che osserviamo mentre ci aggiriamo per la città non sono persone, ma impermeabili, cappelli e scarpe) son solo facciate, strade, portici. E questi dovrebbero essere tenuti in modo accurato.Perché questo è quel che i reggiani e i turisti gustano passando per la città. Parto da San Pietro, da quel grattacielo (per modo di dire) e quella gabella che paiono una soluzione mediana. Nei primi anni cinquanta dovevano sorgere due grattacieli, il progetto era dell’ing. Giorgio Degola, in luogo delle due storiche gabelle. Si discusse molto poi si optò per una scelta intermedia: un grattacielo e una gabella. Cosi è se vi pare. Un’opzione dorotea. Oggi la gabella, dopo essere stata sede di una farmacia, è occupata da un grazioso caffè, ma l’esterno (la proprietà è del Comune) pare alquanto trasandato. Occorre una rinfrescata. Anche se dirlo a temperatura sotto lo zero fa un certo effetto. Dopo il semaforo resiste un’edicola e di fianco una baracca, oggi vuota, in condizioni desolanti e dinnanzi un selciato semi distrutto con grandi mattonelle che si alternano a spiazzate d’asfalto. Per essere l’ingresso della città non è male, tenendo presente che quello da Santo Stefano, ci passeggerò anche partendo da lì, é forse peggio.

Non trascuro le importanti scelte dell’attuale amministrazione in fatto di restauro delle facciate, che ha consentito di allestire più di trenta cantieri e di riverniciare altrettanti palazzi, ma anche i portici di San Pietro meriterebbero più attenzione. E’ ben noto che i portici costeggiavano anche l’altro lato della via Emilia e vennero distrutti per ampliare la strada al passaggio di Napoleone nel 1800, ricordato dall’arco appositamente eretto e incastonato tra gli edifici proprio in via Emilia San Pietro. Di portici ne sono rimasti la metà. Sono da preservare. Scritte, muri sgretolati, qualche distonia di colore non mancano anche nel porticato che persiste, illuminato con lampade moderne e non di forma a lanterna come quelle esterne, e da lì si può ammirare l’immobile dell’ex caserma Taddei, di fianco ai muri dei Chiostri, finalmente recuperata. Un sospiro di sollievo per chi da decenni doveva sorbirsi un edificio semi bombardato e da paese africano proprio nel bel mezzo del centro cittadino.

Proseguendo sul lato dei portici, dove si notano ancora troppe saracinesche chiuse, ci si imbatte in due palazzi storici tra i più significativi della città: palazzo Ruini e palazzo Malaspina. Di essi, della loro origine e della loro architettura, ho parlato a lungo su questo giornale. Ma di restauri nemmeno l’ombra. Palazzo Ruini é pericolante almeno nella costa che s’affaccia sulla via Emilia tanto che un arco é sorretto da un’impalcatura in ferro e si presenta rovinato e sporco soprattutto nella parte che cade su via San Girolamo. All’interno erano iniziati lavori di restauro dopo il passaggio di proprietà alla fratelli Bari, ma nulla si scorge. Anche palazzo Malaspina, che sorge al suo fianco, é oggetto di lavori all’interno, ma la facciata, assai scolorita e piuttosto sgretolata, resta ancora come prima. Che i palazzi storici non abbiano goduto del bando facciate, evidentemente per indisponibilità dei proprietari (il 30 per cento di contributo comunale, fino a un massimo di 30mila euro, il 50% delle spese riconsegnate dallo stato in dieci anni), fa storcere il naso. Ed é confermato dallo stato di conservazione di palazzo Brami, poco più avanti, che fa angolo con via Boiardi e via Resti. E’ esattamente come prima. Ma il tempo corrode.

Così come via Resti e via Navona, con il caratteristico voltino violentato da scritte e scarabocchi che mandano giustamente in bestia la paziente commerciante di Lana alla Lana che si lamenta perché non riesce a incontrare l’assessore e inserire una telecamera. In via Resti e in via Navona la situazione è stagnante, con immobili a metà tra il trascurato e il marcescente. Allungo il passo per arrivare alla meta. Cioè al centro del centro, a piazza del Monte, ma prima devio per via Guidelli e m’imbatto in un edificio che fa angolo con via Toschi alquanto deteriorato. La facciata é frutto di un’incuria di decenni, mai sistemata. Poi, più avanti, non riscontro novità per l’isolato e il palazzo Omozzoli Parisetti. Forse le carte del restauro sono ancora preda delle lentocrazie di un sovraintendente. Qui l’arancione è sempre più pallido e ovattato fino a scomparire in un grigio opaco. Mentre finalmente si vedono i primi frutti del rinnovo di palazzo Masdoni, grazie al restauro del suo proprietario, l’avvocato Bertolani (sta ultimando la sua terza opera lirica), restano inspiegabilmente rovinate le facciate dei due palazzi vuoti di proprietà Maramotti.

Mi volto e velocemente raggiungo, da piazza Prampolini, recentemente migliorata nel suo selciato, piazza del Monte che solo l’ignoranza storica ha sottratto al ricordo di quell’eroe democratico e socialista che fu Cesare Battisti. Nel palazzo della ex Fondazione Manodori sorge un altro centro commerciale con merce a prezzi stracciati, dinnanzi a quello, di analoga vocazione, ubicato in palazzo Busetti. Dietro si legge la pubblicità per la imminente apertura di laboratori dentistici a basso prezzo. Nel centro del centro. Ci manca uno strillone: “Venite, venite, donne, si vende a meno” (lo scriveva anche il pugile Bondavalli nel suo negozio di piazza San Prospero), e mi piace immaginare le statue dell’Ariosto e del Boiardo (erano proprio li, ma sono state spostate ai giardini nei primi anni cinquanta) che si ribellano con qualche gesto di disapprovazione. D’altronde, l’ho già scritto, all’Ariosto nell’ottocento han dedicato un teatro, alla fine del novecento gli hanno intestato il più grande supermercato reggiano. Ogni epoca ha i suoi riferimenti…

 

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